Dopo l’ennesima sconfitta giudiziaria, la Catalogna elegge (forse) il Presidente
La Catalogna è ancora commissariata nonostante siano trascorsi 6 mesi dalle elezioni. Dopo aver tentato di rieleggere Puigdemont come Presidente della Generalitat, le forze indipendentiste hanno proposto Jordi Sanchez. Sanchez, però, era in carcere da novembre e il giudice non gli ha concesso l’autorizzazione per recarsi al Parlament per ricevere l’incarico, facendo naufragare anche questo tentativo. Il Presidente del Parlamento Torrent, allora, ha convocato una seduta per nominare Jordi Turull, che era stato incarcerato per un mese a novembre, ma in quel momento si trovava in libertà. Anche questo tentativo si è rivelato inutile, perché è stato nuovamente arrestato pochi giorni prima dell’investidura.
È tornato allora centrale il tema dell’investitura a distanza, possibilità già respinta dal Tribunal Constitucional lo scorso 27 gennaio (asunto n. 492/2018).
Lo Statuto della Catalogna e legge catalana sulla Presidenza stabiliscono che il Presidente della Generalitat debba essere eletto entro due mesi dalla celebrazione della prima votazione d’investitura (tenutasi, nel caso di specie, il 22 marzo), decretando, in caso contrario, lo scioglimento del Parlament e la convocazione di nuove elezioni. Una tempistica, questa, che ha condizionato le strategie del blocco indipendentista.
Per evitare lo scioglimento ex lege del Parlamento, quindi, il 4 maggio il Parlament catalano ha approvato di misura una modifica di legge che permetterebbe al candidato di essere eletto Presidente anche a distanza (Butlletí officia del Parlament de Catalunia, 4 maggio 2018). La norma è stata approvata con 70 voti a favore e 65 contrari. La disposizione novellata è il nuovo art. 4, comma 3, della legge 13/2008 sulla Presidenza della Generalitat e del Governo. La novella, infatti, recita che «En cas d’absència, malaltia o impediment del candidat o candidata en la data de la sessió d’investidura, el Ple pot autoritzar, per majoria absoluta, que el debat d’investidura se celebri sense la presència o sense la intervenció del candidat o candidata, que en aquest cas pot presentar el programa i sol·licitar la confiança de la cambra per escrit o per qualsevol altre mitjà previst pel Reglament». È stato modificato anche l’art. 35 che permette la gestione a distanza degli affari della Generalitat.
Il Governo ha presentato immediatamente un ricorso al Tribunal Constitucional (autorizzato dal Consejo de Ministros il 9 maggio), visto sembrerebbe trattarsi nei fatti di una revisione dello Statuto (bisognerebbe seguire, in questo caso, l’art. 223 dello Statuto, che prevede un’approvazione a maggioranza dei 2/3 dei membri del Parlamento, un referendum confermativo e un ratifica da parte delle Cortes Generales). Il Consejo de Estado (all’unanimità) ha espresso parere positivo sul ricorso (expediente n. 429/2018 del 7 maggio). Il 9 maggio il Tribunal Constitucional ha ritenuto ammissibili le doglianze di Madrid e ha sospeso in via cautelare la riforma. A questo punto le forze indipendentiste hanno proposto Quim Torra, catalano “duro e puro”, che potrà portare avanti dello scontro con Madrid sull’indipendentismo. Sabato 12 maggio si è tenuta la prima seduta di investitura, senza che fosse raggiunta la maggioranza assoluta dei voti, mentre lunedì 14 maggio basterà la maggioranza semplice. Se il fronte indipendentista resterà unito, la Catalogna avrà finalmente il proprio Presidente.
Secondo Marcel Mateu, professore di Diritto Costituzionale presso l’Universitat di Oberta de Catalunya (UOC), la situazione è complessa, visto che «desde el punto de vista jurídico todo es incierto». La dottrina spagnola, infatti, non ha mai approfondito la tematica della presenza fisica del candidato. L’art. 67 dello Statuto afferma che per l’investitura è necessario solamente essere membri del Parlamento. Il medesimo articolo prevede che il Presidente della Generaliat, per essere eletto, debba tenere un discorso con i punti programmatici del futuro Governo e che debba ottenere nella prima votazione la maggioranza assoluta dei voti. Se tale quorum non fosse raggiunto si terrebbe un nuovo discorso entro due giorni, da approvarsi con la maggioranza semplice. Se anche questo quorum mancasse, il Presidente del Parlamento dovrebbe designare un nuovo candidato (consultando le forze politiche) che dovrebbe ricominciare l’iter. Come detto, se entro due mesi dalla prima votazione non ci fosse un’elezione, il Parlamento sarebbe sciolto ex lege (Barceló e J. Vintró, 2008, pp. 340-342; Alberti, Aja, Font, Padrós e Tornos, 2002, pp. 246-247).
Su tale articolo, inoltre, manca addirittura giurisprudenza rilevante (Pulido Quecedo, 2010, pp. 239-240). Il Tribunal Costitucional, con la già citata sentenza dello scorso 27 gennaio, si è espresso per la prima volta sul punto. Infatti la Corte ha sottolineato l’inutilizzabilità di procedure telematiche o di delega, vista la necessità di una “presenza fisica” al dibattito d’investitura. Nel caso di Puigdemont, però, la presenza fisica del candidato necessita di un’autorizzazione del Tribunal Supremo, perché limitato nella libertà personale. La Corte, infine, ha annunciato che ogni atto contrario a queste direttive è «nullo e senza valore» (punto 5), e che gli autori di eventuali comportamenti che mirino a far celebrare un’investitura non consona ai dettami della Corte, andranno incontro a responsabilità, anche penali (punto 7).
Il decreto di nomina, infine, deve essere firmato dal Re e la dottrina si è chiesta se questo sia un atto dovuto o meno. La maggioranza degli studiosi propende per la prima opzione, visto che il Sovrano potrebbe rifiutarsi di firmare il decreto solo in presenza di vizi gravi ed evidenti (i casi di scuola sono l’assenza del quorum richiesto o la nomina di una persona diversa rispetto a quella votata, cfr. Cometarios sobre el Estatuto de Autonomia de Cataluña, 1990, pp. 339- 341). In questo caso Filippo VI si potrebbe rifiutare di firmare il decreto di un’eventuale nomina a distanza, visto che questo contrasterebbe apertamente con le sentenze del Tribunal Constitucional dello scorso gennaio del 9 maggio.
La questione catalana appare ancora lontana dall’essere risolta e questo nuovo scontro giudiziario con Madrid rischia di rendere ancora più teso il rapporto tra indipendentisti e centralisti. La modifica legislativa, infatti, è sembrata l’extrema ratio per evitare lo scioglimento del Parlament, tentando ancora una volta la nomina di Puigdemont. Le forze indipendentiste hanno cercato un “piano D” (così chiamato dalla stampa catalana, visto che si tratterebbe del quarto candidato proposto) per una nomina di un Presidente della Generalitat entro il 22 maggio, giorno in cui ci sarebbe la certezza di nuove elezioni. Quim Torra avrà (se investito) il duro compito di gestire una società catalana molto divisa sul clevage indipendenza/centralismo.