Il finale felice della lunga storia dell’aborto in Argentina
Il 10 dicembre 1948, l’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite approvava e proclamava la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. 72 anni dopo, la Camera dei Deputati argentina approvava con 131 voti a favore, 117 contrari e 6 astensioni, la legge n. 27.610, che riconosce il diritto all’interruzione volontaria della gravidanza durante le prime 14 settimane di gestazione. Tale data rappresenta un momento storico per l’Argentina, dove la lotta per la legalizzazione dell’aborto ha radici lontane.
L’articolo 86 del Codice penale del 1886 stabiliva che tutti i casi di aborto, senza eccezione alcuna, costituissero reato. Una prima apertura si ebbe nel 1921, con la depenalizzazione dei casi nei quali la gravidanza ponesse in pericolo la salute della gestante o fosse la conseguenza di uno stupro. Tale apertura fu successivamente limitata dal decreto legge n. 17.567 del 1968, approvato durante la Revolución Libertadora Argentina, che specificava che il pericolo per la salute della donna che poteva giustificare un aborto doveva essere grave. Inoltre, la normativa del 1968 richiedeva, nel caso in cui la gravidanza fosse stata conseguenza di uno stupro, che l’azione penale per tale delitto fosse già stata esercitata, aggiungendo inoltre il requisito, nel caso in cui la vittima fosse stata una donna incapace di intendere e volere, del consenso del rappresentante legale. Tali modifiche furono abrogate nel 1973 con la legge n. 20.509 (approvata sotto l’egida di un governo democratico) per poi essere reintrodotte tre anni dopo con il decreto legge n. 21.338 (adottato dal governo de facto che instaurò la dittatura militare e che si auto proclamava Proceso de Reorganización Nacional).
Una decina di anni dopo, nel 1984, si approvò la legge n. 23.077 che confermò i casi nei quali l’aborto non era considerato un reato già previsti dalla riforma del 1921. A partire da questa data, circolarono all’incirca 30 progetti di legge diretti a depenalizzare l’aborto, totalmente o solo in alcune circostanze. Tuttavia, sarà solo nel 2018 che un progetto di legge verrà finalmente discusso dal Parlamento. Si trattava del progetto di Ley de Interrupción Legal del Embarazo, approvato dalla Camera dei Deputati con una maggioranza piuttosto risicata (129 voti a favore, 125 contrari e 1 astensione), ma respinto dal Senato che lo bocciò con 38 voti contrari e 31 a favore.
L’approvazione della legge n. 27.610 sull’Acceso a la interrupción voluntaria del embarazo, avvenuta alla fine del 2020, è stata favorita da un contesto politico favorevole. L’attuale presidente argentino, Alberto Ángel Fernández, già durante la campagna elettorale, si dichiarò a favore della legalizzazione dell’aborto. Nonostante l’intenzione del presidente fosse quella di presentare immediatamente un progetto di legge, la pandemia generata dal virus SARS-COV-2 e gli ostacoli al funzionamento del Parlamento argentino, ne posticiparono la presentazione.
Il testo approvato dalle due camere del Congresso argentino riconosce il diritto all’interruzione volontaria della gravidanza durante le prime 14 settimane di gestazione. Trascorso tale termine è possibile praticare l’aborto solo nei casi già previsti anteriormente dalla legge (e quindi nei casi di stupro e di pericolo per la salute della gestante). Si esclude inoltre la possibilità che il personale sanitario possa esercitare l’obiezione di coscienza nell’attenzione post-aborto o nel caso in cui l’aborto sia fondamentale per salvare la vita della paziente e si prevede il termine di 5 giorni per l’esecuzione della pratica abortiva, che decorrono dal momento della richiesta. Il trattamento deve essere gratuito, realizzato nel rispetto della dignità e autonomia della paziente e si deve garantire la riservatezza delle informazioni che la riguardano. Infine, il pubblico ufficiale o il personale sanitario che nega, ritarda o ostacola la pratica abortiva può essere sanzionato penalmente e sospeso dall’esercizio della professione. Uno degli aspetti più innovativi di tale normativa consiste nel fatto che tale diritto è riconosciuto non solo alle donne ma a tutte le persone che possono procreare, aprendo così la porta al riconoscimento dei diritti riproduttivi della comunità LGBTIQ+ (in particolare degli uomini trans).
La storia dell’interruzione volontaria della gravidanza in Argentina è stata una storia di “tira e molla” normativi accompagnata da una profonda discussione a livello giurisprudenziale ma anche da un forte dibattito sociale.
Nel giro di un decennio, la Corte Suprema de Justicia de la Nación è passata da un approccio fortemente conservatore a una posizione timidamente più aperta. Ancora nel 2002, nella sentenza Portal de Belén – Asociación Civil sin Fines de Lucro c/ Ministerio de Salud y Acción Social de la Nación s/ amparo, il giudice supremo argentino dichiarava l’inizio del diritto alla vita dal momento della fecondazione. Di conseguenza, qualsiasi atto idoneo ad alterare l’unione del gamete maschile con quello femminile doveva essere considerato come un impatto diretto sul diritto alla vita del feto. Inoltre, si sottolineava che, indipendentemente dal fatto che il feto impieghi nove mesi all’interno dell’utero della donna per svilupparsi completamente, ciò non dà alla gestante il diritto di decidere sul suo destino. Infine, con riferimento ai contraccettivi di emergenza, la Corte affermava che qualsiasi metodo di emergenza come la pillola del giorno dopo era da considerarsi come una pratica abortiva e quindi illegale, in quanto idoneo ad alterare il funzionamento dell’utero della donna.
Una timida apertura arrivò dieci anni dopo con la sentenza F., A. L. s/ medida autosatisfactiva del 13 marzo 2012, con la quale la Corte Suprema de Justicia de la Nación, sottolineò la necessità di interpretare l’articolo 86 del Codice penale con riferimento alle circostanze specifiche di ogni caso concreto. Tale decisione critica la rigidità dell’art. 86 del Codice penale per non prevedere tra le ipotesi di aborto legale il caso in cui la gravidanza fosse il risultato di uno stupro nei confronti di una donna minore di 14 anni, dato che solo contemplava tale possibilità nel caso in cui la vittima della violenza fosse una donna incapace di intendere e volere.
Sicuramente risulta di maggiore impatto il forte sostegno che la legge n. 27.610 ha ricevuto sia dalle diverse forze politiche quanto da parte di una società civile appassionata. Negli ultimi anni, la cd. “marea verde” ha esercitato una importante pressione e una profonda ispirazione anche a livello politico, tanto nazionale quanto internazionale. Si tratta di un movimento femminista integrato da donne di tutte le età e di differente estrazione sociale. Il gruppo di donne che sosteneva e manifestava a favore del riconoscimento del diritto all’interruzione volontaria e gratuita della gravidanza comprendeva sia donne incinte che donne con accesso a metodi contraccettivi e abortivi; donne sopravvissute ad aborti clandestini ma anche donne che non hanno mai dovuto decidere; figlie di madri single e madri in generale, ma anche giovani donne e adolescenti. Le loro marce sono aumentate nel tempo e a loro volta hanno contribuito in modo decisivo all’accettazione sociale, che ha consentito generare un cambiamento nella coscienza della società argentina. Il movimento della “marea verde” ha sostenuto la lotta per ottenere il diritto all’aborto riducendo a unità diverse concezioni del femminismo e ha assunto un atteggiamento politicamente trasversale, ottenendo il sostegno di diversi partiti.
Ciononostante, la società argentina si è spaccata. Contrariamente agli ideali propri della “marea verde”, il movimento conosciuto come “onda celeste” ha difeso strenuamente l’idea della vita dal concepimento alla morte naturale e si è battuto contro l’indottrinamento, l’ideologizzazione e la politicizzazione della sessualità umana. Il movimento manifesta la sua lotta contro l’“ideologia di genere”, descrivendola come un’idea liberale elitaria che minaccia il concetto naturale di famiglia e cerca di controllare il tasso di natalità. Il caposaldo del movimento si basa sull’idea che la persona esiste dal momento del concepimento; di conseguenza, l’aborto sarebbe un delitto contro una persona indifesa e le gravidanze indesiderate, invece di dare luogo ad aborti, dovrebbero lasciare il posto alle adozioni. Il movimento è composto da due blocchi: da un lato, i rappresentanti della Chiesa cattolica e delle chiese evangeliche e, dall’altro, medici e avvocati “pro-vita”, ma anche una serie di ONG “anti-diritti”, create negli anni Ottanta dallo Stato argentino, a sostegno delle manifestazioni “a favore della vita” e contro i diritti della libertà delle donne.
Nonostante la “marea verde” sia diventata “inarrestabile” con i suoi argomenti a favore del diritto alla libertà di scelta delle donne e la capacità di mobilitazione sociale e collettiva, tuttavia anche l’“onda celeste” ha acquisito grande forza approfittando di ogni occasione per manifestare e sostenere le proprie posizioni, riflettendo così una profonda spaccatura sociale presente in molti paesi dell’America latina.
Sicuramente la legge sull’Acceso a la interrupción voluntaria del embarazo rappresenta un importante passo in avanti dello Stato argentino nell’adempimento degli impegni assunti in materia di salute pubblica e diritti umani. Ma non solo. Si tratta, in realtà, di un traguardo importante per tutte le donne della regione latinoamericana e una fonte di grande ispirazione per gli Stati nei quali ancora oggi abortire è un delitto penalmente sanzionato