Il rapporto fra la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea nel dialogo fra le Corti europee e nazionali: il problema dell’interpretazione dei diritti umani.
1. Prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il rilievo della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea (in appresso la “Carta dell’UE”) nell’ordinamento europeo e negli ordinamenti nazionali era controverso, ma la scelta per la mera proclamazione nel 2000 della “Carta di Nizza” è stata una tecnica molto efficiente per la sua divulgazione: si è pensato che la Carta “pur priva di valore giuridico formalmente vincolante avrebbe cominciato a farsi strada nell’ordinamento dell’Unione e in quelli degli Stati membri” (Rodotà), come è testimoniato dalla successiva giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, della Corte di giustizia europea e delle Corti nazionali, che spesso hanno fatto riferimento alla Carta [v., fra le prime pronunce, Corte EDU, 11.7.2002 (caso Goodwin c. Regno Unito) e poiCorte EDU, 30.6.2005 (caso Bosphorus) e Corte EDU, 19.4.2007 (caso Vilho Eskelinen e altri c. Finlandia); Corte giust., ord. 18.10.2002, causa C- 232/02 P(R) e Corte giust., 27.6.2006, causa C-540/03; nella giurisprudenza italiana, già Corte cost., 24.4.2002, n. 135, e Corte cost., 24.10.2002, n. 445, Cass., sez. lav., 10.4.2002, n. 15822, e Cass., sez. un. pen., 26.3.2003, n. 21035]. Il nuovo art. 6 del Trattato di Lisbona richiama ora la Carta dell’UE conferendole lo stesso valore giuridico dei Trattati istitutivi dell’Unione senza ampliare le competenze in essi definite (comma 1) [ v. Corte giust., 15.11.2011, C-256/11 (caso Dereci e a.)], ma assegnando in concreto alla Corte di giustizia un ruolo maggiore nella tutela dei diritti fondamentali.
Dunque a livello nazionale il sistema delle fonti del diritto è attualmente caratterizzato dalla compresenza di tre sistemi di salvaguardia dei diritti fondamentali dell’uomo (il sistema costituzionale nazionale, il sistema CEDU, il sistema UE), ciascuno con un proprio organo giurisdizionale di vertice (Corte costituzionale, Corte europea dei diritti dell’uomo, Corte di giustizia dell’Unione Europea) che garantisce un accesso effettivo alla tutela.
Nel Report on the Application of the EU Charter of Fundamental Rights 2013 del 14 aprile 2014 la Commissione europea ha ribadito che in forza dell’art. 51 della Carta dell’UE, le norme di tale Carta impegnano le istituzioni e gli organi dell’UE al loro rispetto nel quadro della propria azione nonché gli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione [ in giurisprudenza v., fra le altre, Corte giust., 26.2.2013, causa C-617/10 (caso Åklagaren); Corte giust., 15.11.2011, C-256/11 (caso Dereci e a.)]. I diritti fondamentali della Carta producono effetti, quindi, solo nell’ambito di tali competenze, ma questo non significa che sussiste un gap nella tutela dei diritti fondamentali, perché i singoli individui possono fare ricorso ai rimedi nazionali e, una volta esauriti, possono rivolgersi alla Corte di Strasburgo per l’applicazione delle norme della CEDU, della quale tutti gli Stati membri dell’UE sono parti.
La Commissione ha ricordato, infine, che il Trattato di Lisbona ha imposto all’UE l’obbligo di aderire alla CEDU (art. 6, comma 2) ed è già stata elaborata una bozza di accordo. Tale adesione attribuirà così alla Corte di Strasburgo la competenza a giudicare del rispetto della CEDU da parte dell’Unione e dei suoi organi, compresa la Corte di giustizia. D’altra parte deve essere osservato il principio di sussidiarietà inerente alla CEDU dando la precedenza al controllo interno della Corte di giustizia sulla validità di un atto dell’Unione rispetto al controllo esterno della Corte EDU sulla conformità di tale atto alla Convenzione. Il problema allora “n’est pas d’établir qui a le dernier mot, mais qui a le premier”, perchè spesso sarà soltanto la Corte di Lussemburgo a verificare la compatibilità fra l’atto e la CEDU e, in caso negativo, ad annullare l’atto o a stabilire un’interpretazione rispettosa del valore fondamentale che si ritiene leso. Ma trattandosi di valori fondamentali sarebbe meglio piuttosto dare rilevanza a “comment dire (ou… essayer de dire) le «meilleur mot»” (Tizzano).
2. A prescindere dall’eventuale futura adesione dell’UE alla CEDU, il risultato di garantire la migliore tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, rilevino essi in ambito nazionale o europeo, può essere raggiunto attraverso il dialogo fra giudici nazionali e sovranazionali, anche con la tecnica del rinvio pregiudiziale.
Invero il problema dei rapporti fra CEDU e Carta dell’UE, fra Corte di Strasburgo e Corte di Lussemburgo, non è in realtà nuovo, ma ricorda quello dei rapporti fra Corti supreme nazionali e Corte di giustizia europea, quando all’iniziale chiusura fra sistemi, conflittualità e supremazia, si è progressivamente sostituita l’apertura, la comunicazione e la collaborazione reciproca (che è necessaria ad entrambe, si pensi alla dottrina dei “contro-limiti”). Ora, il dialogo fra Corti può essere istituzionalizzato, come è avvenuto per i rapporti fra Corti nazionali e Corte di giustizia con il rinvio pregiudiziale, ma la storia insegna che se questa tecnica è utile ed efficace, non è però assolutamente indispensabile per creare una cooperazione fra Corti. Ciò che rileva è che ciascun sistema interagisca con gli altri in modo stabile e continuo e, così facendo, rifiuti una gerarchia fra le fonti e ricerchi una nuova ermeneutica giuridica.
Certamente non si può sostenere che la portata della CEDU e della Carta dell’UE siano identiche: il sistema dell’UE di protezione dei diritti fondamentali dell’uomo è più ampio, perché tiene conto, fra l’altro, anche di fonti diverse dalla CEDU (v. art. 6, comma 3, TUE, artt. 52, comma 3, e 53 Carta dell’UE). D’altra parte, mentre la CEDU opera nei confronti di qualsiasi situazione individuale che rileva all’interno degli ordinamenti degli Stati contraenti, i diritti garantiti dall’UE sono limitati nella loro operatività alle materie di competenza di tale ordinamento.
Inoltre, in alcuni Stati membri, come il nostro, gli effetti delle pronunce della Corte di giustizia e della Corte EDU sono differenti: da un lato, l’efficacia diretta delle norme dell’UE determina il dovere dei giudici nazionali di disapplicare le norme nazionali incompatibili (artt. 11 e 117, comma 1, Cost.) [ v. Corte giust., 9.3.1978, causa 106/77 (caso Simmenthal); e di recente Corte giust., 26.2.2013, causa C-617/10 (caso Åklagaren)]; dall’altro lato, in caso di contrasto fra norme interne e norme convenzionali – considerate “interposte” tra la Costituzione e la legge ordinaria – che non possa essere risolto in via interpretativa, è necessario l’intervento della Corte costituzionale (art. 117, comma 1, Cost.) [v. Corte cost., 24.10.2007, n. 348 e n. 349; Corte cost., 26.11.2009, n. 311; Corte cost., 8.3.2010, n. 93; Corte cost., 21.6.2010, n. 227, Corte cost., 10.3.2011, n. 80; Corte cost., 7.4.2011, n.113]. Con l’adesione all’UE il nostro ordinamento, infatti, è stato incorporato in “un sistema più vasto” di natura sopranazionale, comprensivo di trasferimenti di sovranità e di peculiari meccanismi di garanzia, che non possono essere estesi a favore delle norme della CEDU attraverso una “comunitarizzazione” delle stesse (Tesauro).
Né l’art. 6, comma 3, del TUE, con il suo esplicito richiamo ai diritti fondamentali della CEDU come “principi generali” del diritto dell’UE, né l’art. 52, comma 3, della Carta dell’UE, prevedendo la possibilità che il diritto dell’UE conceda una tutela più ampia rispetto alla CEDU, consentono di ritenere che questa possa giovarsi delle garanzie previste per l’ordinamento dell’Unione, per cui i giudici nazionali devono applicare direttamente anche le norme della CEDU, disapplicando le norme nazionali con esse in contrasto. Come precisato nella recente sentenza della Corte di giustizia del 24 aprile 2012 (caso Kamberaj, causa C-571/10), infatti, “l’art. 6, comma 3, TUE non disciplina il rapporto tra la CEDU e gli ordinamenti giuridici degli Stati e nemmeno determina le conseguenze che un giudice nazionale deve trarre nell’ipotesi di conflitto tra i diritti garantiti da tale Convenzione ed una norma di diritto nazionale” (v. successivamente anche il caso Åklagaren, causa C-617/10).
Va sottolineato, però, che il sistema di controllo della nostra Corte costituzionale non è limitato alle norme della CEDU, ma si estende alle norme dell’UE “prive di effetto diretto” che siano in contrasto con le norme nazionali (v. Corte cost., 21.6.2010, n. 227). In questo caso occorrerà richiedere pregiudizialmente l’intervento della Corte di giustizia, al fine di verificare l’interpretazione e la determinazione del contenuto delle norme europee e tentare di risolvere il conflitto fra norme (Carbone).
Ma anche se l’ambito di incidenza delle Dichiarazioni e delle pronunce delle Corti nei diversi sistemi è variabile, il loro “contenuto giuridico è pur sempre quello del riconoscimento e della protezione dei diritti umani come tali” (Frosini). Come è dimostrato, del resto, a livello europeo dallo spirito di cooperazione e dal rispetto reciproco che già caratterizzano i rapporti fra la Corte EDU e la Corte di giustizia dell’UE. Con la conseguenza che la Corte di giustizia “trae ispirazione” e si conforma di regola alla giurisprudenza della Corte EDU, che, a sua volta, se non segue la giurisprudenza della Corte di giustizia, neppure agisce in modo da creare una situazione conflittuale, ma si apre al dialogo per cercare una soluzione condivisa che assicuri al meglio la difesa dei diritti fondamentali (Tizzano). Da ricordare, innanzitutto, la nota pronuncia della Corte EDU del 30 giugno 2005, il caso Bosphorus, che ha affermato il principio di “equivalenza” della protezione assicurata dalla CEDU e dalla Carta dell’UE: se lo Stato non dispone di alcun potere discrezionale nell’attuazione della normativa comunitaria, si presume che esso rispetti le esigenze di tutela della CEDU, a condizione che il diritto dell’UE offra all’individuo una protezione equivalente a quella garantita dal sistema della Convenzione, da intendersi non nel senso di perfetta identità, quanto piuttosto di “comparabilità” tra livelli di tutela sostanziale e procedurale [ v., già Corte EDU, 10.7.1978 (caso C.F.D.T.); Corte EDU, 9.2.1990 (caso M. & Co.); Corte EDU, 18.2.1999 (caso Matthews); di recente, Corte EDU, 6.12.2012 (caso Michaud)]. D’altra parte, la possibile esistenza di un conflitto fra Corti superiori è evidente nel noto “caso ATA”, nel quale, a fronte di varie pronunce della nostra Corte costituzionale (Corte cost., 18.6.2007, n. 234 ; Cort cost., ord. n. 400 del 2007; Corte cost., ord. n. 212 del 2008; Corte cost., 26.11.2009, n. 311; v. anche Cass., 9.11.2010, n. 22751) circa una norma di interpretazione autentica (anche con riferimento all’art. 6 CEDU), sono state proposte una decisione in senso opposto della Corte EDU [Corte EDU, 7 giugno 2011 (caso Agrati ed altri c. Italia) con riguardo all’art. 6 CEDU e all’art. 1 del Protocollo n. 1] e una pronuncia della Corte di giustizia [Corte giust., 6.9.2011, causa C-108/10 (caso Scattolon)] che ha scelto una diversa soluzione ai sensi della direttiva 77/187/CE [v. successivamente la nostra Corte di cassazione (Cass., 12.10.2011, n. 20980) che ha deciso di seguire la strada aperta dalla Corte di giustizia].
Deve sottolinearsi, altresì, che, sebbene l’art. 46, comma 1, CEDU limiti alle Alte Parti contraenti l’obbligo di conformarsi alle sentenze della Corte EDU, si riconosce a tali sentenze un’efficacia persuasiva nei confronti degli organi di tutti gli Stati contraenti. Così la nostra Corte costituzionale ha affermato che “al giudice nazionale, in quanto giudice comune della Convenzione, spetta il compito di applicare le relative norme nell’interpretazione offertane dalla Corte di Strasburgo alla quale questa competenza è stata espressamente attribuita dagli Stati contraenti” (Corte cost., 26.11.2009, n. 311).
L’esigenza di garantire una coerenza fra le disposizioni della Carta dell’UE, della CEDU e delle Carte costituzionali si evince, inoltre, dai commi 3 e 4 dell’art. 52 della Carta dell’UE. Se i diritti della Carta dell’UE sono identici a quelli della CEDU “il significato e la portata degli stessi sono uguali”. Nelle Spiegazioni della Carta si legge, in particolare, che tali loro significato e portata devono essere determinati non solo dal testo della Carta e della CEDU, ma anche dalla giurisprudenza della Corte EDU e della Corte di giustizia. Inoltre, come prosegue lo stesso articolo della Carta, il diritto dell’UE può prevedere “una protezione più estesa”. Questo significa che si privilegia un rapporto dinamico fra Corti e sistemi, che la “corrispondenza” dei diritti non contrasta con la pluralità di sistemi, necessaria invece proprio per assicurare l’evoluzione dei diritti fondamentali ed una sempre migliore protezione. Del resto, l’idea di “armonia” con le tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, come precisano sempre le Spiegazioni, non vuol dire limitarsi al “minimo comune denominatore”, ma sostenere “un elevato livello di tutela” nella ricerca di un costante coordinamento ed equilibrio fra sistemi.
Infine, non bisogna dimenticare il ruolo fondamentale svolto dai giudici nazionali per la protezione dei diritti fondamentali. Così la Corte di giustizia ha sottolineato che spetta al giudice nazionale “assicurare ai singoli la tutela giurisdizionale derivante dalle norme del diritto dell’Unione e garantirne la piena efficacia”, “disapplicando, se necessario, qualsiasi disposizione contraria della normativa nazionale, indipendentemente dall’esercizio della facoltà di cui dispone, nei casi previsti dall’art 267, secondo comma, TFUE” di sottoporre alla Corte di giustizia una domanda di pronuncia pregiudiziale [ v., in questo senso, Corte giust., 19.1.2010, causa C-555/07 (caso Kücükdeveci); v. in precedenza anche Corte giust., 15.4.2008, causa C‑268/06 (caso Impact); Corte giust., 22.11.2005, causa C‑144/04 (caso Mangold);Corte giust., 5.10.2004, cause riunite da C‑397/01 a C‑403/01 (caso Pfeiffer e a.)]. Il giudice nazionale ha quindi il potere di valutare pienamente, se del caso con la collaborazione della Corte, la compatibilità della normativa nazionale con la Carta dell’UE. La Corte ha anche precisato che quando un giudice nazionale deve verificare la conformità ai diritti fondamentali di una norma nazionale che, in una situazione in cui l’operato degli Stati membri non è del tutto determinato dal diritto dell’Unione, attua tale diritto ai sensi dell’art. 51 della Carta, è consentito applicare gli standard nazionali di tutela dei diritti fondamentali, “a patto che tale applicazione non comprometta il livello di tutela previsto dalla Carta, come interpretata dalla Corte, né il primato, l’unità e l’effettività del diritto dell’Unione” [Corte giust., 26.2.2013, C-399/11 (caso Melloni); Corte giust., 26.2.2013, causa C-617/10 (caso Åklagaren)].
È evidente che questi continui dialoghi ed interazioni tra giurisdizioni nazionali e sovranazionali rievocano l’epoca dello ius commune, quando l’apertura delle regole e degli ordinamenti garantiva la ricerca della soluzione migliore. Trattandosi qui di definire il significato e la portata dei diritti fondamentali dell’uomo, il problema è non tanto quello di risolvere un eventuale contrasto formale fra giurisdizioni o fra norme, ma piuttosto di un possibile contrasto fra valori fondamentali. Occorrerà allora procedere ad un bilanciamento fra valori e questo impone una complessa opera di raffronto e di valutazione, come fra diritti umani e libertà fondamentali protette dal Trattato UE (si pensi al caso Schmidberger e al caso Omega) o fra diritti fondamentali protetti dalla CEDU e dalla Carta costituzionale (v. da ultimo, Cass., 30.4.2014, n. 1139, e caso Varvara), tenuto conto dei continui cambiamenti derivanti da un’evoluzione costante ed inarrestabile. Esistono però alcuni diritti che costituiscono il “cardine” di ogni sistema e sono (devono essere) sempre inderogabili, primi fra tutti la difesa della dignità della persona.
3. L’interazione fra sistemi nazionali e sovranazionali e il dialogo fra le Corti hanno trovato una concretizzazione proprio nella Carta dell’UE. Non si tratta, infatti, di un mero atto di ricognizione dei diritti fondamentali espressi dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e dalle convenzioni internazionali.
Da una parte, la Carta dell’UE si adegua alle nuove esigenze, risultando più completa e “moderna” rispetto alla CEDU: procede ad un’opera di attualizzazione del contenuto dei diritti tradizionali, prevedendo diritti non espressi nella CEDU, come il diritto all’integrità della persona, che comprende la tutela dai rischi derivanti dal progresso della medicina e della biologia (art. 3) e il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia (art. 9), senza specifico riferimento all’unione uomo-donna; recepisce diritti che trovano il loro fondamento nei Trattati o sono stati riconosciuti dalla Corte di giustizia, come i diritti dei cittadini dell’Unione (Titolo V); introduce diritti “nuovi”, in particolare quelli economici e sociali, come il diritto di asilo (art. 18), i diritti dei lavoratori (artt. 27 ss.) e la protezione della salute (art. 35). Ma essa abbandona la classica distinzione dei diritti in civili, politici, economici e sociali per adottare una suddivisione per valori: dignità, libertà, solidarietà, eguaglianza, cittadinanza e giustizia.
Dall’altra parte, la Carta dell’UE fa propri anche diritti che hanno trovato riconoscimento e protezione tramite la Corte di Strasburgo, chiamata sempre a dare un’interpretazione dinamica alle norme della CEDU, al fine di adeguarle ai continui mutamenti economici, sociali e culturali. L’esempio del diritto alla protezione dei dati di carattere personale è emblematico. Con il passaggio alla c.d. “società dell’informazione” la Corte ha, infatti, tutelato il diritto alla riservatezza nel trattamento automatizzato dei dati personali attraverso un’interpretazione estensiva dell’art. 8 CEDU (sul diritto al rispetto della vita privata), che è stata recepita dal legislatore europeo ed è ora contenuta all’art. 8 della Carta dell’UE (“Protezione dei dati di carattere personale”; v. anche art. 7 sul rispetto della vita privata, quale diritto fondamentale strettamente correlato ma distinto dalla protezione dei dati personali). Di fronte all’incessante progresso tecnologico e al fenomeno della globalizzazione, una revisione della legislazione europea sulla protezione dei dati personali, in particolare la proposta di Regolamento generale del 25 gennaio 2012, mostra, altresì, la necessità di rafforzare il controllo e la protezione degli utenti sui propri dati, oltre a uniformare maggiormente la normativa, che è stata invece attuata in modo difforme nei singoli Stati membri.
Va anche ricordato che la Carta, quale fonte primaria di protezione dei diritti fondamentali nell’UE, diviene parametro di legittimità degli atti dell’Unione. Si pensi allora, sempre in materia di protezione dei dati personali, alla recente sentenza della Corte di giustizia dell’8 aprile 2014, Digital Rights Ireland e Seitlinger e a. (cause riunite C-293/12 e C-594/12), che nel suo ruolo di interprete dei diritti umani ha dichiarato invalida la direttiva sulla conservazione dei dati, in quanto incompatibile con la Carta dell’UE: essa comporta “un’ingerenza di vasta portata e di particolare gravità nei diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati di carattere personale, non limitata allo stretto necessario”.
Infine, deve sottolinearsi che nella Carta dell’UE, come evidenziato anche dalla Corte di giustizia del 15 gennaio 2014 nel caso Association de mèdiation sociale (causa C‑176/12), esistono norme idonee ad essere applicate direttamente ed orizzontalmente nei rapporti interprivati ed altre prive di tale forza cogente. Così, a differenza del principio di non discriminazione in base all’età (v. il caso Kücükdeveci cit.), l’art. 27 della Carta abbisogna dell’attuazione da parte dell’ordinamento nazionale e, pertanto, non può essere invocato in una controversia tra privati al fine di disapplicare una norma interna con esso in contrasto.
4. In conclusione le Corti nazionali e sovranazionali svolgono una funzione fondamentale di propulsione, di precisazione e di vigilanza per garantire il rispetto dei diritti umani. Non basta l’affermazione dei diritti umani nelle norme delle Carte costituzionali, della CEDU e della Carta dell’UE; occorre che queste diventino “vive e vitali” attraverso la loro interpretazione ed applicazione ad opera delle Corti. Come efficacemente osservato da Vittorio Frosini il problema dell’interpretazione giuridica dei diritti umani, il passaggio dalla parola della legge alla sua applicazione al caso concreto, il quid iuris resta strettamente collegato al quid ius, ossia al “valore intrinseco che sta alla base della norma giuridica”. Si parla ormai di un sistema multilivello al fine di sistemare le diverse fonti nazionali e sovranazionali. Ma i diritti umani e le norme che li tutelano, sia esse contenute in documenti nazionali o sovranazionali, sia esse direttamente applicabili o meno, possono meglio considerarsi “la base, la fondamenta” di questo sistema, perché “il valore attribuito ai diritti umani è lo stesso: essi sono riconosciuti come inerenti al soggetto giuridico in quanto persona umana, fisica e morale, che ne è il portatore, non per legge di natura, o per legge della ragione, o per diritto divino, ma per quella coscienza comune di umanità che genera una comune esperienza giuridica”. E la storia della Carta di Nizza, con il suo riconoscimento e la sua diffusione antecedenti e indipendenti da un atto formale, è in questo senso emblematica.