Il Patto di stabilità e crescita tra sospensione e proposte di riforma. Un’occasione per ripensare le fiscal rules?
Con una Comunicazione al Consiglio del 3 marzo 2021, la Commissione europea ha confermato le proprie posizioni dell’anno precedente riguardo l’attivazione della c.d. “clausola di salvaguardia generale” del Patto di stabilità e crescita (PSC): la grave recessione causata dalla pandemia autorizza gli Stati membri ad allontanarsi temporaneamente dal percorso di aggiustamento verso l’obiettivo di bilancio a medio termine.
Presa da sé, la notizia non sconvolge gli osservatori. I dati epidemiologici ed economici, insieme agli sforzi finanziari di ciascuno Stato membro per contrastare gli effetti della crisi, lasciavano prevedere che – almeno per l’anno corrente – non si sarebbe tornati ad applicare il regime di fiscal rules preesistente alla pandemia. La Comunicazione, tuttavia, sembra offrire al lettore più di quanto appaia ad una prima lettura.
Infatti, oltre a ribadire la necessità di sospendere il PSC, la Commissione abbozza i criteri che dovranno guidare la scelta riguardo la disattivazione della clausola di salvaguardia: «la decisione sulla disattivazione o sul mantenimento della clausola di salvaguardia generale dovrebbe essere presa nel quadro di una valutazione globale dello stato dell’economia sulla base di criteri quantitativi. […] La disattivazione della clausola dovrebbe essere subordinata allo stato dell’economia nell’UE e nella zona euro, riconoscendo che ci vorrà del tempo prima che l’economia torni a condizioni più vicine alla normalità […] Il livello dell’attività economica nell’UE o nella zona euro rispetto ai livelli precedenti la crisi (fine 2019) costituirebbe pertanto, a parere della Commissione, il principale criterio quantitativo per valutare nel complesso l’opportunità di disattivare o di mantenere la clausola di salvaguardia generale. […] Le attuali indicazioni preliminari suggeriscono pertanto di continuare ad applicare la clausola di salvaguardia generale nel 2022 e di disattivarla a partire dal 2023».
La Commissione, dunque, chiarisce che il PSC – e con sé tutto il complesso delle regole che governano a livello europeo la formazione dei bilanci nazionali – sarà riattivato solo quando le condizioni economiche dell’Unione e dell’Eurozona lo permetteranno, e cioè quando si sarà raggiunto il livello di attività economica precedente alla crisi. Allo stato, e tenendo in considerazione le previsioni economiche invernali 2021 della Commissione, è previsto che una simile condizione si possa verificare entro il 2022, rendendo plausibile una riattivazione del PSC entro il 2023.
Il che, tuttavia, sembra voler significare anche qualcosa di più. Nel 2022, infatti, le stesse previsioni riportano il dato per cui i valori di Austria, Spagna, Grecia e Italia saranno al di sotto della media dell’Eurozona (percentuale di PIL del 2022 su quello del 2019, rispettivamente del: 99,3%, 99,0%, 97,8%, 97,6%); alla riattivazione del PSC questi Paesi, insomma, non saranno ancora usciti dalla crisi. Sul punto, la Commissione tranquillizza, sostenendo che: «[s]e in uno Stato membro l’attività economica non sarà tornata ai livelli precedenti la crisi, saranno sfruttate appieno tutte flessibilità nell’ambito del patto di stabilità e crescita, in particolare nel proporre orientamenti in materia di politica di bilancio». Flessibilità, quindi, ma anche proposte di orientamenti in materia di politica di bilancio: un conforto sibillino, potrebbe dire qualcuno.
Ad ogni modo, quello che appare utile evidenziare in questa sede è che, attorno all’affidamento della Commissione nella riattivazione del PSC, gravita una ricca compagine di proposte le quali – ciascuna secondo la propria peculiarità – lasciano emergere la sostanziale inadeguatezza dell’attuale Patto a fronteggiare le sfide che attendono l’Unione e gli Stati membri per gli anni che verranno. Proprio al fine di avere contezza di cosa sarà del principale strumento di coordinamento dei bilanci nazionali, si rende utile effettuare una breve rassegna delle ipotesi di modifica del Patto di stabilità e crescita avanzate fino ad ora, comprendendo sia quelle già emerse prima dell’emergenza pandemia e sia quelle presentate dopo l’irrompere della crisi.
Quanto alle prime, la maggioranza di queste parte dal presupposto che le attuali regole europee siano caratterizzate da un tasso di complessità politica e giuridica tale da rendere le regole stesse incapaci di proteggere gli obiettivi cui sono preposte (sul punto Z. Darvas, P. Martin, X. Ragot, C. Kamps; N. Leiner-Killinger; O. Blanchard). La proposta di Olivier Blanchard (capo economista del Fondo monetario internazionale dal 2008 al 2015) del 2019, in particolare, reputa auspicabile l’abbandono delle vigenti regole in quanto queste – mosse dall’intento di vincolare le condotte fiscali dei Paesi membri – finiscono per regolare micro-manifestazioni di deviazione dagli obiettivi di bilancio, senza però essere utili a guidare lo sviluppo macroeconomico della singola economia nazionale.
Alla critica alle regole in quanto tali si aggiunge poi un rilievo più propriamente sistemico (R. Fargnoli), con il quale si richiama l’attenzione sul classico tema della mancanza di una vera e propria politica fiscale europea. Quest’ultima, infatti, insieme agli effetti di una politica monetaria di sostegno, è vista come l’unico elemento capace di contribuire al superamento delle note difficoltà di applicazione delle fiscal rules. In sostanza, l’evenienza di un debito comune permetterebbe di risolvere diffidenze reciproche e la necessità di politiche fiscali nazionali “arrischiate”. Tutto questo, insieme al superamento dei criteri prevalentemente quantitativi del PSC («[a] quantitative evaluation of fiscal variables would not dominate the qualitative assessment of the overall strategy. The plan would be refused in case of gross-policy errors not addressed in the negotiation phase. […] In all the other cases, where gross-policy errors are not clearly identified, but the EU and national authorities cannot agree on the content of the plan, a critical opinion would be issued. The critical opinion is aimed at giving some credits to national authorities in pursuing their policy strategy»), aprirebbe il campo ad un dialogo politico più sano e produttivo di quanto sperimentato fino ad ora.
Nel filone della modifica dei criteri di valutazione delle condizioni finanziare dello Stato membro si inserisce, infine, la proposta di valutare debito e deficit non più rispetto al prodotto interno lordo, bensì rapportandoli all’insieme delle entrate statali (Enrico D’Elia). Tale cambiamento avrebbe il pregio di sfuggire dalle incertezze di un dato statistico (il PIL), recuperando così in termini di qualità, trasparenza e concretezza delle valutazioni sulle politiche nazionali di bilancio.
Quanto alle proposte di modifica del PSC successive all’affermarsi della crisi pandemica, sembra che i principali profili innovativi rispetto alle precedenti siano due: l’attenzione per gli investimenti (in particolare quelli rivolti alla sostenibilità ambientale) e il rafforzamento della critica contro il sistema giuridico di gestione delle politiche di coordinamento dei bilanci, nella misura in cui risulta caratterizzato da regole eccessivamente rigide.
Il primo profilo è stato affrontato direttamente dallo European Fiscal Board con il Report 2020. In quella sede, infatti, si è espressa la necessità di passare da un sistema di valutazione essenzialmente basato sul debito ad uno più attento alla spesa pubblica, con particolare riguardo alla sua qualità. La proposta è quella di una c.d. expenditure rule tesa da una parte a limitare la spesa corrente e dall’altra a promuovere gli investimenti; questi, oltre ad essere promossi dalla modifica dei criteri di valutazione, dovrebbero essere sostenuti tramite il loro scomputo dal bilancio (c.d. golden rule). Su quest’ultimo tema, poi, le posizioni non sono univoche dacché, se da una parte c’è chi invoca una golden rule generale per gli investimenti (D. Gros, M. Jahn), dall’altra c’è chi pone l’attenzione sulla necessità che molti degli sforzi degli Stati membri vadano verso il raggiungimento della sostenibilità ambientale (A. Pekanov, M. Schratzenstaller) e che perciò il PSC (o meglio, il relativo Codice di condotta) preveda una specifica ipotesi di flessibilità per gli investimenti green, consentendo così brevi deviazioni dal percorso di avvicinamento all’obiettivo di medio termine; in alternativa, si propone che le spese sostenute per la medesima categoria di investimenti siano oggetto di una green golden rule.
Il secondo profilo è stato oggetto di un lavoro a cura di O.Blanchard, A. Leandro, J. Zettelmeyer con il quale – oltre ad approfondire lo studio del 2019 citato supra, e partendo dal presupposto per cui ciascuna regola, in quanto tale, è esposta al rischio dell’obsolescenza e dell’inadeguatezza – gli autori propongono di affidare il coordinamento delle politiche fiscali (e i criteri di valutazione della sostenibilità del debito) a standards elastici. In sostanza, il passaggio sarebbe quello che porterebbe dalla valutazione attraverso limiti alla valutazione per obiettivi, ed il punto di partenza dovrebbe essere individuato nell’art. 126, par. 1 del TFUE (“Gli Stati membri devono evitare disavanzi pubblici eccessivi”). Da qui seguirebbe la definizione di criteri di valutazione a mezzo della legislazione secondaria dell’Unione, riservando alla Commissione la sorveglianza e finanche il potere di sospensione delle decisioni di bilancio ritenute incoerenti con la sostenibilità del debito. In caso di contrasto tra Paese membro e Commissione, questo dovrebbe essere risolto dalla Corte di giustizia, con il pregio di dar vita ad una fiscal standard case law e di evitare che la soluzione della controversia sia affidata ad un organo politico come il Consiglio.
Questo, in breve, il tenore delle proposte che gravitano attorno al futuro del Patto di stabilità. A chi scrive sembra di poter affermare che il dibattito chiarisca il motivo per cui, se i dubbi sul come e sul quando sono più che legittimi, altrettanto non valga per le ipotesi di ritorno ad una sorta di pre-PSC: la sospensione è momentanea, e prima o poi la clausola di salvaguardia generale verrà disattivata.
Quello che è certo è che la pandemia, insieme alla necessità di una risposta efficace dell’Unione e degli Stati, ha dimostrato come le regole vigenti siano esposte al rischio dell’inutilizzabilità. Partendo da qui – e ricordando che ciascuna crisi può essere ritenuta superabile solo quando il sistema che la vive si dimostri capace di darsi un’identità (J. Habermas, Legitimation crisis, 1976), a rischio di disintegrarsi – l’auspicio è allora quello per cui l’emergenza attuale diventi l’occasione di riscoprire un’identità europea che, in tema di fiscal rules, sia emancipata dal mito (a volte falso) della austerità, e più vicina alle logiche della collaborazione e della solidarietà.10