Japan as a Victim of Comparative Law (*)
(*) Il post è sintesi aggiornata del saggio di G. Colombo, Japan as a Victim of Comparative Law, 22 Mich. St. Int’l L. Rev. 731 (2013)
Il sistema giuridico giapponese viene talvolta lodato come esempio di un’importazione avvenuta con successo dei modelli europei all’interno del contesto dell’Asia Orientale; talora invece viene dipinto come baluardo della tradizione legale confuciana e pertanto come paese dove l’impatto del modello culturale sinoconfuciano è ancora dominante. Il più delle volte, però, prevale una bizzarra combinazione delle due precedenti immagini, e del sistema giuridico giapponese viene data una rappresentazione – così sagacemente definita da Andrea Ortolani (A. Ortolani, Il giri e la questione della mentalità giuridica giapponese, 3, Riv. Dir. Civ., 371-388, 2009) – “schizofrenica”.
In generale, colpisce come il Giappone sia stato oggetto di una prevalente stereotipizzazione tesa ad evidenziarne l’unicità. Le ragioni di questo approccio vagamente semplicistico verso il sistema giuridico giapponese sono molteplici.
Anzitutto, il diritto comparato – come ogni attività umana – è soggetto a mode e il Giappone è “passato di moda” prima di diventare pienamente conoscibile. Volendo tentare un paragone fra due oggetti di studio che hanno assorbito l’interesse del comparatista in diverse fasi storiche, ovvero la Cina contemporanea e il Giappone degli anni ’80, risulterà evidente come gli strumenti pratici di cui dispone il giurista che intenda oggi analizzareil sistema cinese (legislazione e decisioni giudiziali in inglese disponibili su internet, cattedre di diritto cinese in numerose università italiane, Skype, programmi di scambio, voli a prezzi ragionevoli) erano del tutto impensabili quando il Giappone era considerato il “numero 1” (secondo la celebre espressione di Ezra Vogel. E. Vogel, Japan as Number One. Lessons for America, Harvard University Press, 1979).
Inoltre, nel mondo del diritto comparato non è semplice incontrare studiosi che possiedano una conoscenza “media” del sistema giapponese: si rileva infatti una nitida bipartizione fra coloro il cui tema di ricerca principale è il diritto giapponese (un’esigua minoranza) e chi ha del Giappone una conoscenza sommaria, appresa perlopiù durante gli studi universitari. I manuali di diritto comparato comunemente in uso, da questo punto di vista, tendono a replicare lo stereotipo secondo il quale il sistema giapponese avrebbe copiato dal modello cinese nell’antichità, dalle codificazioni europee durante la modernizzazione e avrebbericevuto l’imposizione di una Costituzione americana nel dopoguerra, pur continuando a riconoscere alla propria“cultura” ha un peso dominante.
Le origini di questo approccio possono essere ritrovate nella dottrina giapponese degli anni ’60 e ’70. In questa fase, infatti, alcuni influenti sociologi del diritto (Noda e Kawashima in particolare. Y. Noda, Introduction au Droit Japonais, Les Systèmes de Droit Contemporains, vol XIX, Dalloz, 1966; T. Kawashima, Dispute Resolution in Contemporary Japan, in Arthur Taylor von Mehren (cur.), Law in Japan: The Legal Order in a Changing Society, Harvard University Press, 1963) hanno pubblicato, in lingua inglese, alcuni saggi tesi a evidenziare la “diversità” del diritto in Giappone rispetto ai sistemi “occidentali”, presentando al mondo l’ostilità- divenuta leggendaria – verso il contenzioso, i concetti quali giri e ninjō, la tendenza a non attribuire grande peso a documenti contrattuali. Questa rappresentazione culturalista del diritto giapponese è stata in buona sostanza accettata senza obiezioni dalla comparatistica occidentale sino almeno alla fine degli anni ’70 (nonostante studiosi come Henderson avessero già dimostrato come questo approccio fosse quantomeno semplicistico. D. F. Henderson, Conciliation and Japanese Law: Tokugawa and Modern, 2 voll., University of Washington Press, 1965). In seguito, studiosi di diritto giapponese come Haley (J.O. Haley, The Myth of the Reluctant Litigant, 4 Journal of Japanese Studies, 359-390, 1978), Upham (F. K. Upham, Law and Social Change in Postwar Japan, Harvard University Press, 1987), Ramseyer (J. M. Ramseyer; M. Nakazato, The Rational Litigant: Settlement Amounts and Verdict Rates in Japan, 18 Journal of Legal Studies, 263 – 290, 1989), Feldman (E. Feldman, The Ritual of Rights in Japan, Cambridge University Press, 2000), Nottage (L. Nottage, The Present and Future of Product Liability Dispute Resolution in Japan, 27 William Mitchell Law Review, 215-235, 2000), Foote (D.H. Foote (cur.), Law in Japan. A Turning Point, University of Washington Press, 2008)hanno fornito, muovendo da prospettive differenti e con strumenti nuovi e diversi, una visione più complessa, ricca di sfumature e critica del sistema giuridico del Giappone. Questi sviluppi nel territorio degli studi di diritto giapponese tuttavia non hanno positivamente contaminato la comparatistica generale, stanti anche le difficoltà di comunicazione fra gli esperti di Giappone (i quali preferiscono cooperare con studiosi di Japanese studies)e il resto dei comparatisti. Il risultato è che i manuali di sistemi giuridici, ma anche più in generale i testi scritti da non specialisti, continuano a fare riferimento a quanto enunciato nei vecchi testi, rendendo così davvero complesso superare lo stereotipo.
Eppure il Giappone continua a essere un formidabile laboratorio di diritto comparato: pochi paesi infatti conducono ricerche così approfondite sui diritti stranieri prima di redigere una nuova normativa, e in pochi contesti accademici i giuristi (e si badi: non soltanto i comparatisti, ma anche gli appartenenti ad altre discipline) si dedicano allo conoscenza di uno o più sistemi stranieri (di solito, Stati Uniti, Germania o Francia). Vi sono tuttavia alcuni problemi che limitano drasticamente l’impatto positivo di questi fattori nella comparatistica: anzitutto, lo studio del diritto straniero e quello del diritto comparato, sebbene attigue, sono due discipline diverse per metodologia e finalità. Se nelle università giapponesi i corsi di diritto angloamericano, tedesco e francese sono comuni, molto più rari sono i corsi di sistemi giuridici comparati o diritto privato comparato. Inoltre, pure quando lo studio degli ordinamenti stranieri assume caratteristiche propriamente di diritto comparato, si tratta spesso comunque di una comparazione verso l’interno, che consente ai Giapponesi una maggiore conoscenza del resto del mondo ma che non aiuta a superare gli stereotipi verso il Giappone.
Ci sono tuttavia motivi per guardare al futuro con ottimismo: l’interesse per il diritto giapponese sembra risvegliato, anche grazie al sempre più attivo ruolo del paese come “esportatore” di modelli giuridici (specialmente in Asia Sudorientale). Il drappello dei comparatisti che si occcupano primariamente di Giappone va ingrossandosi, e il numero di studiosi giapponesi nelle sedi della comparazione giuridica è di tutto rispetto. Inoltre, il convegno del 2017 dell’Academie Internationale de Droit Comparé si svolgerà proprio in Giappone, a Fukuoka. Un maggior interesse verso il paese potrà contribuire a dissipare i logori stereotipi sull’orientalismo giuridico, e anche a stimolare riflessioni sempre più profonde sul ruolo e sulle funzioni del diritto comparato in generale.