Il caso E-18/11: un simulacro di rinvio pregiudiziale come nuovo riflesso nello specchio della comparazione tra sistema UE e sistema EFTA?

Che l’ordinamento della Unione europea sia da considerare locus amoenus e grande laboratorio per la comparazione giuridica è cosa risaputa ed assodata, riaffermata del resto dalla stessa ragion d’essere di questo blog.

Varie sono però le dimensioni in cui detta comparazione giuridica si estrinseca nel mondo del diritto europeo, e le sempre nuove dinamiche di armonizzazione positiva e di interpretazione delle multiformi tradizioni costituzionali comuni degli stati membri a volte nascondono all’attenzione generale certi fenomeni sicuramente collaterali, ma parimenti interessanti e degni di menzione e nota in questa sede.

 

In particolare si vuol fare qui riferimento al nuovo, recentissimo capitolo della saga che unisce i destini e le traiettorie giurisprudenziali dei sistemi giudiziari dell’Unione europea e del sistema EFTA (European Free Trade Association, o Associazione Europea di Libero Scambio).

Trattasi di due sistemi di giustizia sovranazionali che, “separati” per così dire alla nascita a seguito della nota Opinione della Corte di Giustizia 1/91 (http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:61991CV0001:IT:PDF), hanno tuttavia legato, come noto, “istituzionalmente” il proprio operare: il tutto attraverso le previsioni espresse, nel diritto positivo, degli art. 6 dell’Accordo sullo Spazio Economico Europeo e dell’art. 3-II dell’Accordo cd. SCA sull’Autorità di Vigilanza e sulla Corte, che richiamano rispettivamente la Corte EFTA ad un’interpretazione conforme del diritto del proprio ordinamento alla luce della giurisprudenza comunitaria precedente all’Accordo stesso e, in aggiunta e relativamente allo stesso operare, alla seria “presa in considerazione” dei dicta successivi della Corte di Giustizia di Lussemburgo, e, successivamente, con un’intensa opera di genuino “dialogo” tra Corti (in tal senso si veda in particolare C. Baudenbacher, The EFTA Court in Action. Five lectures, German Law Publishers GLP, 2010), dialogo estrinsecatosi a propria volta in più interessanti direzioni.

 

In effetti la finalità di creazione di un’“area dinamica ed omogenea” di applicazione del diritto europeo (come da obiettivi espressi nei rilevanti Trattati) si è appalesata nei decenni non solo attraverso una costante opera di «mirror legislation» nell’area EFTA in conformità con la paradigmatica normazione comunitaria (in tal senso da ultimo D. Gallo, From Autonomy to Full Deference in the Relationship between the EFTA Court and the ECJ: The Case of the International Exhaustion of the Rights Conferred by a Trademark, EUI Working paper RSCAS 2010/78, p. 4 e ss.), ma nella stessa trasformazione per via interpretativa e giurisprudenziale di una semplice “area di libero scambio” (come da tradizionali principi ispiratori del sistema EFTA) in una particolare tipologia di “mercato interno”, attuando modalità non meno «integration-friendly … than the ECJ does in Community Law» (in tal senso C. Baudenbacher, The EFTA Court Ten Years On, in C. Baudenbacher, P. Tresselt, T. Orlygsson ed., The EFTA Court – Ten Years On, Oxford, 2005, 20).

Uno speciale Joint Committee previsto dall’art. 105 par. 2 dell’Accordo sullo Spazio Economico Europeo ha del resto il precipuo compito in detto sistema di gestire e di vagliare il flusso informativo relativo allo sviluppo dei due ordinamenti, specialmente in sede di interpretazione giudiziale, tanto da poter agire conseguentemente «to preserve the homogeneous interpretation of the Agreement» (art. 105 par. 3).

La Corte EFTA, vieppiù, nel corso degli anni, si è progressivamente conformata ai ritrovati della giurisprudenza comunitaria, attraverso l’adozione di una serie di dottrine, tra cui quella della presunzione di interpretazione omogenea in caso di normazione a propria volta omogenea (EFTA Court caso Norwegian Waterfalls, 2007), l’applicazione – seppur libera e per certi versi condizionata –  dei principi “costituzionali” del diritto UE, tra cui quelli di un cd. “quasi-effetto diretto” (EFTA Court caso Restamark, 1994) e di una cd. “quasi-primacy” (EFTA Court  caso Einarsson, 2002), e la creazione per via giurisprudenziale della responsabilità degli stati membri per violazione del diritto convenzionale (EFTA Court caso Sveinbjòrnsdòttir, 1998, tra gli altri).

 

Le relazioni tra le due Corti si sono in tal senso sviluppate costantemente, e in modo biunivoco: è possibile ravvisare difatti anche una nutrita serie di casi in cui la Corte di Giustizia del Lussemburgo ha fatto a propria volta rimando alla giurisprudenza EFTA (sin dai primi casi riuniti C 34-36/95 Konsumentombudsmannen (KO) v. De Agostini (Svenska) Forlag AB e TV-Shop Isverige AB), e uno speciale dialogo si è sviluppato in particolare con gli Avvocati Generali della Corte UE, spesso dimostratisi propensi a corroborare le proprie Opinioni con medesimi riferimenti. A sua volta la giurisprudenza EFTA ha spesso richiamato (anche in vista della mancanza nel proprio sistema di simili amici curiae) le Opinioni degli Avvocati Generali in casi analoghi.

 

In un simile sistema binario, fondato tanto sull’analogia quanto sulla comparazione – e qui per ragioni di spazio e di opportunità soltanto abbozzato nei propri aspetti fondamentali – una grande asimmetria è sempre balzata agli occhi.

Il sistema EFTA ha sempre difettato infatti – per previsione espressa del citato Accordo SCA sull’Autorità di Vigilanza e sulla Corte – di uno strumento notoriamente rivelatosi fondamentale per lo sviluppo “costituzionale” della costruzione sovranazionale europea qual è quello del rinvio pregiudiziale di cui all’odierno art. 267 TFUE.

Un mero simulacro di procedura consultiva di raccordo tra la Corte EFTA e i tribunali locali di Norvegia, Islanda e Liechtenstein è previsto dall’art. 34 dell’Accordo, che però dà vita ad uno strumento che non solo non vincola in alcun modo i giudici al rinvio pregiudiziale («… any court or tribunal in an EFTA State … may, if it considers it necessary to enable it to give a judgment, request the EFTA Court to give such an opinion …»), ma nemmeno è inteso produrre per questi effetti vincolanti una volta che la pronuncia della Corte sovranazionale sia stata posta in essere.

 

Alla luce però delle altre rilevanti citate simmetrie che lo specchio della comparazione tra sistema UE e sistema EFTA ha riflesso nel corso degli anni, non solo la dottrina aveva da tempo chiamato ad un ripensamento del sistema interno di judicial remedies che portasse ad un’unitaria interpretazione autoritativa del diritto dello Spazio Economico Europeo (si veda in tal senso S. Magnússon, On the Authority of Advisory Opinions, in Europarättslig tidskrift 13/2010, 535-536 e, per un recente commento in linea con il presente, B. Pirker, Case E-18/11: Small steps towards a preliminary reference procedure for the EEA EFTA countries?, in European Law Blog, http://europeanlawblog.eu/?p=1450), ma la stessa Corte EFTA, facendo perno sui propri poteri interpretativi, nel recente caso E-18/11 – Irish Bank Resolution Corporation Ltd vs Kaupthing Bank hf (http://www.eftacourt.int/images/uploads/18_11_PR_EN.pdf, posto in decisione nel settembre 2012) ha aperto interessanti prospettive di rimodulazione nell’utilizzo delle esistenti procedure di advisory opinion, verso un sistema che sembra di nuovo aderire a un paradigma di “quasi-rinvio pregiudiziale” ex art. 267 TFUE.

 

Il caso di specie traeva origine dal rinvio – appunto opzionale – che il Tribunale distrettuale di Reykjavìk (Héraðsdómur Reykjavíkur, tribunale di primo grado) effettuava alla Corte EFTA per l’interpretazione di alcune parti della Direttiva 2001/24/EC di Parlamento e Consiglio europei del 4 aprile 2001 in materia di risanamento e liquidazioni di enti creditizi, rinvio consistente in due diverse questioni poste alla Corte. Nel giudizio d’appello parziale nelle more occorrente, la Suprema Corte islandese confermava la richiesta interpretativa alla Corte EFTA, ma si trovava a rimodulare decisamente sua sponte le questioni formulate dal giudice di primo grado, in particolare dividendo la prima in due diverse domande e omettendo pienamente la seconda (par. 36-38).

 

Di fronte a un simile, discutibile e discusso comportamento del tribunale d’appello, la Corte EFTA si dimostra disposta a fare ampio uso nel caso in commento della propria creatività interpretativa per fini di razionalizzazione del proprio sistema ordinamentale.

Basti pensare che in primis, di fronte alla strutturale correlata mancanza di obblighi in capo a qualsivoglia tribunale interno di riferire questioni interpretative, la Corte coglie l’occasione per rileggere qui l’art. 34 dell’Accordo SCA alla luce del principio generale di leale cooperazione tra corte sovranazionale e corti nazionali: e sebbene debba riconoscere per inciso come la permanente differenza con il sistema di cui all’art. 267 TFUE sia da ricondurre ad un livello «less far-reaching» di integrazione tra i membri del sistema EFTA (par. 57), in questa sede esprime un chiaro monito ai propri giudici nazionali di primo grado di riferimento per l’instaurazione di rapporti «more partner-like» (ivi).

Per di più, nel successivo par. 58, sempre alla luce del principio generale di leale cooperazione di cui all’art. 3 dell’Accordo sullo Spazio Economico Europeo, la Corte EFTA prosegue nel proprio monito indirizzandosi ai giudici di ultimo grado – quelli che nel sistema comparando, quello comunitario, avrebbero ex art. 267 TFUE un generale obbligo di rinvio pregiudiziale – richiamandoli in maniera invero vaga a tenere speciale «due account of the fact that they are bound to fulfil their duty of loyalty under Article 3 EEA», e quindi ad una maggiorata attenzione per l’esatta ed uniforme interpretazione del diritto sovranazionale.

 

Di seguito, occupandosi della più diretta questione della possibilità di emendamento della questioni interpretative indirizzate alla Corte stessa in sede d’appello, i giudici EFTA riaffermano sì la funzionale possibilità di soggezione ai «national remedies», nelle more, dei giudizi fatti oggetto di rinvio (par. 62), ma in tal senso richiamano al dovere di un’interpretazione delle norme dell’ordinamento dello Spazio Economico Europeo, e in particolare qui dell’Accordo SCA sull’Autorità di Vigilanza e sulla Corte, «in the light of fundamental rights» (par. 63), includendo esplicitamente in tal senso il valore parametrico delle disposizioni della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e la stessa giurisprudenza della Corte ECHR (come da stabili orientamenti, si vedano i casi E-2/03 Ásgeirsson par. 23, E-4/11 Clauder par. 49, E-15/10 Posten Norge par. 84 e ss.).

 

In quest’ottica, la Corte EFTA corrobora alla luce dell’art. 6 della Convenzione europea del 1950 e dei suoi principi di “giusto processo” il proprio richiamo tanto ai tribunali in generale ad una più attenta considerazione, di nuovo, della possibilità di rinvio di questioni interpretative pregiudiziali (specie se richiesti in tal senso dalle parti), quanto in particolare le corti interne di ultimo grado ad una più solerte opera di rinvio, suggerendo proprio la condotta modificativa della Suprema Corte islandese delle questioni sollevate dal Tribunale distrettuale di Reykjavìk come passibile di revisione alla luce dello stesso art. 6 come recepito nel sistema SEE.

In tal senso, la Corte EFTA procede del resto nel caso Irish Bank Resolution Corporation Ltd non solo a censurare la scelta emendatrice della Suprema Corte (par. 69), anche alla luce delle similitudini riscontrate nelle questioni sollevate dai due organi giudiziari interni; ma pure in effetti a rispondere alle originali questioni interpretative poste dal Tribunale di prime cure (par. 70 e ss.), proprio «in order to give as complete and as useful a reply as possible to the referring court in the framework of the close cooperation under Article 34 SCA».

 

Una lettura contestuale insomma del nuovo caso E-18/11, anche alla luce dello sviluppo nei decenni delle relazioni tra sistema EFTA e sistema UE, pare mostrarci la Corte EFTA propensa a reclamare, grazie all’interposizione parametrica dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, non solo la propria possibilità di censura nelle scelte modificative delle questioni pregiudiziali proposte a se stessa da parte dei giudici di primo grado (questione fondamentale nel caso di specie); ma anche a suggerire un proprio più generale potere – secondo i canoni del “giusto processo” e secondo il principio di leale cooperazione – di vagliare quantomeno le motivazioni che stanno dietro ad un mancato rinvio pregiudiziale da parte dei giudici nazionali, pur rimanendo nel diritto positivo del sistema detto rinvio pregiudiziale opzionale e non obbligatorio.

Si dovranno pertanto attendere con attenzione i futuri sviluppi di questa giurisprudenza per capire quanto pervasivo sarà lo scrutinio della Corte stessa sull’operato dei giudici nazionali di Norvegia, Islanda e Liechtenstein, e quanto spazio di discrezionalità rimarrà invece a questi ultimi nella scelta dell’avvalersi o meno dell’ausilio del proprio “oracolo” sovranazionale, dipendendo essenzialmente da questi fattori la convergenza o meno della procedura consultiva di cui all’art. 34  dell’Accordo SCA sull’Autorità di Vigilanza e sulla Corte verso il modello fondamentale del rinvio pregiudiziale ex art. 276 TFUE.