Il «Free Marketplace of Ideas» verso il Far West. La Corte Suprema prosegue nello sgretolamento delle garanzie del processo elettorale (McCutcheon et al. v. Federal Election Commission)
Dopo l’imbarazzante sentenza della scorsa estate Shelby County c. Holder, con cui i giudici conservatori della Corte Suprema, a stretta maggioranza, hanno abbattuto due disposizioni del Voting Rights Act poste a presidio del divieto di discriminazione razziale nei procedimenti elettorali negli Stati del Sud, si registra oggi un altro passo indietro della Corte Suprema nella tutela della trasparenza del processo elettorale.
Con la sentenza McCutcheon et al. v. Federal Election Commission, la stessa maggioranza di Shelby County cancella uno dei pilastri della propria giurisprudenza in tema di garanzie del procedimento elettorale, riscrivendo parzialmente la sentenza Buckley c. Valeo. In particolare, è dichiarata incostituzionale la norma del FECA (Federal Election Campaign Act, 1971) che fissa un tetto alle donazioni economiche per campagne elettorali da parte dei privat (c.d. «aggregate limits»). Una norma che mirava ad impedire finanziamenti a pioggia alla generalità dei candidati da parte di soggetti privati al solo scopo di acquisire influenza politica, e che la sentenza Buckley c. Valeo aveva considerato funzionale ad impedire l’elusione del limite più stretto previsto dalla legge, ovvero il tetto massimo di contribuzione a favore del medesimo soggetto politico (c.d. «base limit»), che sarebbe stato facilmente aggirabile attraverso il finanziamento plurimo a soggetti comunque collegati con il candidato sostenuto.
La misura, secondo l’anima conservatrice Corte, è troppo invasiva della libertà di espressione protetta dal I Emendamento, e non resiste allo scrutinio rigoroso («rigorous standard of review») cui vanno sottoposti limitazioni normative in questo campo. Il I Emendamento protegge la libertà di partecipare al processo politico sia attraverso contribuzione economiche che attraverso opinioni e pensieri: efficace, in tal senso, il parallelo proposto dal Chief Justice Roberts, estensore dell’opinione di maggioranza: «The Government may no more restrict how many candidates or causes a donor may support than it may tell a newspaper how many candidates it may endorse».
La Corte, in particolare, non rinviene nel divieto né un ragionevole presidio contro la corruzione politica, né un corollario della norma che fissa il tetto massimo alle donazioni a favore del medesimo soggetto: appoggiandosi a diversi precedenti recenti, rispetto ai quali la sentenza si muove in linea di continuità, la Corte afferma che la sola corruzione apprezzabile quale fenomeno illecito, il cui rischio meriti di essere prevenuto, è lo scambio corruttivo («quid pro quo corruption»), mentre l’intento di acquisire una «general influence» sugli attori politici non rappresenta un illecito di per sé, e non giustifica, pertanto, alcun presidio normativo. Quanto al rischio, intravisto da Buckley c. Valeo, di un’elusione del tetto di contribuzione al singolo candidato attraverso la contribuzione plurima a soggetti collegati, si tratta, secondo l’odierna Corte, di una preoccupazione «far too speculative».
L’opinione dissenziente, redatta da Breyer per la minoranza, non si limita a rilevare il rischio di concentrazione delle donazioni plurime sul medesimo candidato, ma contesta la soluzione del bilanciamento operato dalla maggioranza tra freedom of speech e interesse pubblico alla trasparenza del processo politico: per Breyer, l’esigenza di prevenire rischi corruttivi e di preservare l’integrità delle istituzioni sono interessi più rilevanti di quanto non sia riconsciuto dalla maggioranza.
La decisione si appoggia in più di un passo alla notissima sentenza Citizens United v. Federal Election Commission, del 2010, in cui la Corte aveva dichiarato l’incostituzionalità della norma che vietava ad associazioni, gruppi e società di intraprendere iniziative di comunicazione politica nei giorni precedenti un’elezione federale. Anche in quell’occasione, infatti, la Corte aveva mossa dalla netta prevalenza della freedom of speech sull’esigenza di garantire l’equilibrio elettorale e di prevenire rischi corruttivi («If the First Amendment has any force, it prohibits Congress from fining or jailing citizens, or associations of citizens, for simply engaging in political speech»). Tuttavia in quella sentenza, che pure finiva per favorire l’ingente afflusso di denaro privato nella comunicazione politica, il principio era speso a tutto vantaggio della diffusione del discorso politico, del «free marketplace of ideas»: «The public has a right to have access to all information and to determine the reliability and importance of the information […]». Se con Citizens United, dunque, si cercava di rafforzare ed espandere oltre i tradizionali confini della politica di professione il mercato delle idee politiche, aprendo spazi alle comunicazioni politiche indipendenti dai candidati ufficiali, con l’odierna sentenza McCutcheon si abbandona uno dei presidi di trasparenza del medesimo «marketplace of ideas» e si favorisce l’afflusso diretto di risorse economiche ai candadati ed ai comitati elettorali. Il market delle idee politiche, che Citizens United apriva ai concorrenti deboli tanto quanto a quelli con maggiori disponibilità economiche, viene qui deregolamentato , a tutto vantaggio della concentrazione di risorse a favore dei monopolisti. Dopo Shelby County, l’ennesimo capolavoro dell’ala ultraliberale della Corte Suprema.
I primi commenti e dibattiti sono raccolti sul blog scotus:
http://www.scotusblog.com/case-files/cases/mccutcheon-v-federal-election-commission/