In the wake of Dobbs: la Corte Suprema dell’Arizona “riscrive” la legislazione in materia di aborto

Il 9 aprile 2024 la Corte Suprema dell’Arizona si è pronunciata sul caso Planned Parenthood Arizona v. Mayes, una delle tante controversie sorte a livello statale da quando, nel 2022, la sentenza Dobbs (qui i commenti di Buratti e De Santis) ha sostenuto la neutralità della Costituzione federale in materia di aborto, sancendo l’overruling degli storici precedenti Roe e Casey.
La decisione – che vede la Planned Parenthood dell’Arizona (PPA) contrapposta alla Procura dello Stato, nella persona dell’Attorney General Kristin Mayes – è stata adottata da una maggioranza di quattro giudici, tra cui il Justice Lopez, estensore dell’opinione della Corte, mentre i due giudici dissenzienti, Brutinel e Timmer, si sono associati in un’unica opinion, redatta da quest’ultimo.
È bene sottolineare sin d’ora che l’intera pronuncia si gioca tutta sul terreno della statutory construction volta alla risoluzione di un’apparente antinomia normativa, senza affrontare alcun profilo di costituzionalità sollevato dalle parti, la cui valutazione è stata rimessa dalla Supreme Court nelle mani del giudice di prime cure, la Superior Court di Pima County; peraltro, la decisione da essa adottata in primo grado trova conferma nella sentenza della Corte Suprema, che ha invece ribaltato quella emessa dalla Court of Appeals, più vicina alle argomentazioni della PPA e dei giudici di minoranza.
Nella sentenza in commento, la Corte Suprema dello Stato riscrive o, forse sarebbe meglio dire, rilegge, alla luce di Dobbs v. Jackson, l’intero statutory scheme dell’Arizona in materia di aborto, scrivendo l’ennesima, ma di certo non l’ultima pagina di giurisprudenza su un corpus legislativo che, ormai da decenni, satura i ruoli delle corti statali e non. In particolare, la pronuncia ha ad oggetto, come abbiamo accennato, la presunta antinomia tra due norme: da un lato, l’A.R.S. § 13-3603, il cui testo, nella sua formulazione originaria, risale addirittura alla Territorial Era (precisamente al 1864) e non solo non è mai stato formalmente abrogato dal legislativo statale, ma, anzi è stato più volte riproposto e approvato nuovamente in leggi successive, anche dopo che Roe lo aveva reso incostituzionale e ne aveva reso impossibile l’applicazione. Tale norma punisce, con una pena detentiva da due a cinque anni, chiunque, con gli strumenti più vari, farmaci compresi, induca o procuri un aborto, eccetto nel caso in cui ciò si renda necessario per salvare la vita della donna. Si può dire quindi che questa fattispecie incriminatrice fondi un divieto pressoché assoluto di praticare qualsivoglia procedura abortiva, a prescindere dal metodo utilizzato e dalla qualifica personale o professionale dell’agente.
Se Roe non ha impedito a questa norma di sopravvivere, seppure inoperante e quiescente, nell’ordinamento dello Stato dell’Arizona, il riconoscimento del right to abortion come diritto costituzionale derivante dal XIV Emendamento non è valso a fermare, in Arizona come in altri Stati, la proliferazione di abortion statute più o meno limitativi o restrittivi del diritto in questione, magari semplicemente contemplando fattispecie e tipologie specifiche di aborto puntualmente vietate.
Il  conflitto normativo di cui è investita la Suprema Corte statale nel caso in esame è quello con l’A.R.S. § 36-2322; trattasi di una previsione normativa approvata – è bene sottolinearlo – nel 2022, in un momento in cui, cioè, la controversia Dobbs v. Jackson, avente ad oggetto il Mississippi Gestational Age Act, era già pendente dinanzi ai giudici di Washington D.C., catalizzando l’attenzione dell’opinione pubblica americana. Peraltro, mentre i giudici dell’Arizona ammettono senza difficoltà la natura di trigger-ban della legge del Mississippi, mostrano una certa reticenza nel riconoscere la medesima caratteristica per quanto riguarda la propria normativa statale. Com’è noto, i trigger-ban sono tutte quelle legislazioni restrittive del diritto di aborto, in contrasto con gli standard fissati da Roe, emanate negli ultimi anni nei diversi Stati americani con lo scopo precipuo di riportare la questione dinanzi alla Corte Suprema Federale, nella speranza che maturassero condizioni favorevoli al completo ribaltamento della storica sentenza, cosa che poi è effettivamente accaduta con Dobbs.
È sintomatico che il giudice Lopez, nell’opinione della Corte, ribadisca più volte che la legislazione dell’Arizona sarebbe stata emanata under Roe’s authority quando, al pari della normativa del Mississippi, vietava il ricorso all’elective abortion oltre la quindicesima settimana di gestazione, in patente violazione dei criteri dettati dalla sentenza del 1973.
A differenza dell’A.R.S. § 13-3603, l’A.R.S. § 36-2322 punisce espressamente la condotta del medico che pratichi o induca un aborto superate le quindici settimane di gestazione, ritenendolo responsabile di un felony di classe 6, categoria che, in Arizona, contempla i reati di minore entità; a ciò si aggiungerebbe l’eventuale, ulteriore sanzione della sospensione o della revoca della licenza per l’esercizio della professione; l’unica eccezione prevista è quella di una, non meglio precisata, medical emergency, mentre un’altra norma esclude in ogni caso la punibilità della donna.
Lo statute del 2022 nulla dice su un suo possibile coordinamento con la vecchia normativa; di conseguenza, all’indomani di Dobbs, lo Stato dell’Arizona si è ritrovato con due leggi in materia di aborto – senza contare tutte le altre norme correlate – entrambe potenzialmente applicabili, ma in parziale contrasto tra loro, con la lex posterior meno severa e più permissiva di quanto presumibilmente auspicato dalle frange antiabortiste più radicali. La lettura coordinata delle due norme, suggerita dalla PPA e accolta dalla Corte d’Appello e poi dai giudici dissenzienti della Supreme Court, non ravvisa tra esse un’incompatibilità insanabile, bensì un’evidente necessità di armonizzazione a livello interpretativo. Se è vero che, dopo l’overruling di Roe, è venuto a mancare, nell’ordinamento dell’Arizona, un riconoscimento positivo espresso del right to abortion, è pur vero che la lettura più coerente della normativa del 2022 è quella che risponde al criterio per cui “tutto ciò che non è vietato è permesso”, rendendo così legale l’aborto compiuto entro la quindicesima settimana di gestazione. In quest’ottica, il rapporto tra i due statute è ricostruito in chiave di coordinamento tra una norma generale – il divieto quasi assoluto di aborto posto dall’A.R.S. § 13-3603 – e la recente norma speciale, che rende leciti gli aborti praticati entro le quindici settimane e specifica la responsabilità del medico per quelli effettuati oltre tale soglia.
Se quest’interpretazione non ha comunque il pregio di sgombrare il campo da ogni possibile incoerenza normativa, che potrebbe forse essere rimossa solo dal legislatore, ancor meno convincente appare la ricostruzione dei giudici di maggioranza che, innanzitutto, negano radicalmente che la legge del 2022 potesse fornire al diritto di aborto una independent statutory authority in grado di sopravvivere all’overuling di Roe e, soprattutto, capace di abrogare l’A.R.S. § 13-3603 o di limitarne la portata.
Questa convinzione si fonda in particolar modo sulla construction provision annessa al S.B. 1164, il medesimo disegno di legge che ha introdotto la riforma del 2022; si tratta, a tutti gli effetti, di una disposizione di interpretazione autentica considerata, dai giudici di maggioranza, pienamente vincolante, nonostante non faccia effettivamente parte del dettato normativo. In essa si precisa che l’A.R.S. § 36-2322 non solo non crea, né riconosce un diritto all’aborto, ma neppure abroga, by implication or otherwise, l’A.R.S. § 13-3603 e, in generale, la legislazione previgente in materia. Considerando dirimente il legislative intent, il Justice Lopez interpreta il nuovo statute esclusivamente come volto a qualificare e precisare le circostanze inerenti alla punibilità del medico (the circumstances under which a physician may be penalized).
Peraltro, la compresenza delle due fattispecie, seguendo la lettura che ne danno i giudici di maggioranza, rischia di provocare una poco auspicabile sovrapposizione per quanto riguarda la criminal liability del medico, che potenzialmente potrebbe essere chiamato a rispondere ai sensi dell’una o dell’altra norma, con una rilevante lesione del principio della certezza del diritto in materia penale. La prospettazione della Corte risulta poi ancor meno persuasiva se solo si riflette sul fatto che la pena prevista dall’A.R.S. § 36-2322 è più mite di quella contemplata dalla legge anteriore; a rigor di logica, se un aborto eseguito dopo la quindicesima settimana costituisce un’ipotesi più grave rispetto ad uno praticato prima del compimento di tale termine, la sanzione comminata dovrebbe essere più afflittiva, e non più lieve, di quella connessa ad un intervento di IVG effettuato nella primissima fase di gestazione.
L’esito interpretativo a cui è approdata la Corte dell’Arizona sarebbe stato coerente solo se il legislatore avesse effettivamente esplicitato il proprio intento in una vera e propria trigger provision, come quella contenuta nella legislazione del Mississippi; in tale Stato, infatti, già nel 2007, un legislatore “previdente” aveva sancito un divieto quasi assoluto di aborto, fatta eccezione per il caso di stupro e per la necessità di salvare la vita della donna; un divieto, inutile dirlo, all’epoca invalido ai sensi di Roe, ma la cui entrata in vigore veniva espressamente subordinata a un possibile, futuro overruling di questa sentenza, atteso e auspicato da un ampio segmento della società americana a cui la pronuncia del 1973 è rimasta fondamentalmente indigesta.
È indicativo, del resto, che siano gli stessi giudici di maggioranza, prima ancora di quelli dissenzienti, a riconoscere la differenza tra la propria normativa e quella del Mississippi; la minor “lungimiranza” del Parlamento dell’Arizona avrebbe forse dovuto suggerire alla Corte un risultato diverso, rimettendo alle assemblee legislative il compito di adottare, possibilmente in modo coerente, eventuali ulteriori restrizioni in materia di aborto ormai consentite da Dobbs.
Peraltro, il malcontento diffuso, suscitato da questa pronuncia, e la mobilitazione che ne è derivata hanno effettivamente sollecitato un intervento dell’Arizona Legislature; il 2 maggio 2024 la governatrice democratica dello Stato Katie Hobbs ha promulgato l’H.B. 2677, approvato anche grazie al voto di due senatori del GOP, che sancisce l’abrogazione del ban del 1864.
Resta il fatto che lo statute del 2022, che d’ora in avanti regolerà la materia, è comunque una legislazione estremamente restrittiva, non tanto e non solo per i limiti temporali entro i quali è consentito il ricorso all’aborto, quanto per il fatto che, al pari di altre normative ormai vigenti negli Stati americani, non contempla eccezioni di sorta per le ipotesi di stupro e incesto.