Il Grundgesetz a protezione del Bundesverfassungsgericht, fra testo e contesto
Evitare di incorrere in una situazione analoga a quella verificatasi a partire dal 2015 in Polonia (e non solo; Voßkuhle) – dove il massimo organo della giustizia costituzionale è stato oggetto delle mire e delle pressioni dell’allora partito governativo (quello di Diritto e Giustizia – Prawo i Sprawiedliwość) – è stato il motore che ha dato abbrivio alla recente modifica della Legge fondamentale tedesca del 20 dicembre 2024 (Britz e Eichberger).
Fra le ragioni che hanno convinto il legislatore costituzionale vi era la (più che fondata) preoccupazione che un partito populista ‒ come in Germania è Alternativa per la Germania (Alternative für Deutschland – AfD), guidato, tra gli altri, da esponenti che hanno espresso derive scopertamente neonaziste ‒ potesse diventare (prima o poi) una forza partitica con tale consenso elettorale da conquistare la maggioranza dei seggi in Parlamento; tale situazione (distopica per chi difende le ragioni del costituzionalismo) ha fatto sì che i tre partiti dell’allora coalizione di governo (socialdemocratici, verdi e liberali) unitamente ai principali partiti di opposizione della CDU/CSU (e poi anche alla Linke, S. Cavazza) si coalizzassero per Rafforzare la resilienza della Corte costituzionale federale, arrivando a costituzionalizzare la serie di regole inerenti alla composizione, organizzazione e funzionamento del Bundesverfassungsgericht (BVerfG) fino ad allora disciplinate con legge federale. Le recenti elezioni (M. Olivetti) hanno ribaltato tale situazione. L’AfD ha superato la soglia del 20% dei voti, almeno a guardare al livello nazionale. Una rilevazione disaggregata per Länder, invece, arriva ad affidare all’AfD tutti i territori dell’Est (tranne Berlino), con percentuali che sfiorano il 40% dei seggi.
Le disposizioni sul BVerfG trovavano una precisa positivizzazione nella Legge sul Tribunale costituzionale federale (il Bundesverfassungsgerichtsgesetz, BVerfGG); ora, però, l’avvenuta costituzionalizzazione non consentirà più alla sola maggioranza di governo di abrogare tale normativa, richiedendo, per una sua modifica, la maggioranza qualificata dei due terzi che, per l’art. 79 del Grundgesetz (GG) è richiesta per la revisione costituzionale sia nel Bundestag che nel Bundesrat.
Commentando la riforma (E. Caterina, 1, 2, 3) è da rilevare subito che quasi tutti i partiti dell’arco costituzionale hanno palesato la debolezza dell’ordinamento davanti all’incedere delle forze di estrema destra. Prima di spiegare i motivi di una affermazione così netta, soffermiamoci sulle modifiche apportate al testo costituzionale.
Fino alla riforma dello scorso dicembre, nel testo costituzionale erano presenti solo due essenziali articoli: il 93 che riportava le competenze del BVerfG, e il 94 che disciplinava la composizione dell’organo (comma 1) e conteneva una riserva di legge sulla sua costituzione e sulle norme di procedura (comma 2).
Il legislatore di riforma ha invertito il contenuto degli articoli dando precedenza ‒ in un modo di procedere che assumiamo come logico ‒ alla composizione del BVerfG, per poi richiamarne le funzioni.
Il novellato art. 93 aggiunge a ciò che in Costituzione definiva la composizione del BVerfG quanto era disciplinato nel BVerfGG. La riforma riguarda soprattutto lo status e l’organizzazione del Tribunale, il mandato dei suoi giudici e l’effetto vincolante delle decisioni.
Il testo, quindi, specifica il tautologico, id est che la Corte di Karlsruhe è un Tribunale federale di “giustizia autonomo e indipendente da tutti gli altri organi costituzionali”. Il BVerfG è allora composto da sedici giudici, otto per ciascuno dei due Senati che costituiscono le articolazioni interne al Tribunale medesimo. Si costituzionalizza, poi, che il mandato dei membri del BVerfG è di dodici anni, e comunque non può protrarsi oltre la fine del mese in cui il giudice dovesse compiere sessantotto anni. E tuttavia, è anche previsto che alla scadenza del mandato ‒ stante l’istituto della prorogatio ‒ il giudice costituzionale continui a esercitare le proprie funzioni fino alla nomina del suo successore. Non è in ogni caso possibile una rielezione immediata dei giudici. L’ultimo comma prevede che in composizione plenaria il BVerfG stabilisca il proprio regolamento di procedura, mentre secondo l’art. 94, c. 4, GG si prescrive che le decisioni del BVerfG “sono vincolanti per gli organi costituzionali del Governo federale e dei Länder, nonché per tutti gli organi giudiziari e le pubbliche amministrazioni”.
La novella (art. 93, c. 2, GG) stabilisce anche la possibilità dell’avocazione del potere di nomina: con una riserva di legge federale si dovrà prevedere che il diritto di elezione sia esercitato dall’altro organo elettivo (rispettivamente il Bundestag o il Bundesrat) se, dopo la fine del mandato o la cessazione anticipata dall’incarico di un giudice, l’elezione del suo successore non abbia avuto luogo entro un determinato periodo di tempo dopo la scadenza del mandato di un giudice, ovvero dopo la cessazione dalla carica prima del termine previsto (il § 5, cc. 2 e 3, del BVerfGG dispone che i giudici sono eletti al più presto tre mesi prima della scadenza del mandato dei loro predecessori o, se il Bundestag viene sciolto durante questo periodo, entro un mese dalla prima riunione del Bundestag; se un giudice cessa prematuramente dalle sue funzioni, il successore è eletto entro un mese dallo stesso organo che ha eletto il giudice da sostituire).
Questa previsione supera ciò che era normato a livello di legge federale (§ 7 BVerfGG) per cui, in caso di impasse nell’elezione dei nuovi giudici costituzionali da parte degli organi politici, si riconosceva al membro più anziano della Commissione elettorale del Bundestag (§ 6, c. 2 BVerfGG) o al Presidente del Bundesrat la possibilità di sollecitare lo stesso BVerfG a proporre una rosa di candidature. Tali indicazioni non erano comunque vincolanti, potendo ogni Camera esercitare il proprio diritto/dovere di elezione anche verso candidati non inseriti nell’elenco. A ben osservare, per la legge federale si era dinanzi non tanto a un’avocazione del potere, quanto piuttosto a una (seppure eventuale) cooptazione parziale, nel momento in cui la scelta delle Camere parlamentari poteva non essere totalmente libera. Ma i problemi del ritardo potevano ancora rimanere irrisolti, nella misura in cui si rinviava comunque a una scelta rimessa alla discrezionale negoziazione politica.
Il nuovo testo costituzionale, invece, permette la piena avocazione del potere, ovverosia un trasferimento da un organo all’altro del potere non solo di designazione ma anche di nomina. Questa misura è servente a superare, risolvendola, la situazione in cui il ritardo nell’elezione del giudice costituzionale dovesse essere imputabile a una minoranza di blocco.
Ma ciò che rileva nella riforma costituzionale è non solo – come è ovvio che sia – l’esercizio del potere di revisione costituzionale in quanto tale, quanto piuttosto il fatto che sia proprio il massimo organo della giustizia costituzionale tedesca a essere interessato dalle modifiche apportate, nel settantacinquesimo anniversario della Legge fondamentale.
E infatti, il BVerfG ‒ a detta di qualsiasi commentatore ‒ è fra gli organi costituzionali quello che ha sempre goduto di una autorevolezza mai messa in discussione (e non solo in Germania) godendo della fiducia da parte dell’opinione pubblica, anche grazie alla previsione di un ricorso diretto e individuale per la tutela dei diritti fondamentali (il Verfassungsbeschwerde). Nessuno mai ha messo in dubbio l’indipendenza del Tribunale e la critica alle sue decisioni è eminentemente dottrinale (non già politica).
Ma ciò, forse, potrebbe cambiare, stante la torsione demagogica a cui sono sottoposte ormai quasi tutte le democrazie costituzionali (chi più chi meno): si assume che il potere sovrano sia un potere refrattario al controllo e al limite, tutt’al contrario del paradigma della democrazia costituzionale che assume il potere come limitato e mai assoluto.
Per ritornare al contesto, a settembre l’AfD si è affermato come primo partito nei Länder orientali (Sassonia e Turingia) e ora si assesta come secondo partito a livello federale e primo nella parte orientale della Germania. Nel Bundestag, l’AfD ha raggiunto un numero di seggi assai rilevante, tanto che con la Linke può esercitare la cosiddetta minoranza di blocco (i seggi sono rispettivamente 152 e 64 seggi, cioè 216 su 630). Detto in altri termini, le modifiche alla Legge fondamentale o l’elezione dei giudici costituzionali, che richiedono una maggioranza di due terzi (§§ 6, c. 1, e 7 BVerfGG), saranno possibili solo se l’AfD esprimerà un consenso in tal verso.
Se è vero che con la riforma costituzionale il Legislatore ha inteso garantire una cintura protettiva al funzionamento del BVerfG e se il sistema dei partiti continuerà a esercitare la conventio ad excludendum (intanto in Baviera sono stati eletti due giudici costituzionali candidati dall’AfD) nei confronti di un partito che può essere definito anti-sistema (benché i dispositivi della democrazia protetta non siano stati finora attivati: la competenza rientra fra quelle del BVerfG), una qualche perplessità può essere rivolta verso la parte più innovativa della riforma, vale a dire quella della avocazione del potere di nomina da parte dell’organo politico non in ritardo.
Gli organi politici (entrambi) sono nella possibilità di condizionare dall’esterno la vita del BVerfG, nel senso di poterne bloccare l’attività con la mancata elezione dei giudici a scadenza e le contestuali dimissioni dei giudici in prorogatio prolungata.
A tal fine, l’avocazione del potere avrebbe potuto rientrare nelle stesse competenze del BVerfG che, trascorso un periodo di tempo prolungato (in ipotesi anche due/tre mesi), avrebbe potuto esercitare un potere che fisiologicamente non gli pertiene ma che è servente alla composizione completa dello stesso.
Proprio rispetto a quanto ora detto, è necessario rilevare la mancata costituzionalizzazione del quorum dei due terzi per l’elezione dei giudici costituzionali, che non è stata inserita in Costituzione e continuerà quindi a essere richiesta solo dalla legge ordinaria (§§ 6 e 7 BVerfGG). Questa mancanza ‒ dovuta principalmente al timore che il partito AfD potesse ottenere una minoranza di blocco ‒, seppur comprensibile, suscita una qualche perplessità nella misura in cui l’ipotesi di superare lo stallo modificando la legge federale e quindi abbassando i quorum, se da una parte potrebbe costituire una soluzione a una situazione di impasse, dall’altra renderebbe possibile in un futuro (a cui il legislatore di riforma non ha guardato) che anche una maggioranza assoluta possa definire una Corte costituzionale fedele al Governo. Sarebbe stato opportuno, quindi, costituzionalizzare anche questa previsione, una volta che il problema dello stallo è stato superato con il potere di avocazione.
Al netto del testo della riforma, resta evidente come essa sia espressione dell’avanzata del populismo e, quindi, di contro, di una strenua difesa dello stato costituzionale, in special modo della democrazia costituzionale (una democrazia, id est, limitata nella separazione dei poteri e nella tutela dei diritti fondamentali), in una parola di un potere che per sua natura è (deve essere) limitato da poteri che sono e non possono non essere contromaggioritari.
Ma ancor di più. La riforma appare piuttosto espressione di una debolezza fin troppo evidente dello stato dei partiti, che affida alla Costituzione l’ultimo baluardo in difesa dell’ordinamento, incapace com’è di dare risposte (costituzionali) alle domande di conflitto sociale, economico, culturale, territoriale, ovverosia di porre in essere una politica realmente servente alle finalità costituzionali: dignità, libertà, eguaglianza.
Solo una politica di tal sorta potrà essere capace non soltanto di rinsaldare la cintura protettiva contro l’avanzata delle destre xenofobe ma anche di relegare queste ultime a una presenza marginale che rimane fisiologica in ogni ordinamento democratico e ben regolato.
La blindatura del BVerfG ci conferma anche un’altra verità politica, quella per cui il pericolo incombente sulle democrazie non è costituito tanto da una presa del potere violenta, quanto dalla progressiva erosione delle norme democratiche e dalla eliminazione della divisione dei poteri.