Il BVerfG e la vita delle persone con disabilità: il triage per l’accesso ai reparti di terapia intensiva in tempo di pandemia
La pandemia ci ha messo al cospetto di una lunga serie di interrogativi; in molti frangenti ci siamo trovati davanti ad alternative difficili o – in alcuni casi – a delle vere e proprie scelte tragiche. Una delle domande più ricorrenti e delicate dal punto di vista della bioetica e del biodiritto ha riguardato l’allocazione delle risorse disponibili all’interno dei reparti di terapia intensiva. Soprattutto nel corso del 2020 e all’inizio del 2021, nei mesi in cui la campagna vaccinale non era ancora capace di far scemare la pressione sul sistema ospedaliero, ci si chiedeva quali criteri dovessero guidare il personale medico nello scegliere a chi prestare le proprie cure, in particolare modo con riferimento all’assegnazione dei posti-letto in terapia intensiva; ci si è chiesti, in ambito scientifico, anche a seguito della pubblicazione delle linee guida adottate dalla Società Italiana di Anestesia, Analgesia e Terapia Intensiva (SIAARTI) se l’età di un dato paziente e le sue condizioni di salute di partenza potessero costituire un fattore discriminante nella scelta. Quella relativa ai criteri di priorità da adottare per allocare risorse preziose (si pensi, ad esempio, alla scelta dei pazienti beneficiari dei trapianti d’organo) non è una questione inedita, nel dibattito scientifico, ma – come è stato rilevato da parte di più autori – per un certo periodo è stata messa al centro della discussione pubblica dalla pandemia.
Tra i fattori di cui si sarebbe potuto (o dovuto) tenere conto nell’assegnazione di risorse mediche scarse, oltre all’età e al pregresso stato di salute del paziente, è stata talvolta citata anche la disabilità. Aspetti come quelli relativi alla “fragilità” delle condizioni di salute delle persone con disabilità grave o considerazione relative alla qualità e alla quantità degli anni di vita loro garantiti da un immediato ricovero in terapia intensiva a seguito di un’infezione da Covid-19 avrebbero giustificato – secondo gli aderenti a posizioni utilitariste- una discriminazione nei loro confronti e l’assegnazione, quindi, di una maggiore quantità di risorse (in questo caso, come già parzialmente anticipato, l’occupazione di posti-letto in terapia intensiva, l’utilizzo di ventilatori polmonari, l’attenzione e le competenze di personale medico di elevata professionalità come quello in servizio nei reparti Covid-19) alle persone senza disabilità.
Della questione si è occupato anche un giudice costituzionale particolarmente autorevole, il Bundesverfassungsgericht; proprio della decisione del 16 dicembre 2021 (1 BvR 1541/20) dei giudici di Karlsruhe si vuole dare conto in questo post.
Il caso di specie scaturisce da una Verfassungsbeschwerde presentato da nove persone con disabilità per ottenere un’effettiva tutela nel caso in cui, durante la pandemia da Covid-19, la loro particolare condizione li esponga a discriminazioni nei triage per l’ingresso in terapia intensiva.
La posizione dei ricorrenti è stata accolta. Il Tribunale costituzionale federale ha stabilito che l’art. 3, III comma, ultima frase, del Grundgesetz (ove, a seguito della revisione costituzionale del 1994, si afferma che “Nessuno può essere discriminato a causa di un suo handicap”) si traduce tanto in un divieto di discriminazione (vuoi diretta, vuoi indiretta) nei confronti delle persone con disabilità, quanto, in situazioni di particolare vulnerabilità, in uno specifico dovere, per il legislatore, di adottare delle misure protettive (Schutzpflicht).
Fra tali situazioni di particolare vulnerabilità rientrano i frangenti in cui si mettano in moto meccanismi escludenti tali da configurarsi come lesivi della dignità umana, quelli in cui siano presenti ineguaglianze strutturali, ovvero quelli in cui la condizione di disabilità implichi degli svantaggi tali da configurare una lesione dei diritti fondamentali.
Quali siano queste misure protettive, spetta al legislatore, nella discrezionalità di cui gode, deciderlo, purché esse siano effettivamente tali da proteggere i diritti e gli interessi delle persone con disabilità.
Il percorso che ha condotto i giudici di Karlsruhe a queste conclusioni è abbastanza articolato.
In primo luogo, è venuto in considerazione un aspetto già messo in risalto tanto da organismi internazionali (come, fra gli altri, le Nazioni Unite e l’Organizzazione mondiale per la sanità), quanto in letteratura: durante la pandemia da Covid-19 le persone con disabilità corrono rischi maggiori rispetto a quelle senza disabilità, sotto diversi punti di vista.
Come anticipato, nella Verfassungsbeschwerde si sottolinea l’assenza di specifiche indicazioni legislative dirette a impedire discriminazioni ai danni delle persone con disabilità durante il triage. Secondo i ricorrenti – come sottolineato dalla Corte – solo l’adozione di una legge garantirebbe un’adeguata partecipazione delle persone con disabilità alla discussione e, cosa ancor più rilevante, che le valutazioni effettuate dal personale medico durante il triage siano fondate su criteri oggettivi e non discriminatori mettendo a loro disposizione delle persone con disabilità, in ultima istanza, anche uno strumento legale azionabile a loro tutela.
Di seguito, accertata l’astratta sussistenza del pericolo prospettato dai ricorrenti, il Bundesverfassungsgericht evidenzia che devono essere prese in considerazione anche le circostanze fattuali e concrete; lo strumento della Verfassungsbeschwerde, difatti, è utilizzabile solo quando si configuri un rischio diretto e attuale di violazione di un diritto fondamentale in capo a chi se ne avvalga.
Nel caso di specie, il ricorso è ammissibile anche tenuto conto di questo profilo: le persone che si sono rivolte alla Corte di Karlsruhe, infatti, corrono effettivamente il rischio di vedere i propri diritti fondamentali pregiudicati da possibili differenze di trattamento ricollegate alla loro disabilità.
A questa situazione fa riscontro, come già detto, l’inerzia da parte del legislatore.
Ed è proprio questa inazione a violare l’ultima parte dell’art. 3 del GG; la disposizione costituzionale, affermando l’oggettiva esistenza di un valore costituzionale (l’evitare ogni discriminazione ai danni delle persone con disabilità, appunto), è vincolante tanto nei rapporti regolati dal diritto privato, quanto per ogni soggetto attraverso cui si concretizzi l’azione statuale.
Ciò non implica – sottolinea la Corte – che sussista un dovere, per il legislatore, di farsi carico, normativamente, di ogni aspetto riguardante la vita quotidiana delle persone con disabilità; ma le circostanze del caso concreto sono affatto particolari, dal momento che essere discriminati durante il triage per l’ammissione a un reparto di terapia intensiva può risolversi in una violazione del diritto alla vita tutelato dall’art. 2 del GG.
Quali misure debbano essere adottate, tuttavia, come detto, rimane all’interno dello spazio di discrezionalità e del margine d’apprezzamento del legislatore.
Da segnalare, poi, è l’attenzione dedicata alla ricostruzione del contesto normativo internazionale, con puntuale riferimento ai documenti approvati dal Consiglio d’Europa e alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Ampio spazio è poi dedicato alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, non di rado tenuta presente dai giudici tedeschi, prevalentemente a fini interpretativi: in particolare, vengono richiamati gli artt. 1, 4, 10, 11 e 25 della Convenzione di New York, così come il General comment. N°. 6, dedicato alla non discriminazione e pubblicato dal Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità nel 2018. Da ultimo, vengono invocati, sempre in chiave ermeneutica, il Patto internazionale sui diritti civili e politici e il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, entrambi approvati nel 1966.
Infine, i giudici di Karlsruhe prendono in considerazione le posizioni assunte, in diverse occasioni, da alcune associazioni rappresentative del personale medico. A tal proposito, si osserva come le persone con disabilità, alla luce dei documenti adottati dai soggetti appena citati, non possano ritenersi tutelate contro eventuali discriminazioni, né possano collocarsi al di fuori del raggio d’azione di tali strumenti.
Spetta quindi al legislatore prendere l’iniziativa, tenendo conto del fatto che il rispetto della dignità umana di cui all’art. 1 GG preclude il soppesare ‘vita contro vita’, ma non dispone un categorico divieto di introdurre criteri di allocazione delle risorse, né di adottare accorgimenti di tipo organizzativo (ad esempio, prevedendo che al triage prendano parte più medici) o curando in maniera particolare la formazione dei medici e degli infermieri impiegati nei reparti di terapia intensiva, per eliminare eventuali pregiudizi relativi ai triage delle persone con disabilità; ma si tratta – appunto – di valutazioni rimesse al legislatore; e alla decisione del Tribunale costituzionale federale ha fatto seguito la presentazione, da parte di Karl Lauterbach, ministro federale per la salute, di un progetto di legge in materia, oggetto, peraltro, di aspre critiche.
Fra i tanti spunti di interesse offerti dalla decisione in questione, è forse proprio a partire dal ruolo che la Corte attribuisce al legislatore che è possibile tracciare alcune considerazioni conclusive. Chi ha analizzato la questione dell’accesso delle persone con disabilità alle terapie intensive durante la pandemia da Covid-19 in un differente contesto ordinamentale (quello statunitense), ha sottolineato che il rischio d’esclusione delle persone con disabilità dall’accesso alle terapie intensive è un tema imprescindibilmente politico. Il fatto che le persone con disabilità possano vedere pregiudicato il proprio diritto alla vita e alla salute non è ricollegato alla mera realtà fattuale (la scarsità delle risorse disponibili in un momento eccezionale), ma, a monte, all’esclusione delle persone con disabilità, ancor oggi, dai meccanismi decisionali che nei circuiti di democrazia deliberativa dovrebbero determinare degli indirizzi di politica legislativa coerenti con i principi e valori del costituzionalismo contemporaneo.