Je ne regrette rien: Libertà della prova e legislazione francese in materia di sorveglianza tramite G.P.S.

Nel processo penale francese l’utilizzabilità di elementi di prova raccolti tramite metodologie investigative non previste espressamente dal codice presenta un legame diretto con il principio di libertà nella ricerca e nell’acquisizione delle prove. In tale quadro, si pone la vexata quaestio dell’impiego dei procedimenti di cd. geolocalizzazione. Come precisato dal Conseil Constitutionnel francese (Décision n. 2014-393 DC, 25 marzo 2014) tale strumento conoscitivo presenta un duplice ambito applicativo. In primo luogo esso consente di seguire gli spostamenti dell’individuo sospettato tramite l’installazione di un dispositivo di rilevamento satellitare GPS sull’autovettura o su un oggetto appartenente al medesimo. In secondo luogo il sistema permette di localizzare e di tracciare il percorso della persona controllata seguendo gli «allacciamenti» del suo telefono portatile ai ripetitori telefonici.

I limiti gnoseologici entro cui le autorità inquirenti possono operare tramite la sorveglianza satellitare GPS sono stati precisati dalla Corte Suprema statunitense nell’ormai celebre sentenza United States v. Antoine Jones (565 U.S., 132 S. Ct. 949).
Nella giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo il leading case in materia è riconducibile alla sentenza Uzun c. Germania (CEDU, 2 settembre 2010, Uzun c. Germania).
Nel caso di specie oggetto di contestazione erano le indagini condotte a seguito degli attentati rivendicati da una cellula terrorista di un gruppo di estrema sinistra. L’imputato aveva presentato ricorso dinanzi alla Corte di Strasburgo lamentando la lesione del diritto alla riservatezza della vita privata (art. 8, par. 1 CEDU). I giudici di Strasburgo rigettarono le doglianze del ricorrente affermando che la misura di geolocalizzazione presentava un’adeguata base giuridica di diritto interno ed era subordinata al rispetto di condizioni rigide, quali la gravità del reato.
L’iter logico-argomentativo seguito dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo è piuttosto articolato. Il centro gravitazionale della pronuncia ruota intorno alla constatazione della presenza nell’ordinamento tedesco di una base giuridica per l’applicazione della misura (§64). La corte evidenzia che l’attribuzione al giudice istruttore del potere di disporre la sorveglianza tramite GPS rappresenta un elemento di garanzia contro la raccolta da parte delle autorità inquirenti di elementi di prova secondo procedure illegittime (§ 71 e 72).
In tale fondamentale arresto i giudici di Strasburgo hanno affermato che la tecnica investigativa de qua – pur comportando una lesione del diritto al rispetto della vita privata (articolo 8 paragrafo 1 della CEDU) – può ritenersi ammessa ove il suo impiego nel caso concreto superi una duplice valutazione. Da un lato, occorre che la misura sia proporzionata allo scopo perseguito. Si tratta del cd. test di proporzionalità che dovrà essere condotto dal giudice alla luce di determinati criteri tra i quali: idoneità alla realizzazione dell’interesse nazionale, della sicurezza pubblica, della repressione penale, della protezione delle vittime; inidoneità di misure meno intrusive (principio della extrema ratio); breve durata della misura. Dall‘altro lato, la geolocalizzazione è consentita ove – coerentemente al disposto dell‘articolo 8 paragrafo 2 CEDU – sia ritenuta necessaria in una società democratica: tale momento integra il cd. test di necessità. Tali criteri costituiscono le guidelines cui devono attenersi i giudici nazionali in materia di geolocalizzazione.
La legislazione francese, in passato, non disciplinava in alcun modo la sorveglianza tramite sistema GPS. Si riteneva che la misura potesse essere adottata sulla base giuridica degli artt. 81 e 151 del Code: tali norme, infatti, attribuiscono al giudice istruttore il potere-dovere di compiere «ogni atto utile alla ricerca della verità». Parallelamente si escludeva l’applicabilità alla misura investigativa de qua delle disposizioni sulle intercettazioni telefoniche. Conformandosi alla giurisprudenza europea, la Corte di Cassazione francese ha affermato che l’impiego di un dispositivo GPS deve presentare i caratteri della proporzionalità rispetto allo scopo perseguito e della necessità (Cass. Crim., 22 novembre 2011, ricorso n. 11-84.308, in Bull.crim., 2011, n. 234). Nel caso di specie i giudici di legittimità hanno respinto il ricorso proposto dall’indagato contro la decisione con cui la Chambre de
l’instruction rigettava l’eccezione di nullità sollevata con riferimento alle prove raccolte tramite la sorveglianza GPS. La Suprema Corte ha ritenuto che l’accessibilità alla legge, il controllo esercitato dal giudice e la gravità del reato fossero sufficienti a giustificare la misura.
Il legislatore d’oltralpe ha provveduto recentemente a disciplinare la materia. L’intervento legislativo si è reso necessario a seguito della sentenza con la quale la Corte di Cassazione aveva dichiarato l’invalidità di alcuni elementi di prova raccolti mediante il sistema di controllo GPS (Cass. Crim., 22 ottobre 2013, n. 13-81945 e n. 13-81949). In tali fondamentali arresti la Cassazione francese ha messo in rilievo come la tecnica della geolocalizzazione possa determinare una violazione del diritto alla riservatezza della vita privata, sottolineando al tempo stesso la necessità del controllo giudiziale sull’esecuzione della misura. I giudici di legittimità hanno pertanto escluso che il controllo stesso possa essere affidato al Procuratore della Repubblica. Le operazioni possono considerarsi legittime se poste sotto il controllo del giudice istruttore (si v. in tal senso Crim., 22 novembre 2011, n. 11-84.308). Ex adverso, se disposte dal Procuratore della Repubblica tali modalità investigative costituiscono una non tollerabile coartazione della vita privata (cfr. Crim. 14 gennaio 2014, n. 13-84909).
Pronunciandosi favorevolmente sulla legge in materia di geolocalizzazione, il Giudice delle Leggi francese ha affermato la necessità di garantire il contraddittorio sulle modalità di raccolta degli elementi di prova a suo carico. Tale obiettivo è raggiunto quando la persona sospettata ha la possibilità di contestare tali elementi direttamente o tramite il suo difensore (Cons. Cost., decisione 25 marzo 2014, n. 2014-693 DC).
Dopo aver accolto i rilievi formulati dalla Corte Costituzionale sul relativo disegno di legge, la legge sulla geolocalizzazione è ormai entrata in vigore (L. 2014-372, 28 marzo 2014, in JO, 29 marzo 2014). Essa introduce all’interno del Titolo IV del Libro I del Code un nuovo Capitolo V: «De la géolocalisation». La nuova disciplina prevede le condizioni cui deve essere subordinato il ricorso a tale tecnica investigativa.
Anzitutto, la sorveglianza tramite GPS è limitata a determinate fattispecie criminose tassativamente elencate dagli artt. 230-32 e 230-33 in relazione alla loro particolare gravità. Si tratta dei delitti contro la personalità, di favoreggiamento, puniti con una pena di almeno tre anni di reclusione; di tutti i crimini e delitti puniti con una pena di almeno cinque anni di reclusione. Inoltre la geolocalizzazione può essere disposta nel quadro delle indagini condotte a seguito del rinvenimento di cadavere se la causa della morte è sconosciuta o sospetta; di scomparsa di un minorenne o di maggiorenne infermo di mente; di ricerca di una persona in fuga nei casi dell’art. 74-2 del Code.
In secondo luogo, la legge subordina la geolocalizzazione all’autorizzazione scritta del Procuratore della Repubblica nel quadro delle indagini condotte dalla polizia e delle ricerche previste dagli artt. da 74 a 74– 2 del Code de procédure pénale.
Infine, la durata massima della misura è di 15 giorni: tale termine è prorogabile per la durata massima di un mese. L’autorizzazione è rinnovabile alle stesse condizioni di forma e di durata dal giudice delle libertà su richiesta del Procuratore della Repubblica. La durata massima è di quattro mesi rinnovabili, con autorizzazione scritta del giudice istruttore, nei casi di ricerca della causa della morte o di scomparsa di minorenne o di maggiorenne infermo di mente. Sotto il profilo delle impugnazioni, tali decisioni non sono appellabili, né opponibili in alcun modo.
La formulazione originaria della legge prevedeva l’esclusione dal fascicolo della procedura dei dati relativi alla data e ora della collocazione e della rimozione del dispositivo: tali dati sarebbero rifluiti in un diverso fascicolo non conosciuto dalle parti. La Corte Costituzionale ha accettato tale previsione limitatamente alla fase dell’indagine di polizia, ma non per la fase del giudizio. Ad avviso del giudice delle leggi ciò comporterebbe una violazione dei diritti della difesa e del principio del contraddittorio.
Le vicende descritte dimostrano come il rispetto della lealtà nella ricerca degli elementi di prova presenti un nesso inscindib
ile con l’incremento del formalismo nell’espletamento delle procedure
acquisitive. Le formalità si pongono a garanzia dei diritti e delle libertà fondamentali dell’individuo. Al tempo stesso, la legislazione francese in materia di prova scientifica presta il fianco a molteplici rilievi critici, che verosimilmente daranno luogo a future condanne della Francia sotto il profilo della violazione del giusto processo. La codificazione della geolocalizzazione è emblematica della nuova dialettica che, anche in Francia, si è instaurata tra legislatore e giudici, nazionali ed europei. Le istanze garantiste di cui si fa portatrice la giurisprudenza spingono il legislatore a migliorare se stesso e il prodotto finale della sua attività, seguendo criteri di ragionevolezza convergenti verso la realizzazione di un maggiore contraddittorio nella formazione della prova e di un incremento dei diritti riconosciuti alla difesa. La condanna potrà essere considerata giusta solo se la ricerca e l’acquisizione degli elementi di prova è condotta nel rispetto dei diritti fondamentali della persona umana.
L‘acquisizione delle prove talvolta si pone in conflitto inevitabile con la dignità dell‘imputato. A tal fine, il binomio realizzato dall’azione sinergica dei principi di legalità e di lealtà nella fase di ricerca della prova assumono un ruolo determinante. La compressione della dignità dell‘indagato è ammessa solo a condizione del rispetto di precisi limiti formali e sostanziali diretti ad inquadrare i procedimenti di acquisizione delle prove. La dignità umana si pone quale sbarramento insuperabile all’ingresso nel procedimento penale di tecniche suscettibili di coartare il rispetto dell’individuo e della libertà di autodeterminazione, quali ipnosi, narcoanalisi e altri procedimenti tali da trasformare l‘imputato in un vero e proprio «animale da laboratorio» al fine di ottenere da esso l’ammissione dei fatti che gli sono attribuiti (Merle, Vitu, 2001).
Occorre, tuttavia, segnalare che l’affermazione del principio del rispetto della dignità umana da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo ha seguito una parabola discendente: si va dalle affermazioni più rigorose del principio (CEDU, 27 novembre 1992, Tomasi c. Francia; 4 dicembre 1995, Ribitsch c. Austria) fino a pronunce più restrittive del suo ambito di operatività alla luce del criterio del grado minimo di gravità (CEDU, 9 giugno 1998, Tekin c. Turchia; 28 ottobre 1998, Assenov c. Bulgaria; 4 novembre 2010, Darraj c. Francia).
Nel processo penale italiano il rilievo primario riconosciuto alla tutela della dignità umana costituisce il naturale pendant del carattere personalistico della nostra Costituzione. Il rispetto della persona deve orientare la regolamentazione relativa all’assunzione delle prove. Si tratta di una direttiva di metodo che non può certo essere ignorata ove si tengano presente le gravi problematiche sollevate dall’introduzione della prova scientifica nel processo penale. Sullo sfondo è la tutela della persona umana come «fonte di prova reale» ad emergere con nitidezza. Dalla fisicità dell’individuo possono essere ricavati preziosi elementi di prova, purché ciò avvenga nei limiti dettati dalla Costituzione (Tonini, Conti, 2012). In una democrazia, la tutela della persona umana non può prescindere dal rispetto della libertà fisica e morale dell’individuo.