La Carta di Nizza come parametro di costituzionalità? La Corte costituzionale austriaca tra tutela dei diritti fondamentali, CEDU, principio di equivalenza e disapplicazione

Con sentenza del 14 marzo, la Corte costituzionale austriaca ha sancito che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere considerata parametro di legittimità costituzionale per gli atti interni. La sentenza sembra seguire, nelle motivazioni, un percorso logico-sillogistico che appare scardinare un rigido concettualismo proprio della classica concezione gerarchica delle fonti, non tuttavia per proporne un superamento, quanto piuttosto per offrirne una rivisitazione e valorizzarne al contempo alcune potenzialità in un complesso contesto multilivello in cui le integrazioni con il livello di protezione offerto tramite la CEDU rappresentano la giustificazione, in sinergia con i principi del diritto dell’Unione, per cercare una via alternativa, per certe situazioni meritevoli di speciale protezione come i diritti fondamentali, al tradizionale modello della “disapplicazione” che tende ad escludere i Tribunali costituzionali.

La Corte, in primo luogo, sollecitata a valutare una possibile violazione dell’art. 47 della Carta di Nizza («Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale») in un caso riguardante un procedimento di asilo, si è interrogata sulla possibilità che un singolo potesse instaurare un procedimento per una violazione di un diritto sancito nella Carta di Nizza e, più nello specifico, se la Carta di Nizza potesse effettivamente essere considerata come un parametro in un giudizio di costituzionalità (Abs. 17). Per rispondere a queste domande, la Corte ha dovuto stabilire quale fosse il valore della Carta di Nizza nell’ordinamento austriaco.

La Corte ha ricordato così in primo luogo come essa sia parte del Trattato di Lisbona, che vi fa un rinvio espresso nell’art. art. 6 del TUE, e che, pertanto, in virtù proprio dell’art. 6, le deve essere riconosciuta la stessa natura giuridica dei Trattati che fanno parte del diritto primario dell’Unione (Abs. 18). La Corte, tuttavia, ha rilevato immediatamente anche delle peculiarità. Dopo aver citato la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea in ragione della quale l’Austria è vincolata all’interpretazione per cui vi è un primato (Vorrang) del diritto dell’Unione che deve prevalere in sede di applicazione (Abs. 19) e in ragione del quale il diritto dell’Unione non è parametro di costituzionalità perché si applica direttamente senza necessità di dichiarare incostituzionale la norma interna incompatibile, la Corte ha infatti sancito che tale giurisprudenza, in particolare dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, non è applicabile alla Carta dei diritti fondamentali di Nizza. Questa costituisce all’interno del diritto dell’Unione «un ambito ben definito» per il quale devono valere regole particolari (25).

Chiave di volta e premessa dell’argomentazione della Corte per giustificare alla luce del diritto dell’Unione tale variazione è proprio il “principio di equivalenza”. Tale principio, elaborato dalla Corte di Giustizia nel tempo, consiste nel fatto che a livello nazionale le norme debbano garantire un livello di protezione dei diritti protetti al livello dell’Unione almeno pari a quello predisposto per situazioni analoghe a livello interno (26 ss.). Per quanto i giudici abbiano anche sottolineato come i diritti sanciti nella Carta rilevino solo nella misura in cui investano ambiti di competenza dell’Unione, ricordando come, a stabilirlo, sia lo stesso preambolo della Carta di Nizza (30), il valore di tale affermazione è di immediata evidenza.

Posta tale premessa, la Corte ha sviluppato, infatti, la seconda parte del suo ragionamento che si snoda nell’analisi del valore della CEDU nell’ordinamento austriaco, della tutela apprestata ai diritti da essa garantiti e dei suoi rapporti con la Carta di Nizza. A tal proposito, la Corte ha ricordato come proprio in virtù del rango costituzionale della CEDU, ratificata con legge costituzionale e pertanto parametro di legittimità costituzionale degli atti interni, i diritti in essa protetti godano, nell’ordinamento austriaco, di una tutela che permette che in loro difesa si possa agire davanti alla Corte costituzionale, una volta esauriti tutti gli altri possibili rimedi legali (il riferimento è agli articoli 144 e 144-a del Bundes-Verfassungsgesetz e dunque al ricorso diretto ovvero la Verfassungsbeschwerde). Alla luce del richiamato principio di equivalenza, allora, è necessario precisare quale sia il rapporto che si instaura tra la Carta di Nizza e la CEDU per stabilire come debbano essere tutelati i diritti previsti nella Carta di Nizza (32). Per rispondere a questa problematica, in primo luogo, la Corte ha richiamato l’art 51 della Carta di Nizza, che ne ha ad oggetto l’ambito di applicazione e che distingue tra «diritti» e «principi» senza chiarire il significato della distinzione.

Considerando che i diritti-principi in essa tutelati sono da considerarsi qualitativamente identici alle situazioni giuridiche soggettive protette dalla CEDU, è allora il principio di equivalenza stesso che impone alla Corte, nell’interpretazione che ne viene data, che anche i diritti garantiti nella Carta di Nizza siano considerati parametro di costituzionalità (35). La Corte ha così affermato che sarebbe incostituzionale, per le possibili sovrapposizioni sostanziali che vi sono con la CEDU, escludere la Corte costituzionale dall’interpretazione delle norme della Carta di Nizza attraverso il mezzo della Verfassungsbeschwerde (34).

La Corte ha precisato come nell’interpretazione della Carta si debba tenere in considerazione la giurisprudenza della Corte di Giustizia europea e, esplicitamente, si è affermato che se vi saranno dubbi sull’interpretazione di una norma, si dovrà sollevare rinvio pregiudiziale (40). La Corte ha anche sostenuto, però, che non c’è bisogno sempre di far riferimento alla Carta di Nizza, essendo sufficiente richiamare il diritto costituzionale interno e la CEDU, ratificata con legge costituzionale, se il diritto è protetto già dall’ordinamento austriaco (44). Tale interpretazione appare in linea con l’art. 53 della Carta di Nizza che la descrive, di fatto, come sussidiaria rispetto a un eventuale livello di protezione maggiore e che stabilisce che non può mai essere interpretata come limitativa di diritti sanciti a livello nazionale o internazionale e, in particolare, con il comma 3 dell’art. 53 che esplicitamente afferma che «laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi devono essere considerati uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione» (44-46).

La Corte ha così concluso che i diritti risultanti dalle Costituzioni nazionali, dai Trattati internazionali e dalla Carta dei diritti fondamentali devono essere interpretati nel modo più coerente possibile tra loro (46). Così facendo, l’utilizzabilità della Carta di Nizza si pone, pur in parziale variazione dalla rotta tradizionale, nel solco del diritto dell’Unione (47). A chiusura del ragionamento, dato il principio di equivalenza, si impone dunque, secondo la Corte che, visto il grado di protezione offerto a livello interno ai diritti della CEDU, vi sia un accentramento del sindacato, anche per quei diritti-principi contenuti nella Carta di Nizza per i quali il livello di tutela deve essere il medesimo (31).

In tale quadro, che lascia intravedere, almeno per l’ordinamento austriaco, potenzialità virtuose e che apre ad una discussione circa il significato dei diritti in Europa che tenda a creare e riconoscere il più alto livello di protezione possibile, l’affermazione, sia pur problematica, del valore di parametro di costituzionalità alla Carta di Nizza appare tuttavia capace di aprire nuove strade di tutela dei diritti che permettono includere in maniera più intensa le Corti costituzionali nella applicazione del diritto dell’Unione.

Infatti, pur mantenendo ferma la disapplicazione come regola generale per il diritto dell’Unione, l’apertura alla parametricità nel caso di specie segna, almeno prima facie, un aumento del livello di protezione e non invece un atto di ostilità che potrebbe far pensare ad un ritorno indietro nel tempo. Nell’attesa di eventuali sviluppi e prese di posizione da parte della Corte di Giustizia, infatti, l’obbligo di interpretare in modo coerente tra loro i diritti emergenti a livello europeo e l’inserimento in tal modo nel processo di integrazione di un Tribunale costituzionale sembrano tendere verso un ordine che, nel superamento di statiche logiche gerarchiche, valorizzi al contempo il fine della tutela del diritto e del confronto dinamico tra ordinamenti e ampli le vie che consentono di tutelare le situazioni giuridiche soggettive. Alla luce del richiamato principio di equivalenza, che impone, nell’ottica proposta dalla Corte, una tutela pari per i diritti della Carta a quella prevista per i diritti a livello costituzionale interno, la Corte riesce così a non sottrarsi al processo in atto di creazione di un “serbatoio comune” volto a rafforzare una stabilizzazione che è sempre dinamica e in fieri delle tradizioni costituzionali comuni, senza con ciò però escludere i giudici comuni da questo percorso.

Nel prospettato quadro multilivello, inoltre, le ampie aperture all’uso del rinvio pregiudiziale in particolare nel campo delle carte dei diritti potrebbero permettere in futuro un significativo innalzamento del livello delle tutele in cui la Corte di Giustizia sarebbe inevitabilmente chiamata a risolvere questioni che potrebbero con una certa facilità porsi di fatto al di là della tradizionale impostazione funzionalista.

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