Il crescente ruolo strategico della Corte internazionale di giustizia nel conflitto israelo-palestinese
La Corte internazionale di giustizia (Cig), in un parere espresso il 19 luglio 2024, ha affermato che le politiche e le pratiche adottate da Israele nei territori palestinesi occupati (TPO) di Cisgiordania, Gerusalemme Est e Striscia di Gaza violano il diritto internazionale e devono cessare il più rapidamente possibile. Tale parere non attiene al caso, ancora in corso di definizione, portato dinanzi alla Cig dal Sudafrica, che accusa Israele di genocidio nella sua offensiva a Gaza.
Nel caso in esame, la Cig si è pronunciata al termine di un procedimento durato 18 mesi in cui sono stati auditi oltre 50 stati, tra cui la Palestina, ma non Israele, e al quale hanno partecipato anche tre organizzazioni internazionali, dopo che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 30 dicembre 2022 aveva espressamente richiesto alla Cig, con la risoluzione 77/247 di esprimere un parere sulle “conseguenze legali derivanti dalla continua violazione da parte di Israele del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione, dalla sua prolungata occupazione, insediamento e annessione del territorio palestinese occupato dal 1967”.
Dunque, il primo aspetto interessante della pronuncia è che le domande specifiche poste dal Consiglio di Sicurezza riguardavano non solo Israele e Palestina, ma anche l’eventuale intervento delle Nazioni Unite e questioni più ampie di pace e sicurezza internazionale, così come alcuni obblighi erga omnes degli Stati.
Partendo dal presupposto che, secondo il diritto internazionale, l’occupazione è caratterizzata dalla sua natura temporanea al fine di ristabilire la legge e l’ordine ed eliminare le minacce, pur non stabilendo limiti temporali precisi che possano alterare lo status legale dell’occupazione, il parere della Cig contiene un’analisi su vari livelli dell’occupazione israeliana dopo la guerra dei sei giorni del 1967 (par. 6 del parere). È importante notare che la Cig ha evitato di pronunciarsi sulla legittimità dell’occupazione iniziale del 1967. Pertanto, la Corte distingue tra l’illegalità della presenza continua di Israele nei TPO – una conclusione giuridica chiave – e l’illegalità dell’occupazione stessa dei TPO, su cui non si esprime apertamente. I giudici della Corte rilevano che un’occupazione non può essere usata come forma di controllo indefinito e che “non può trasferire il titolo di sovranità alla potenza occupante” (par. 105). Inoltre, lo Stato occupante ha il “dovere di amministrare il territorio a beneficio della popolazione locale” (par. 105). Sulla base di tali principi, la Cig dichiara che l’occupazione prolungata da parte di Israele non soddisfa le condizioni di necessità e proporzionalità dello jus ad bellum e di fatto nega la fondatezza dell’argomentazione giustificativa israeliana che collega l’occupazione a ragioni di sicurezza e legami storici con il territorio, rendendone, pertanto, inevitabilmente illegale la prosecuzione.
Questa conclusione appare un continuum del parere consultivo del 2004 della stessa Cig sulle “Conseguenze Legali della Costruzione di un Muro nel Territorio Palestinese Occupato”, in cui la Corte aveva stabilito che le pratiche israeliane attorno alla barriera di separazione costituivano de facto un’annessione e violavano il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione.
Questa volta, tuttavia, la Corte ha aggiunto un altro punto all’analisi e ha esaminato una gamma più ampia di politiche e pratiche israeliane esercitate nei TPO, stabilendo che questi atteggiamenti violano il divieto di acquisizione di territorio con la forza e il diritto all’autodeterminazione, così come specifiche disposizioni del diritto internazionale umanitario.
La Corte ha altresì affermato che tutti gli Stati sono tenuti a non riconoscere come legittima la presenza di Israele nei TPO e a non fornire alcun sostegno o assistenza per mantenere tale situazione. Inoltre, ha evidenziato che le organizzazioni internazionali, inclusa l’Onu, dovrebbero valutare le modalità più appropriate e adottare le misure necessarie per porre fine a questa occupazione illegale. In tale contesto, la Cig ha voluto sottolineare l’urgenza e la necessità di un intervento coordinato a livello internazionale per affrontare e risolvere una situazione ormai divenuta intollerabile. A riprova della gravità della questione, si segnala che è la prima volta che la Cig si pronuncia sulla legittimità dell’occupazione nel contesto del conflitto israelo-palestinese, che perdura da 57 anni.
Come precedentemente accennato, per formulare un parere così incisivo, la Corte ha esaminato la conformità al diritto internazionale di diverse politiche e pratiche di Israele, riscontrandone l’illiceità sostanziale. In particolare, la Cig ha stabilito che il trasferimento di coloni attraverso la confisca o requisizione di ampie aree di terre palestinesi viola l’articolo 49 della Quarta Convenzione di Ginevra, che proibisce il trasferimento o la deportazione forzata di massa da territori occupati. Inoltre, ha rilevato l’incapacità sistematica di Israele di prevenire o punire gli attacchi dei coloni contro il popolo palestinese, nonché l’uso eccessivo della forza, in violazione degli obblighi previsti da vari trattati internazionali, tra cui l’articolo 46 delle Regole dell’Aia, l’articolo 27 della Quarta Convenzione di Ginevra e gli articoli 6(1) e 7 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (ICCPR).
La Cig ha anche sottolineato come l’illegalità delle politiche e pratiche israeliane si manifesti attraverso la sistematica discriminazione del popolo palestinese, evidenziata dalla privazione delle risorse naturali e dall’impedimento al diritto allo sviluppo economico, sociale e culturale. L’articolo 3 della Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale (CERD) richiede agli Stati di “condannare la segregazione razziale e l’apartheid e di impegnarsi a prevenire, proibire ed eliminare tali pratiche“. In questo contesto, la Cig ha richiamato il termine ‘apartheid’ (par. 225) esclusivamente in riferimento a quanto sostenuto da alcuni terzi intervenienti nel procedimento, i quali avevano qualificato in tal modo la condotta di Israele. Tuttavia, la Corte si è astenuta dal formulare essa stessa una tale qualificazione, non entrando nel merito della soddisfazione del requisito specifico necessario per configurare tali pratiche come apartheid, piuttosto che come mera segregazione razziale.
In seguito a tali determinazioni, la Cig ha formalizzato le conseguenze giuridiche sia per Israele che per le altre parti interessate. Ha sancito l’obbligo per Israele di cessare tutte le attività illecite nei TPO il più rapidamente possibile e di risarcire i danni. Tale risarcimento include la restituzione delle terre e dei beni immobili confiscati a persone fisiche o giuridiche sin dall’inizio dell’occupazione nel 1967, nonché dei beni culturali e delle risorse sottratti ai palestinesi e alle istituzioni palestinesi, inclusi archivi e documenti. Inoltre, ha richiesto l’evacuazione di tutti i coloni dagli insediamenti esistenti e lo smantellamento delle sezioni del muro eretto da Israele nei TPO, nonché il ripristino del diritto di ritorno per i palestinesi sfollati durante l’occupazione, consentendo loro di tornare ai loro luoghi di residenza originari.
Un aspetto significativo del parere della Cig riguarda l’approccio verso la Striscia di Gaza. Sebbene Israele abbia ritirato le sue forze e smantellato gli insediamenti a Gaza nel 2005, la Cig ha esteso il suo parere consultivo a tutta la regione, inclusa appunto Gaza. Per giustificare questa inclusione, la Cig ha esaminato se il diritto dell’occupazione belligerante fosse applicabile a Gaza anche dopo il 2005, basandosi sulle condizioni tradizionali di occupazione stabilite dall’articolo 42 del Regolamento dell’Aia del 1907 e dalla giurisprudenza della stessa Cig, ad esempio nel caso “Hostages” e “Congo v. Uganda”. La Corte ha concluso che Israele esercita ancora significativi elementi di autorità su Gaza, inclusi il controllo delle frontiere terrestri, marittime e aeree, le restrizioni al movimento di persone e merci, la riscossione delle tasse e il controllo della zona cuscinetto, concludendo che questa situazione è assimilabile ad una occupazione de facto e continua a sussistere anche dopo il 7 ottobre 2023, facendo così rientrare Gaza a pieno diritto all’interno dei TPO di cui si chiede la liberazione.
La rilevanza storica della pronuncia risiede nel fatto che la Cig sembra riconoscere un obbligo della comunità internazionale non solo a riaffermare il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione, ma anche a garantirne la concreta attuazione. Pur avendo il carattere non vincolante proprio dei pareri consultivi della Cig, questa pronuncia, per la tendenza politico-decisionista che esprime, rappresenta un significativo riassestamento del ruolo e dell’influenza delle Corti internazionali in un contesto di frammentazione del panorama geopolitico.
La presa di posizione della Cig, per la nettezza con la quale definisce la situazione legale dei TPO, potrebbe produrre l’effetto di intensificare l’isolamento di Israele a livello internazionale, spingendo governi e parlamenti di tutto il mondo a rivedere le loro posizioni e a incrementare le pressioni diplomatiche, portando così all’aumento del numero di Stati che riconoscono la Palestina, come dimostrano i casi recenti di Spagna, Norvegia e Irlanda.
Inoltre, il parere della Cig sembra aprire una nuova fase del diritto internazionale relativo alle occupazioni militari. In passato la valutazione sul piano giuridico dell’occupazione israeliana si era sempre concentrata sulla possibilità di considerare Israele Stato aggressore nel conflitto del 1967 e così la questione della legittimità dell’occupazione ha sempre finito con l’essere condizionata dal fatto che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu non ha mai adottato una risoluzione che configurasse quel conflitto come aggressione israeliana, mentre alcune risoluzioni dell’Assemblea Generale dell’Onu, formulate principalmente in termini politici, hanno considerato sì l’occupazione illegale, ma senza collegarla direttamente a un atto di aggressione.
Con il suo parere, invece, la Cig dichiara che l’occupazione israeliana, inizialmente giustificata come difensiva, è degenerata in una violazione del divieto di annessione di territori in spregio al divieto di uso della forza. In questo modo, considerando nella sua dinamica temporale la condotta israeliana, la Corte inaugura una nuova modalità, più complessa e più efficace, di valutazione della legittimità delle occupazioni militari e con il suo attivismo prova a promuovere un rafforzamento degli strumenti giurisdizionali internazionali e un ruolo più incisivo del diritto nella risoluzione dei conflitti tra gli Stati.