Il tratto (in)umano della giurisprudenza della Corte dei diritti umani?

Il tema affrontato nei post del Prof.Buratti e del Prof.Ruggeri pubblicati dalla Rivista è estremamente delicato.
Chi scrive ha cercato, nel recente passato, di riflettere sulla centralità del ruolo della motivazione nel processo di perenne attuazione ed implementazione dei diritti umani all’interno di un sistema “interlivello” come lo ha di recente felicemente definito Ruggeri[1] ed a quelle riflessioni non può che sommessamente rinviare[2].
Viene però oggi all’osservazione attenta degli studiosi il tratto meno umano della giurisdizione di Strasburgo che, ci si permette di ricordare ancora una volta sommessamente, è strumento di protezione universale dei diritti umani di “tutti i cittadini del mondo”[3] contro arbìtri e violazioni da parte di uno dei 47 Paesi .


Siamo dunque in presenza di una Corte composta da 47 giudici che ha una giurisdizione che si estende ad una popolazione di circa 800 milioni di persone[4].
E’ allora evidente la necessità di filtri all’accesso della Corte di Strasburgo, rispetto ai quali, a me pare- pur consapevole di incorrere nelle critiche d chi cerca di operare distinguishing difficili-  non viene immediatamente in discussione il diritto fondamentale e la sua lesione ma, semmai, mediatamente, il comportamento dello Stato che si prospetta avere dato luogo ad una violazione dei diritti da parte degli Stati contraenti.
La sussidiarietà dell’intervento della Corte di Strasburgo fa sì che quel Giudice non sia il giudice del caso concreto lamentato da colui che si qualifica come titolare di quella pretesa, ma abbia il ruolo, scolpito dalla CEDU, di verificare se uno Stato, anche e soprattutto attraverso l’operato dei suoi giudici,  ha o meno violato la CEDU.
Per questi motivi l’attenzione sulla Corte è andata in questi anni straordinariamente crescendo proprio sul tema del “giusto processo” che campeggia nell’art.6 CEDU e che sta condizionando, secondo chi scrive in maniera estremamente positiva, i sistemi processuali europei anche a soprattutto sul ruolo della giurisdizione nazionale e, dunque, sull’apparato motivazionale che la sorregge.
Oggi la Corte si trova però a dovere resistere all’accusa forse più grave che possa esserle mossa e cioè quella di essere un Giudice ingiusto, inumano, non capace di mettere in pratica ciò che quello stesso giudice va chiedendo ai singoli Stati proprio sul delicato banco di prova rappresentato dalla motivazione.
Ora, al di là degli obiettivi rischi di legittimazione che un’accusa di tal genere può determinare in capo a chi è chiamato a svolgere un ruolo primario nel panorama mondiale di protezione dei diritti umani, a me pare innegabile che se si rimane ad un sistema accentrato senza articolazioni territoriali la Corte europea non potrà reggere il peso[5] di quel successo che ne ha caratterizzato i percorsi nell’ultimo ventennio, almeno.
Allora, non credo sia colpa della Corte europea nè dei suoi funzionari l’adozione di “risposte” analoghe a quelle riportate dal Prof.Buratti, dovendosi le responsabilità addossare su altri, fermo il convincimento  che il sistema attale rimane in equilibrio anche grazie a soluzioni che fanno storcere certamente il naso ma che sembrano, al contempo, inevitabili, quasi  un male necessario.
La decisione di irricevibilità è funzionale, credo, a non rendere possibile l’accesso alla Corte, non a valutare se vi sia stata o meno violazione.
Sottile, sottilissima distinzione che, purtuttavia, sembra, a bocce ferme, rappresentare l’unica àncora per salvare la Corte da un meccanismo di ingolfamento che metterebbe a rischio la stessa esistenza della Corte la quale, è noto a tutti, non è giudice di quarta istanza, ma vive e si alimenta proprio attraverso l’operato delle giurisdizioni nazionali che in tale prospettiva, proprio per il carattere decentrato ad esse innato, sono i più autentici “giudici dei diritti umani”. Credere il contrario e, in definitiva ammettere che a Strasburgo siedano dei supergiudici capaci di surrogare il ruolo ed il compito delle giurisdizioni nazionali finirebbe, forse, col creare una costruzione della giurisdizione sovranazionale impraticabile logisticamente, strutturalmente e finanziariamente.
Il tertium comparationis con le pronunzie di inammissibilità della Corte costituzionale non finisce di convincermi per due motivi che provo sinteticamente a rappresentare:a)il numero di pronunzie che la nostra Corte costituzionale emana in un anno ed il numero dei giudici che compongono la Corte stessa non sono credo comparabili con quelli (comprese decisioni, accordi ed altro) della Corte EDU;b) il giudizio di costituzionalità ha un filtro a monte rappresentato dal fatto che ad adire la Corte sono i giudici e non le parti, come accade invece alla Corte edu- basti pensare alle migliaia di istanze classificate alla Corte come mental cases.
Forse, è vero che il sistema non è appagante e di ciò sono consapevoli gli Stati contraenti[6], ma fin quando si decide di rimanere ad una Corte centralizzata dei diritti umani, non mi pare vi siano alternative praticabili.
Nelle more, può essere estremamente utile fare opera di diffusione e sensibilizzazione sulla Guida alla ricevibilità dei ricorsi redatta dall’apparato burocratico della Corte europea di Strasburgo[7].
E’ già comunque un risultato straordinario che di questi temi si parli apertamente.
Mi permetto, infine,  di incollare un intervento dell’ex presidente della corte edu Costa -sia pur anterore al Protocollo 14, che parimenti contiene, mi pare, rilevanti indicazioni.
Carissimi saluti

 

CONSEIL
DE L’EUROPE
COUNCIL
OF EUROPE
COUR EUROPÉENNE DES DROITS DE L’HOMME
EUROPEAN COURT OF HUMAN RIGHTS
Conseil supérieur de la magistrature
Discours de M. Jean-Paul Costa, Président CEDH
Rome, 10 ottobre 2007
Ho accolto molto volentieri l’invito a partecipare a questo incontro di studio organizzato dal
Consiglio Superiore della Magistratura, per l’importanza che tutti riconoscono alla
formazione continua dei magistrati e perché mi è sembrata un’occasione da non perdere, per
la Corte europea dei diritti dell’uomo, di parlare direttamente, attraverso la voce del suo
presidente, ai magistrati italiani. Secondo me, il giudice nazionale è il giudice sia naturale
che primario della Convenzione, avendo la Corte un ruolo ultimo di “controllo” europeo.
L’articolo 6 della Convenzione è un punto di riferimento essenziale delle garanzie della
persona in rapporto all’esercizio della giurisdizione. René Cassin diceva spesso che, senza
l’articolo 6, la protezione di diritti dell’Uomo, in ogni paese, rischierebbe di essere illusoria.
Le garanzie dell’articolo 6 presuppongono che vi sia la possibilità di un efficace ricorso al
giudice. La questione dell’efficacia del sistema di giustizia, nel suo aspetto riguardante la
durata ragionevole dei procedimenti, non è oggetto di questo incontro di studio. Ma dal punto
di vista della Convenzione europea mi pare di dovervi far cenno, particolarmente in rapporto
alle gravi difficoltà che la Corte puo’ osservare rispetto alla situazione italiana.
L’articolo 6 prevede le condizioni per cui un processo possa dirsi equo. Il diritto ad un
processo equo costituisce un’espressione significativa del principio dello Stato di diritto e
della supremazia della legge; esso è riconosciuto come uno degli elementi essenziali di ogni
società democratica.
Il tema di questo incontro di studio, nel quadro del processo equo, è di particolare
importanza. Esso riguarda questione della motivazione delle decisioni giudiziarie. Vorrei
discutere di questo soggetto al tempo stesso per le giurisdizioni nazionali e per la nostra Corte
con le sue particolarità.
Tra le implicazioni che si sono ricavate dalla nozione di processo equo rientra certamente
l’obbligo di motivare le decisioni giudiziarie. E per quanto concerne in particolare il processo
penale, in riferimento all’articolo 6, tale obbligo di motivare si trova anche spesso nel diritto
interno di numerosi paesi (per l’Italia l’articolo 111 § 6 della Costituzione).
Una delle caratteristiche essenziali del meccanismo istituito a Strasburgo è il suo carattere
sussidiario. Prima di presentare un ricorso davanti alla nostra Corte, bisogna esaurire i ricorsi
interni. Questo significa chiaramente che i giudici nazionali hanno l’obbligo di rispettare e
applicare nelle loro decisioni la Convenzione. Sono essi infatti in prima linea, come già
accennato, e a contatto con la realtà sociale del paese e per cio’ stesso in grado di assicurare
al meglio il rispetto a livello interno dei diritti e delle liberta’ sanciti nella convenzione.
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Un altro punto essenziale da ricordare è quello che la Corte non è una quarta istanza di
giurisdizione. Essa non ha la possibilità di sostituirsi ai tribunali nazionali. Corollario del
principio di sussidiaretà è il margine d’apprezzamento lasciato alle giurisdizioni nazionali
nell’applicazione della convenzione dei diritti umani. Certo è pero’ che la sussidarietà e il
margine d’apprezzamento non devono limitare la protezione dei cittadini. E anche vero che
ci sono delle materie dove il margine d’apprezzamento non trova posto, come per esempio
l’articolo 3 (proibizione della tortura). Inoltre esiste in ogni caso un controllo importante
della Corte europea per proteggere con efficacia l’individuo.
E’ certo che è di competenza dei giudici nazionali il potere di interpretare il diritto e di
motivare le decisioni.
In questo campo, il margine d’apprezzamento è particolarmente importante per le ragioni
sviluppate prima. Pero’, questa regola non è assoluta. Secondo la Corte europea, i modi per
adempiere a tale obbligo possono variare, dovendosi tener conto anche “delle differenze tra
gli Stati quanto a disposizioni di legge, consuetudini, concezioni dottrinali, presentazione e
redazione delle decisioni giudiziarie” (Ruiz Torija c. Spagna del 21 gennaio 1994). In questo,
come nel caso Hiro Balani c. Spagna del 9 dicembre 1994, è importante sottolineare che il
diritto interno spagnolo prevedeva l’obbligo di motivare le decisioni di giustizia. L’articolo
120 della costituzione spagnola dispone infatti che “le decisioni giudiziarie sono sempre
motivate” e il codice di procedura civile prevede che le decisioni devono essere chiare,
precise e rispondere alle domande articolate durante la procedura.
Il ricorso era stato presentato davanti alla Corte di Strasburgo perché un tribunale interno non
aveva dato risposta a un’argomentazione sollevata durante il processo. La Corte ha
sottolineato che non necessariamente la motivazione deve dare una risposta dettagliata a ogni
argomentazione di parte. Ma la Corte ha fatto un esame approfondito del caso e sì è
dichiarata non convinta dall’argomentazione del governo spagnolo, che sosteneva la
sufficienza della motivazione. Secondo la Corte, infatti, la domanda fatta nel processo
esigeva una risposta esplicita e specifica. In assenza di una risposta di questo tipo, la Corte ha
costatato la violazione della Convenzione. In certi casi, che certamente sono estremi, la
Corte ha anche condannato il fatto che un tribunale (la Corte di cassazione) avesse omesso di
rispondere a un motivo di ricorso (Dulaurans c. Francia, 21 Marzo 2000).
Sarebbe comunque importantissimo che le motivazioni raggiungessero un grado di sufficiente
chiarezza in particolare ai fini dell’esercizio del diritto delle parti d’impugnare le decisioni
giudiziarie. Ma è interessante segnalare che nei casi portati davanti alla Corte di Strasburgo,
non c’era possibilità d’impugnare le decisioni giudiziarie. Questo dimostra come per la Corte
di Strasburgo, l’obbligo di motivare non è legato soltanto alla possibilità di impugnare la
decisione. La motivazione infatti risponde anche altri scopi, che attengono al rapporto con le
parti processuali e con i cittadini in generale ed alla fiducia che deve poter essere riposta nell’
amministrazione della giustizia. La giustizia dev’essere trasparente, per evitare eventuali
sospetti di arbitrarietà.
Tale obbligo grava sui giudici per quanto concerne sia le questioni di diritto sia gli
apprezzamenti di fatto, anche se risulta ammissibile une motivazione per relationem dal
giudice superiore all’inferiore (vedere il caso Garcia Ruiz c. Spagna, 21 Gennaio 1999).
Inoltre, quando si tratta di decisioni semplici, riguardanti l’ammissibilità di una
impugnazione o di un ricorso, la Corte – tenendo conto delle necessità di funzionamento

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particolarmente delle Corti Supreme – ha ritenuto che la motivazione è sufficiente quando si
limita a richiamare l’articolo di legge che giustifica la decisione di inammissibilità (Burg e
altri c. Francia, decisione dell’ 8 gennaio 2003).
Non ha diretta rilevanza per l’Italia la questione della motivazione nelle decisioni assunte
dalla giuria, che risponde a quesiti posti dal presidente della corte. Ne faccio menzione,
rinviando come esempio alla decisione di irricevibilità nella causa Papon c. Francia del 15
novembre 2001, per sottolineare il fatto che la giurisprudenza della Corte europea deve tenere
conto della diversità dei vari sistemi giuridici propri ai 46 Paesi del Consiglio d’Europa.
Uno dei miei predecessori, il Presidente Bernhardt, aveva criticato la posizione della Corte in
questi casi perché secondo lui, una giurisdizione internazionale deve censurare le decisioni
interne soltanto se è evidente in esse che i giudici nazionali non hanno preso in
considerazione argomenti essenziali. E’ certo che la posizione del Presidente Bernhardt va
nel senso di un’autonomia dei tribunali interni. Nel contempo pero’, la Corte di Strasburgo
continua a lottare contro l’arbitrarietà che puo’ risultare dall’assenza di motivazione. E questo
è il fulcro dell’equo processo.
La Corte rispetta l’autonomia delle giurisdizione interne anche per quello che guarda le
motivazione con il limite pero risultante dall’ obbligo di motivare su i punti essenziali.
Un altro problema di cui vorrei parlarvi è quello della motivazione delle nostre decisioni.
E’ certo che, per lunghezza ed estensione dei contenuti che comprendono la procedura, i fatti,
il diritto pertinente, e alla fine il ragionamento giuridico (la ratio decidendi), le decisioni della
Corte europea dei diritti umani sono completamente diverse dalle decisioni rese in diversi
sistemi interni e particolarmente dalle decisioni “molto brevi” della Corte di Cassazione
francese. Essendo stato a lungo un giudice del Consiglio di Stato francese, ha lottato senza
successo per delle sentenze piu lunghe. Adesso, trovo al contrario che le decisioni di
Strasburgo sono spesso troppo lunghe!
Secondo l’articolo 45 della Convenzione “Le sentenze e le decisioni che dichiarano i ricorsi
ammissibili o inammissibili devono essere motivate”.
Come molte giurisdizioni nazionali, anche la nostra Corte deve far fronte ogni anno a un
numero sempre crescente di ricorsi (oltre 36.708 quest’anno). In questo contesto, quando si
tratta di ricorsi manifestamente irricevibili respinti da comitati di tre giudici, non si puo’
sempre e per ogni ricorso fare una motivazione dettagliata. Molto spesso, gli avvocati si
lamentano di ricevere une lettera brevissima che li informa che il loro ricorso è stato
dichiarato irricevibile. A tal proposito è necessario sottolineare che si tratta di ricorsi
esaminati dai comitati di tre giudici della Corte (che deveno decidere all’unanimità) sulla
base di una motivazione interna sintetica, ma sufficiente. Estremamente concisa è solo la
motivazione comunicata al ricorrente.
Certo è che nella situazione attuale, la Corte non potrebbe rispondere con una motivazione
dettagliata a migliaia di ricorsi irricevibili senza sacrificare l’esame dei casi più complessi.
La differenza fondamentale che esiste fra il sistema di Strasburgo e la maggior parte dei
sistemi nazionali è la possibilità per i giudici di Strasburgo di esprimere la loro opinione
individuale secondo l’articolo 45 de la Convenzione: “Se la sentenza non esprime in tutto o in
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parte l’opinione unanime dei giudici, ogni giudice avrà diritto di allegarvi l’esposizione della
sua opinione individuale”.
E’ certo che la maggioranza dei sistemi che conosciamo in Europa non offre al giudice questa
possibilità di esprimere la sua opinione individuale sia dissidente, sia concordante. All’inizio
anche per me che sono stato giudice nazionale al Consiglio di Stato francese cio’ era una
novità. Oggi dopo 9 anni alla Corte penso che questa possibilità sia molto interessante per i
giudici e per il pubblico. Anche la dottrina analizza con una grande attenzione queste
opinioni. Nelle loro opinioni i giudici possono esprimersi con una libertà totale. Infatti,
mentre le sentenze sono l’espressione dell’opinione collegiale della camera o della grande
camera, nelle opinioni separate i giudici possono fare conoscere la loro opinione individuale,
sia essa in accordo o in disaccordo con quella espressa dalla maggioranza. Vorrei aggiungere
che alcuni giudici sono conosciuti anche per l’importanza delle loro opinioni individuali.
Però, non si deve dimenticare che il giudicato è quello contenuto nella sentenza, non nelle
opinioni separate!
In conclusione, mi preme ribadire che la motivazione delle sentenze rappresenta un momento
essenziale del giudizio, qualunque sia la giurisdizione, interna o internazionale. Essa è una
garanzia fondamentale contro l’arbitrio.

 


[1] Ruggeri, Prospettiva prescrittiva e prospettiva descrittiva nello studio dei rapporti tra Corte costituzionale e Corte EDU (oscillazioni e aporie di una costruzione giurisprudenziale e modi del suo possibile rifacimento, al servizio dei diritti fondamentali), pag.7.

[2] Volendo v.Conti,La Convenzione europea dei diritti dell’uomo.Il ruolo del giudice,Roma, 2011, specificamente 480/496.

[3] Cassese A., Sui diritti umani l’Europa detta legge, La Repubblica, 12 luglio 2011, 29, che ricorda Corte dir.uomo 7 luglio 2011 Al Jedda c.Regno Unito (ric. 27021/08) e Corte dir.uomo 7 luglio 2011 Al Skeidi c.Regno Unito (ric.n. 55721/07), espressive di un revirement  nella giurisprudenza della Corte europea che ha esteso l’ambito di applicazione della CEDU ai cittadini degli Stati non contraenti che si trovano sottoposti all’autorità di un Paese contraente.

[4] V. Preambolo alla Guida pratica sulla ricevibilità dei ricorsi,reperibile in lingua italiana sul sito del Ministero della Giustizia all’indirizzo http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_12_1.wp?previsiousPage=mg_1_12&contentId=SPS640300 :”… Di conseguenza, il bacino di potenziali ricorrenti è immenso: oltre agli ottocento milioni di abitanti della Grande Europa e ai cittadini di Paesi terzi che vi risiedono o vi transitano, bisogna contare milioni di associazioni, fondazioni, partiti politici, imprese, ecc. Senza  dimenticare le persone che, a seguito di atti extraterritoriali degli Stati parte alla Convenzione, commessi fuori dai loro rispettivi territori, si troverebbero ad essere soggetti alla giurisdizione degli stessi.

[5] Cfr., ancora, Guida alla ricevibilità, cit.:”… Da vari anni, e in ragione di vari fattori, la Corte è sommersa da ricorsi individuali (più di 130.000 erano pendenti al 31 agosto 2010). La quasi totalità di tali ricorsi (più del 95 %) viene rigettata, senza esame sul merito, per inosservanza di uno dei criteri di ricevibilità previsti dalla Convenzione. Tale situazione provoca una doppia frustrazione. Da una parte, avendo l’obbligo di rispondere ad ogni ricorso, la Corte non è in grado di concentrarsi entro termini ragionevoli sulle cause che necessitano di un esame sul merito, e questo senza una reale utilità per i cittadini ricorrenti. D’altra parte, decine di migliaia di ricorrenti si vedono respingere inesorabilmente i loro ricorsi, spesso dopo anni di attesa.

[6] Cfr., ancora, Guida alla ricevibilità, pag.7:”… Il 19 febbraio 2010 i rappresentanti dei quarantasette Stati membri del Consiglio d’Europa, tutti legati dalla Convenzione, si sono riuniti a

Interlaken, in Svizzera, per discutere sul futuro della Corte, e in particolare sull’intasamento della stessa dovuto all’afflusso di ricorsi irricevibili. In una dichiarazione solenne, essi hanno riaffermato la centralità della Corte nel sistema europeo di tutela dei diritti e delle libertà fondamentali e si sono

impegnati a fare in modo che la sua efficacia venga rafforzata pur mantenendo il principio del ricorso individuale. 3. L’idea di mettere a disposizione dei potenziali ricorrenti delle informazioni oggettive e complete relative alla procedura di deposito dei ricorsi e dei criteri di ricevibilità è espressa chiaramente al punto C-6 (a) e (b) della Dichiarazione di Intelaken.

[7] Cfr., ancora Guida alla ricevibilità, 8, cit.:”… La presente guida pratica sulle condizioni di ricevibilità dei ricorsi individuali rientra in questa logica. È stata concepita per permettere una lettura più chiara e dettagliata delle condizioni di ricevibilità allo scopo, da una parte, di limitare per quanto possibile l’afflusso di ricorsi che non hanno alcuna possibilità di dare luogo a decisioni sul merito e, dall’altra, di far sì che i ricorsi che, invece, meritano di essere esaminati sul merito passino il test di ricevibilità. Nella maggior parte delle cause che attualmente passano questo test, la ricevibilità viene esaminata allo stesso tempo del merito, il che semplifica e accelera la procedura. Si tratta di un documento consistente, destinato principalmente agli esperti di diritto, in particolare agli avvocati che hanno interesse a rappresentare dei ricorrenti dinanzi alla Corte. Un secondo documento, più leggero e redatto in termini meno tecnici, servirà da strumento pedagogico per un pubblico più vasto e meno esperto.