Governare con le ordonnances e moralizzare la vita pubblica: il Presidente Macron di fronte all’assetto costituzionale della V Repubblica
Fra i molti interrogativi che hanno accompagnato la sorprendente ascesa e poi il successo elettorale di Emmanuel Macron alle elezioni presidenziali del 21 aprile e 5 maggio scorsi, gli orientamenti del nuovo Presidente in materia di istituzioni e di politica costituzionale hanno occupato una posizione nel complesso secondaria. Dopo la sua elezione, è forse possibile formulare alcune ipotesi muovendo dalle dichiarazioni – non numerose e non sempre coerenti fra loro – con cui Macron ha preso posizione sul suo modo di intendere il funzionamento delle istituzioni della V Repubblica.
Si tratta, in qualche modo, di interrogativi ineludibili. Quasi tutti i Presidenti della V Repubblica hanno tentato di lasciare la propria “impronta” sulla Carta del 4 ottobre 1958, suggerendone modifiche di volta in volta corrispondenti alle loro rispettive priorità politiche e ideali. Assai spesso, in effetti, l’organo cui è affidato il compito di “veille[r] au respect de la Constitution” (art. 5, c. 1) si è fatto promotore di modificazioni più o meno incisive del testo della Carta fondamentale (in linea con quanto previsto all’art. 89). Limitandoci alle vicende più recenti, il fallimento di un tentativo presidenziale di promuovere una modifica della Costituzione può essere visto come la cifra di un mandato presidenziale: è il caso del Presidente Hollande, sia rispetto alla traduzione in prescrizioni giuridiche delle conclusioni della Commissione Jospin (Commission de rénovation et de déontologie de la vie publique) sia con riguardo alla tormentata vicenda della déchéance de nationalité successivamente agli attentati del novembre 2015.
Se ci si pone dal punto di vista del nuovo capo dello Stato, invece, si deve registrare una certa incertezza: questa è il riflesso, d’altra parte, sia della novità della sua proposta politica e del suo impatto sul sistema politico, sia di una certa vaghezza delle sue enunciazioni programmatiche.
Quali sono dunque le indicazioni desumibili dalle prese di posizione del candidato Macron?
Diversamente dai due candidati esplicitamente riconducibili alla sinistra – il socialista Benoît Hamon e il leader della France insoumise Jean-Luc Mélenchon – Macron non ha in alcun modo agitato la bandiera della VI Repubblica, espressione sintetica con cui si fa riferimento a una decisa soluzione di continuità rispetto al presidenzialismo maggioritario della V. Già prima della campagna elettorale, del resto, il tema di una profonda trasformazione degli assetti attuali era stato sollevato con forza dalle conclusioni del gruppo di lavoro Bartolone-Winock, “première mission de réflexion sur les institutions d’importance qui n’a pas été réunie par un Président de la République mais par le Parlement lui-même”.
Discostandosi da quell’impostazione, Emmanuel Macron non ha posto esplicitamente in discussione i fondamenti della V Repubblica e ha preferito porre l’accento sulla necessità di una democrazia “rinnovata” grazie al consolidamento delle istituzioni esistenti e alla razionalizzazione del lavoro parlamentare. In sintonia con una tradizionale rivendicazione delle forze centriste che lo hanno sostenuto – e riprendendo un impegno del 2012 del candidato Hollande, poi non mantenuto – Macron si è inoltre espresso a favore dell’inserimento di una “dose di proporzionale” nella legge elettorale per l’Assemblea nazionale Poco dopo essere venuto a conoscenza della propria vittoria elettorale, il neopresidente ha annunciato la presentazione di un projet de loi per la moralizzazione della vita pubblica. Anche in questo caso la valutazione della proposta di Macron appare complessa: se gli scandali che hanno costellato la campagna elettorale costituiscono il naturale presupposto di questa iniziativa, non sfuggono le affinità (e gli elementi di continuità) col rapporto presentato dalla Commissione Jospin durante il mandato di Hollande. La moralizzazione della vita pubblica – regolazione del conflitto d’interessi, limitazione del numero dei mandati, maggiore trasparenza nell’impiego delle risorse finanziarie legate al mandato parlamentare – costituisce una sorta di Leitmotiv dei dibattiti di politica costituzionale dell’ultimo quinquennio, in cui la crisi economica si è saldata con una crisi di legittimità delle istituzioni: come osservava nel suo rapporto la Commissione Jospin, “[s]ont en cause aussi bien les modalités d’accès aux responsabilités publiques que les conditions dans lesquelles celles-ci sont exercées”. Mentre i lavori di quella Commissione si erano svolti all’insegna di una certa indifferenza al problema delle fonti – costituzionali o legislative – su cui incardinare l’intervento riformatore, il nuovo capo dello Stato pare concepire la revisione costituzionale come una sorta di extrema ratio, privilegiando invece la via della legislazione ordinaria. In altre occasioni il candidato Macron ha evocato l’opportunità di modifiche “mirate” di singole disposizioni costituzionali, al fine, per esempio, di rendere più flessibile il diritto applicabile al Dipartimento ultramarino della Riunione. Il Presidente eletto contemplerebbe perciò la possibilità di promuovere revisioni “espressione di opzioni di politica costituzionale” oppure “di adeguamento”, mentre sarebbero escluse, almeno per ora revisioni “organiche” e “di sistema” (per questa classificazione cfr. P. Passaglia, La Costituzione dinamica. Quinta Repubblica e tradizione costituzionale francese, Torino, Giappichelli, 2008, 154 ss.).
Per quanto riguarda il funzionamento delle istituzioni, ancora una volta può essere utile ritornare sulle vicende della legislatura 2012-2017. Nel 2015 l’allora Ministro dell’economia Macron si era aspramente scontrato col Primo ministro Valls, non condividendone la scelta di fare ricorso alla procedura dell’art. 49-3 della Costituzione allo scopo di accelerare l’approvazione del projet de loi pour la croissance, l’activité et l’égalité des chances (noto in seguito come legge Macron). Il problema dell’eterogeneità delle maggioranze parlamentari – e, conseguentemente, della difficoltà di ottenere l’approvazione di testi legislativi efficaci e coerenti – si è inevitabilmente posto anche al candidato Macron nel corso della sua campagna elettorale. Pur con molte oscillazioni, nell’ultimo mese Emmanuel Macron ha affermato l’opportunità di riformare il diritto del lavoro ricorrendo alle ordonnances previste all’art. 38 della Costituzione. Le ordonannces – grossomodo paragonabili alla legislazione delegata italiana – sono un altro strumento di razionalizzazione del parlamentarismo previsto dalla Costituzione francese del 1958: l’utilizzo della procedura dell’art. 38, peraltro, si è fatto sempre più frequente dopo il 2002, in seguito al tendenziale allineamento fra i mandati del Presidente della Repubblica e dell’Assemblea nazionale (per più ampie informazioni, eventualmente, cfr. G. Delledonne, G. Martinico, La dimensione comparata del controllo “politico” sulle deleghe, in Le trasformazioni della delega legislativa. Contributo all’analisi delle deleghe legislative nella XIV e nella XV legislatura, a cura di E. Rossi, Padova, CEDAM, 2009, 133 s.). Al pari dunque di altri suoi predecessori estranei alla tradizione gollista, anche un homo novus come Macron sembra intenzionato a sfruttare pienamente le possibilità offerte dal modello di “parlamentarismo risanato” consacrato nella Costituzione della V Repubblica.
Durante la campagna elettorale, la necessità di “gouverner par ordonnances” per reagire alla crisi era stata sostenuta con forza – ancorché con modesto successo – da uno dei candidati alle primarie della destra e del centro, Jean-François Copé. Nelle ultime settimane, l’annuncio di Macron ha suscitato contestazioni assai vivaci, che hanno fatto leva su una presunta affinità fra l’art. 49-3 e le ordonnances, descritti entrambi come strumenti di compressione dei margini d’intervento del Parlamento e, conseguentemente, della discussione sulle iniziative dell’Esecutivo. Non mancano però alcune differenze, che sembrano cruciali: mentre la procedura dell’art. 49-3 normalmente ha l’effetto di porre fine all’esame parlamentare di un’iniziativa legislativa che stenta a farsi strada, nel caso delle ordonnances spetta al Parlamento sia delegare il Governo all’esercizio di poteri normativi (con una loi d’habilitation), sia, eventualmente, ratificare un’ordonnance per conferirle lo stesso valore di una legge ordinaria (con una loi de ratification). In questo senso, il ricorso alle ordonnances sembra coerente, almeno nelle intenzioni, con una strategia che mira a razionalizzare il lavoro del Parlamento senza modificare in profondità i capisaldi dell’assetto costituzionale dei rapporti fra Esecutivo e Parlamento (come anche delle loro ricadute sulle fonti del diritto, nel senso indicato da Alessandro Pizzorusso fin dagli anni Ottanta).
Quali conclusioni si possono trarre dal quadro finora descritto (un quadro, è bene precisarlo, frammentario ed esposto a smentite e a inversioni di rotta)? La prima impressione può risultare sorprendente. Adottando l’angolo visuale del sistema politico-partitico, la vittoria di Macron rappresenta una fortissima discontinuità con gli assetti consolidati della V Repubblica. Da un altro punto di vista, però, il nuovo Presidente pare poco interessato a trasferire questa esigenza di discontinuità sul versante del funzionamento delle istituzioni e della politica costituzionale. Anche in questo, perciò, Macron ha marcato chiaramente la propria distanza rispetto alle posizioni dei suoi avversari, in primis Mélenchon e Marine Le Pen. A una certa continuità con le priorità di politica costituzionale del mandato presidenziale di François Hollande pare accompagnarsi l’intenzione di fare assegnamento sul quadro costituzionale vigente, nel tentativo di valorizzare le attuali possibilità d’intervento del Parlamento: è il caso, ad esempio, della funzione, attribuita alle Camere dall’art. 24 della Costituzione, di controllo dell’azione governativa e di valutazione delle politiche pubbliche. Almeno nelle intenzioni iniziali, insomma, la Costituzione vigente si presenta come un elemento di stabilità a fronte di dinamiche del sistema politico caratterizzate piuttosto dall’incertezza e dall’apertura a molteplici esiti.