La Corte europea dei diritti dell’uomo e il voto dei folli (CEDU, Caamaño Valle c. Spagna, 21 maggio 2021)
Nella produzione letteraria di uno dei più rilevanti autori del nostro Novecento, Italo Calvino, figura un romanzo, intitolato “La giornata d’uno scrutatore”, ambientato all’interno della Piccola Casa della Divina Provvidenza “Cottolengo” di Torino. La vicenda narrata, come dice il titolo stesso, copre un arco temporale che va dall’alba al tramonto e ha luogo il 7 giugno del 1953; il protagonista, Amerigo Ormea, è un militante del Partito Comunista e, in occasione delle elezioni politiche di quell’anno (quelle, per intenderci, tenutesi durante la vigenza della “legge truffa”) fa lo scrutatore nel seggio collocato all’interno di un’istituzione che ospita centinaia di persone con disabilità fisica e mentale. La sua presenza serve a evitare che i voti “dei minorati” finiscano, in un modo o nell’altro, per essere attribuiti alla Democrazia Cristiana.
Chi lo ha letto indossando le lenti dello studioso di diritto costituzionale ha subito colto come uno dei temi centrali del romanzo sia quello del significato del voto. Affrontare il tema del diritto al voto dei “folli”, infatti, costringe a fare i conti con alcune aporie delle democrazie contemporanee e, in particolare, con l’isocrazia. L’idea che le teste vadano contate tutte, una per una, e che la “decisione collettiva vincolante” veda la luce solo quando vengano applicate delle regole che garantiscano una partecipazione dei cittadini, quanto più ampia e sicura possibile, è saldata alla garanzia stessa dei diritti politici e ha come presupposto l’esigenza che i cittadini siano educati, informati e desiderosi di maturare una propria idea circa le questioni basilari con cui deve i conti la società in cui essi vivono. L’attribuzione del diritto di voto alle persone con gravi problemi di salute mentale mette in crisi questo schema, dal momento che il “matto” è, per definizione, privo “di indipendenza e capacità di giudizio, ossia della capacità di comportarsi da attore razionale”: dove collocare costui nell’incessante processo di costruzione della cittadinanza politica?
Quanto appena esposto dovrebbe essere sufficiente a giustificare l’attenzione che merita la sentenza Caamaño Valle contro Spagna [2021] ECHR 387, decisa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo alcune settimane fa.
A ricorrere alla Corte di Strasburgo è la madre di M.; quest’ultima è una giovane donna che ha problemi di salute mentale. Quando M. s’avvicina al compimento della maggiore età, nel dicembre del 2013, la donna, residente nella città spagnola di Santiago di Compostela, si rivolge alle autorità giurisdizionali perché M. venga posta sotto la sua tutela, chiedendo però, espressamente, che dall’operare delle misure tutelari venga escluso il diritto di voto. Il giudice, invece, decide che M., a causa delle sue particolari condizioni di salute, non è in grado di votare e, nel suo provvedimento, dopo aver analizzato la collocazione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità all’interno dell’ordinamento spagnolo, sottolinea la differenza fra la nozione di disabilità tracciata dalla Convenzione appena citata e quella di incapacitación, delineata dal diritto nazionale. La decisione di limitare il diritto di voto di M. non è legata né a valutazioni circa l’esigenza di ravvisare maggiori capacità cognitive o intellettive, né sulla sua consapevolezza circa le possibili opzioni di voto (quale partito o quale candidato votare?), né sull’ipotetica irrazionalità delle sue scelte: rilevante, piuttosto, è il fatto che M. è altamente influenzabile e inconsapevole delle conseguenze del proprio voto.
Non diversi l’esito del giudizio d’appello e di quello al cospetto della Corte suprema, concordi nel confermare la posizione espressa dal giudice di primo grado.
Adito il Tribunal Constitucional con un ricorso di amparo, le cose non cambiano: anche per il TC, difatti, quanto era previsto dalla Ley Organica del Régimen Electoral General (LOREG) a proposito dei limiti al voto degli incapaci non era incompatibile né con gli articoli 14 e 23 della Costituzione spagnola, né con quanto previsto dall’art. 29 della Convenzione ONU, alla luce dell’art. 10 della Costituzione del 1978. In particolare – sottolinea il TC – la disciplina legislativa non privava, in termini generali, le persone con disabilità del proprio diritto di voto: le relative limitazioni, infatti, erano adottate dal potere giudiziario su base individuale.
Si è utilizzato il tempo verbale al passato, a proposito di quanto previsto dalla LOREG, perché nel tempo trascorso fra la decisione del TC, adottata nel 2016, e la recente sentenza della Corte EDU è intervenuta una riforma della disciplina elettorale, adottata con la Ley Orgánica 2/2018, volta a garantire il diritto di voto di tutte le persone con disabilità.
Dal momento che M. è stata privata del suo diritto di voto in diverse tornate elettorali, la questione è comunque stata affrontata dalla Corte di Strasburgo.
I motivi di ricorso, presentato dalla madre di M., vertono su una possibile violazione dell’art. 3 del Protocollo addizionale n. 1 (“Le Alte Parti contraenti si impegnano a organizzare, a intervalli ragionevoli, libere elezioni a scrutinio segreto, in condizioni tali da assicurare la libera espressione dell’opinione del popolo sulla scelta del corpo legislativo”) e, in aggiunta, sulla possibile violazione della medesima norma in combinato disposto con l’art. 14 (“Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate […] od ogni altra condizione”) e con l’art. 1 del Protocollo n. 12 (“Il godimento di ogni diritto previsto dalla legge deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate […] o ogni altra condizione”).
La Corte, nel dar risposta alle doglianze della parte ricorrente, osserva, in primo luogo, che il suo compito è interpretare e garantire la CEDU, pur in armonia con altri strumenti internazionali; ma sul punto torneremo fra poco.
Quel che conta è che il ricorso presentato dalla madre di M. viene respinto in toto. Perché?
Secondo la Corte EDU quanto previsto dalla LOREG perseguiva uno scopo legittimo (ovvero, assicurare che solo cittadini capaci di valutare le conseguenze delle proprie azioni e di assumere decisioni consapevoli vengano coinvolti nei processi decisionali pubblici; e sul punto la Corte richiama quanto affermato nella decisione Alajos Kiss c. Ungheria); inoltre, le misure adottate a tal fine erano proporzionate rispetto a tale scopo, anche tenendo conto del restringersi del margine di apprezzamento degli Stati quando ci si trovi a incidere sulla condizione giuridica di gruppi sociali storicamente discriminati, come quello delle persone con problemi di salute mentale.
La decisione della Corte, però, non è stata unanime e la dissenting opinion del Giudice Paul Lemmens, piuttosto lunga e articolata, merita alcune considerazioni.
Il punto di partenza di Lemmens, espressamente debitore del lavoro filosofico di Martha Nussbaum, è che il rispetto della dignità umana di ciascun individuo impone un pieno rispetto del suo diritto di voto. La Corte di Strasburgo avrebbe dovuto, quindi, seguire l’impostazione adottata dal Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, in particolare con riferimento all’applicazione dell’art. 12 della Convenzione ONU. Per il Comitato, infatti, è possibile distinguere mental capacity e legal capacity, ma nel farlo, si precisa che i limiti della prima non possono comportare delle compressioni della seconda.
Tuttavia, come ribadito dalla Corte, quanto affermato dal Comitato non la vincola: come già detto, il compito che la Corte si assume è quello di un’interpretazione della CEDU in armonia con il diritto internazionale, ma senza obblighi di deferenza nei confronti di altri soggetti.
Ma non è questo l’unico punto di dissenso di Lemmens rispetto alla decisione adottata dalla maggioranza. Fra l’altro, sarebbe stato preferibile, a suo giudizio, assumere una posizione allineata alle interpretative declarations in materia adottate dalla Commissione di Venezia e aderire a quanto sostenuto dal Commissario del Consiglio d’Europa sui diritti umani, intervenuto quale terza parte nel giudizio in questione, andando ad affermare la garanzia incondizionata del diritto di voto per tutte le persone con disabilità. Tutto ciò, per Lemmens, avrebbe dovuto condurre all’accoglimento integrale del ricorso.
La decisione, certamente, presenta profili discutibili e non del tutto persuasivi; per chi studia il diritto comparato, come sottolineato anche dalla sentenza in questione, è particolarmente interessante registrare un progressivo ritrarsi delle misure, adottate a livello nazionale, che vanno a limitare il diritto di voto delle persone con disabilità.
In Italia l’art. 48 della Costituzione prevede che “Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile […]”, ma il Parlamento, con la legge Basaglia (l. 180/1978), ha eliminato le misure che rendevano azionabili eventuali misure restrittive, pur sempre costituzionalmente possibili. Della Spagna si è detto: una parte della dottrina auspicava da tempo una riforma della LOREG, nella direzione di cui si è riferito, all’interno di un più ampio adeguamento della legislazione iberica alla Convenzione ONU; e ciò pur non mancando possibili argomenti a favore della compatibilità della disciplina elettorale con il quadro internazionale e costituzionale, a suo tempo sostenuta dal TC. Permangono comunque sullo sfondo, meritevoli d’ulteriore attenzione, le aporie segnalate in apertura e resta da dar risposta alle numerose sfide poste dall’inclusione delle persone con disabilità mentale nella sfera pubblica, anche al di là del momento elettorale.