“I tribunali internazionali hanno molto da imparare gli uni dagli altri”
Poco più di un mese fa la Corte Internazionale di Giustizia ha reso la sentenza nel caso Ahmadou Sadio Diallo (Republic of Guinea v. Democratic Republic of the Congo), condannando la RDC per alcuni atti commessi ai danni del sig. Diallo, cittadino guineiano che aveva stabilito in Congo un’attività imprenditoriale, prima di essere arrestato ed espulso dalle autorità locali.
Lo Stato attore ha agito in protezione diplomatica del proprio cittadino, ma nel corso del procedimento il thema decidendi è slittato gradualmente, lasciando l’alveo del diritto consuetudinario sulla protezione diplomatica e assestandosi sulle convenzioni internazionali di protezione dei diritti umani. Per dirla con le parole usate dal giudice Cançado Trindade nella sua opinione separata:
Beyond the restricted confines of discretionary diplomatic protection, we can nowadays reckon that we have before us as essentially a human rights case, a case pertaining to the international protection of human rights (punto 20, cfr. anche punti 213 ss).
Questo slittamento potrebbe suggerire un’ampia riflessione sulla sorte del diritto internazionale, sempre meno saldo sul paradigma classico degli Stati come soggetti di diritto primari e preferenziali, e sempre più costruito e applicato sugli individui e sui loro diritti (una lettura per tutte: A. A. Cançado Trindade, International Law for Humankind: Towards a New Jus Gentium).
Vale però la pena concentrarsi su un aspetto specifico e più attinente al tema del dialogo tra giudici, uno dei fils rouges di diritticomparati.it.
Al punto 65 della sentenza la Corte, chiamata a valutare la legittimità della procedura con cui il sig. Diallo era stato espulso dalla RDC, rileva la violazione del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (art. 13) e della Carta Africana dei Diritti dell’Uomo e dei Popoli (art. 12, par. 4). Nei due paragrafi successivi sono inoltre richiamate, rispettivamente, le giurisprudenze del del Comitato dei Diritti Umani e della Commissione Africana, cioè degli organi giudiziari (o quasi giudiziari) cui è devoluta l’interpretazione e applicazione di tali fonti. La conclusione dei giudici su questi temi è pacifica:
First, the applicable domestic law [upon which the legality of the expulsion procedure must be assessed] must itself be compatible with the other requirements of the Covenant and the African Charter; second, an expulsion must not be arbitrary in nature, since protection against arbitrary treatment lies at the heart of the rights guaranteed by the international norms protecting human rights, in particular those set out in the two treaties applicable in this case.
Nel paragrafo 68, inoltre, la Corte ha “preso nota” di come la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e della Corte Inter-Americana avvalorino le sue conclusioni, dal momento che l’interpretazione che queste corti regionali hanno dato delle disposizioni “analoghe” a quelle del Patto e della Carta Africana coincide con quella fatta propria dalla Corte Internazionale di Giustizia.
Cançado Trindade ha intravisto in questo passaggio della decisione un segno inequivocabile di come la forza innovatrice e trainante dei diritti dell’uomo prevalga sui formalismi e sulle ansie post-moderne legate alla frammentazione – normativa e istituzionale – del diritto internazionale.
La posizione apicale della Corte di Giustizia non esclude che essa possa prendere a modello la prassi, magari più densa, delle giurisdizioni regionali specializzate:
237. … this is the first time in its history that the World Court has expressly taken into account the contribution of the case-law of two international human rights tribunals, the European and the Inter-American Courts, to the perennial struggle of human beings against arbitrariness. The ICJ, much to its credit, has done so … in relation to the interpretation, by the European and the Inter-American Courts, respectively, of Article 1 of Protocol No. 7 to the European Convention of Human Rights, and of Article 22 (6) of the American Convention on Human Rights [sulle garanzie procedurali relative all’espulsione degli stranieri]. 238. This discloses a new mentality in relation to another relevant issue. The co-existence of multiple international tribunals, fostering access to international justice on the part of a growing number of justiciables around the world in distinct domains of human activity, bears evidence of the way contemporary international law has developed in the old search for the realization of international justice. Contemporary international tribunals have much to learn from each other. … 240. Contemporary international tribunals should pursue their common mission — the realization of international justice — working together, without antagonisms, self-sufficiencies or protagonist moves.
È consolante leggere nelle parole di un giudice della CIG la convinzione che i tribunali internazionali debbano perseguire la “missione comune” di servire la giustizia in uno spirito di collaborazione scevro di protagonismi e solipsismi.
Non saremmo capace di formulare un migliore augurio per questo 2011.