Il protocollo Italia-Albania alla prova della più recente giurisprudenza. Riflessioni a partire dal rinvio pregiudiziale del Tribunale di Roma alla CGUE (XVIII Sezione Civile – Immigrazione, 11 novembre 2024)
Queste note hanno l’obiettivo di commentare l’ordinanza del Tribunale di Roma, XVIII Sezione Civile – Immigrazione, resa l’11 novembre 2024 in occasione del giudizio di convalida della misura del trattenimento presso il centro di trattenimento e di rimpatrio di Gjader, in Albania, disposta l’8 novembre 2024 con decreto del Questore di Roma nei confronti di un richiedente protezione proveniente dal Bangladesh, ossia da un cd. Paese sicuro.
1. Il centro di Gjader è stato costruito in attuazione del tanto discusso Protocollo Italia-Albania, siglato il 6 novembre 2023 e ratificato dal Parlamento italiano con legge 14/2024 (A. Fusco, 2024). L’obiettivo dell’Accordo è, nei fatti, la creazione di una vera e propria enclave sul territorio albanese (L. Masera, 2023) al fine di lì trattenere i migranti sprovvisti di un valido titolo per accedere al territorio italiano e sempre lì esaminare le richieste di protezione avanzate, provvedendo ai rimpatri nel caso di diniego e al trasferimento sul territorio italiano nel solo caso dell’accoglimento. A tali fini, le aree su cui sorgono i centri sono equiparate a zone di frontiera o di transito, con la conseguenza che anche lì trova applicazione la cd. procedura accelerata per coloro che provengano dai cd. Paesi sicuri (art. 3, comma 3, l. 14/2024). Le procedure accelerate, in particolare, comportano un dimezzamento dei termini processuali, sia in fase amministrativa sia in quella (eventuale) giurisdizionale (art. 35 bis, comma 2 bis, d. lgs. 25/2008) e fanno sì la domanda di protezione sia colpita da una presunzione di non fondatezza (art. 28 ter, d. lgs. 25/2008). Ad ogni modo, non essendo qui possibile indugiare sugli aspetti più problematici del Protocollo, basti ricordare che le criticità da esso sollevate sono comunque molte, soprattutto per ciò che attiene alla tutela dei diritti costituzionali e all’extraterritorialità (C. Siccardi, 2024; S. Greco, 2024). È altrettanto doveroso evidenziare, però, che il Protocollo Italia-Albania si inserisce nel solco tracciato dal nuovo Patto europeo sulla migrazione e l’asilo adottato dal Consiglio dell’UE il 14 maggio 2024 (Di Pascale, 2024), il quale prevede l’obbligatorietà di procedure accelerate per il riconoscimento della protezione internazionale (in casi prestabiliti), accompagnata da un trattenimento in ingresso automatico (Considerando n. 69, Reg. UE 1348/2024), oltre alla possibilità di qualificare come sicuri i Paesi di origine o di provenienza, con eccezioni per zone o per categorie di persone (art. 59, comma 2, Reg. UE 1348/2024).
2. A complicare il quadro ha contribuito una recente e tanto discussa sentenza della Corte di Giustizia (CGUE, 4 ottobre 2024, C-406/22), che si è, invece, mossa in direzione opposta a quella intrapresa dal nuovo Patto, chiarendo, in occasione di un rinvio pregiudiziale promosso da un giudice ceco, sia che la designazione di un Paese sicuro con eccezioni di parti del territorio non sia compatibile con l’art. 37 della Direttiva 2013/32 e con l’Allegato I alla Direttiva 2013/32, sia che il giudice nazionale possa sindacare, anche d’ufficio, la designazione di Paese sicuro effettuata dal potere esecutivo. La pronuncia ha avuto un impatto dirompente sull’ordinamento interno, consentendo ai giudici nazionali di sindacare la designazione dei Paesi sicuri, presupposto della procedura accelerata, a sua volta premessa per l’operatività del Protocollo Italia-Albania.
Così, il 18 ottobre il Tribunale di Roma non ha convalidato il trattenimento dei primi migranti condotti nei centri sorti sul territorio albanese in esecuzione del Protocollo Italia-Albania (Trib. Roma, XVIII Sez. civile – immigrazione, decreti 18 ottobre 2024, nn. 42251 e 42256). Il ricorso per cassazione proposto dal Ministero dell’Interno e dal Questore di Roma avverso l’ordinanza coinvolgente il richiedente egiziano è sfociato nell’ordinanza interlocutoria del 30 dicembre 2024 (Cass., I Sez. Civile, 34898/2024), con cui il Giudice di legittimità ha rinviato la causa a nuovo ruolo, in attesa della decisione della CGUE sui rinvii pregiudiziali dinanzi a ella pendenti per effetto dei provvedimenti suindicati. La Cassazione ha però nel frattempo affermato che anche «il giudice della convalida, garante, nell’esame del singolo caso, dell’effettività del diritto fondamentale alla libertà personale, non si sostituisce nella valutazione che spetta, in generale, soltanto al Ministro degli affari esteri e agli altri Ministri che intervengono in sede di concerto, ma è chiamato a riscontrare, (…) la sussistenza dei presupposti di legittimità della designazione di un certo Paese di origine come sicuro (…)».
A fine ottobre, il Governo ha deciso di sostituire la lista di Paesi sicuri di cui al d.m. del 7 maggio con l’elenco di cui al decreto legge 158/2024, traslando il problema, nel sistema delle fonti, ad un livello gerarchico superiore e generando, come evidenziato dai media, uno “scontro” tra il potere esecutivo e quello giurisdizionale, considerato responsabile del possibile fallimento del progetto “Albania”. Di lì in avanti, i giudici che, in diversi procedimenti, si sono confrontati con il nuovo d.l. hanno optato sia per la sua disapplicazione (cfr. Trib. Catania, Sez. Immigrazione, decr. 4 novembre 2024), in forza del principio del primato del diritto UE, sia per la proposizione di rinvii pregiudiziali (cfr. Trib. Bologna – Sez. Immigrazione, ord. 25 ottobre 2024) (C. Siccardi, 2024).
Da ultimo, è doveroso dar conto della pronuncia, successiva all’ordinanza in esame, con cui la Corte di cassazione (Cass., I Sez. Civile, 33398/2024), recependo quanto chiarito dalla Corte di Giustizia dell’UE, ha risposto ad un rinvio pregiudiziale promosso ex art. 363 bis c.p.c. dal Tribunale di Roma a luglio 2024, chiarendo che il giudice ordinario possa disapplicare il decreto ministeriale recante l’elenco dei Paesi sicuri, qualora «la designazione operata dall’autorità governativa contrasti in modo manifesto con i criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea o nazionale».
3. Stante la complessità della cornice appena descritta, il Giudice romano, ritenendo di non potersi limitare ad applicare il principio del primato del diritto UE (AISDUE, 2024), ha deciso di percorrere la via del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ex art. 267 TFUE.
I quattro quesiti pregiudiziali sui quali viene così chiamata a pronunciarsi la CGUE risultano essere:
- se il diritto UE osti a che il legislatore nazionale provveda con atto legislativo primario a designare un Paese come sicuro;
- se il diritto UE sia di ostacolo a che il legislatore provveda alla suddetta designazione «senza rendere accessibili e verificabili le fonti adoperate per giustificare tale designazione (…)»;
- se il diritto UE impedisca che «il giudice possa in ogni caso utilizzare informazioni sul Paese di provenienza, attingendole autonomamente dalle fonti di cui al paragrafo 3 dell’art. 37 della Direttiva, utili ad accertare la sussistenza delle condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’Allegato I della Direttiva»;
- se il diritto UE «osti a che un Paese terzo sia definito di origine sicuro qualora vi siano, in tale Paese, categorie di persone per le quali esso non soddisfa le condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’allegato I della Direttiva».
Con riferimento al primo quesito, in particolare, il Giudice romano evidenzia come la previsione dell’elenco dei Paesi sicuri all’interno di un atto governativo avente forza di legge determini il rischio la designazione avvenga in deroga alle fonti primarie (ossia a quanto previsto dal d. lgs. 25/2008 in attuazione della Direttiva procedure).
Per ciò che attiene al quarto quesito, invece, il Giudice del rinvio sottolinea come l’intervento del Governo lasci inalterata la possibilità che l’Esecutivo qualifichi Paesi come sicuri anche se con l’esclusione di categorie di persone, contrariamente a ciò che la Corte ha avuto modo di chiarire con la sentenza del 4 ottobre.
Infine, può dirsi che il Tribunale di Roma colga l’occasione per sostenere (§ 89) l’inadeguatezza dei tempi della procedura accelerata di frontiera rispetto alle esigenze sottese a «situazioni di persecuzione, discriminazione e maltrattamento come quelle relative a categorie di persone: tali situazioni, infatti, emergono normalmente soltanto all’esito di un’approfondita istruttoria sulla situazione di ogni singolo richiedente protezione, possibile esclusivamente nelle procedure amministrative ordinarie di esame della domanda di protezione (…)».
4. Oltre che da inadeguatezza, le procedure accelerate, per quanto previste dal diritto UE, appaiono afflitte da dubbi di costituzionalità: il diritto d’asilo di cui all’art. 10, comma 3, Cost., nel riconoscere il diritto di ingresso (cfr. ex multis Cass. civ., sez. I, sent. 25028/2005) a quanti si vedano impedito nel proprio Paese di origine o di provenienza l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, non effettua alcuna differenziazione in ragione dei singoli Paesi. L’unica causa giustificante del diritto costituzionale d’asilo è, infatti, quella appena esposta (M. Benvenuti, 2007; L. Minniti, 2020). Sostenere, invece, che le condizioni coperte da riserva di legge di cui all’art. 10, comma 3, Cost. possano includere una tale differenziazione finirebbe per snaturare la causa giustificante.
In conclusione, allo stato attuale, sempre più intricato appare il coacervo di giurisprudenza e normativa in cui il Protocollo Italia-Albania si trova ad essere (in)operante, tanto che una pronuncia dai tratti chiarificatori è certamente auspicabile.