Fin dove arriva la neutralità. La sentenza del Bundesverfassungsgericht sulle dichiarazioni di Angela Merkel: un’occasione mancata?
In un contributo dello scorso anno dedicato al ruolo del Bundesverfassungsgericht al tempo della Grande coalizione, Florian Meinel temeva una interpretazione da parte di Karlsruhe dell’obbligo di neutralità per i membri del governo condotta fino «all’assurdo»: vietare alla Cancelliera di esprimersi sulla possibilità che gli estremisti di destra andassero al Governo. Quando scriveva, Meinel era consapevole della corposa giurisprudenza sull’argomento, che trova un suo riferimento storico nella sentenza del 2 marzo 1977 e che è stata poi rivista dal Secondo senato a partire da quella del 16 dicembre 2014. Come pure che il partito Alternative für Deutschland (Afd) aveva fatto ricorso a Karlsruhe per sanzionare le dichiarazioni di Angela Merkel che da Pretoria – dal Sudafrica, il paese che fino a poco più di trent’anni fa conosceva e praticava l’apartheid, come sottolineava Meinel – era intervenuta, nel corso della conferenza stampa con il Presidente sudafricano, per censurare quanto avvenuto in Turingia, dove il Ministerpräsident era stato eletto dal Landtag con i voti della Cdu, dei Liberali e, per la prima volta, anche grazie a quelli di Afd.
Per chi non conoscesse la vicenda, la sintetizziamo brevemente: dalle elezioni dell’autunno 2019 in Turingia non era uscita una chiara maggioranza al Landtag di Erfurt che si riunì ai primi di febbraio per eleggere il capo del governo del Land I primi due scrutini, nei quali è necessaria la maggioranza assoluta, vanno a vuoto. Al terzo, Afd dirotta i suoi voti sul candidato liberale che conquista la maggioranza semplice, venendo così eletto. In tutto il paese scoppia il caos perché da sempre sia la Cdu sia i liberali della Fdp avevano espressamente annunciato di non voler collaborare in nessun modo con Afd. Rilevante è, inoltre, che tutto avvenga in Turingia dove Afd è effettivamente nelle mani della corrente più radicale e vicinissima alle destre più estreme. La vicenda ha una rilevanza nazionale e addirittura internazionale.
Come si può pretendere che un caso simile sia coperto dall’obbligo di neutralità? E Meinel ci aveva visto giusto perché il 15 giugno scorso il Secondo Senato ha pronunciato la sua sentenza e non solo ha accolto i ricorsi di Afd ma li ha anche considerati fondati, censurando la, ormai ex, Cancelliera federale, sebbene negando, ancora una volta, l’obbligo per il rimborso delle spese processuali.
Le reazioni non si sono fatte attendere e, come spesso capita per le sentenze del Secondo senato, hanno diviso sia l’opinione pubblica che gli specialisti. Lo stesso Senato si è diviso: la decisione è stata presa a maggioranza, cinque giudici a favore, tre contrari e la pubblicazione di un’opinione dissenziente.
La cosa non mi ha lasciato molto sorpreso, perché la giurisprudenza del Secondo senato è da questo punto di vista molto chiara (sentenze del 2014, del 2018, del 2020). I ricorsi erano due, il primo rivolto contro le dichiarazioni in sé di Angela Merkel (la valutazione del Senato è ai paragrafi 119-173) il secondo contro la pubblicazione della dichiarazione sul sito ufficiale della Cancelliera federale (paragrafi 174-184, ma su questo la sentenza davvero non introduce molte novità rispetto, ad esempio, al caso analogo del 2020 con la censura del Ministro degli interni Seehofer per aver pubblicato un’intervista con affermazioni su Afd sul sito del ministero, in un ricorso sempre presentato da Afd). Nuova è per certi aspetti la considerazione che quanto rileva per i membri del governo valga anche per la Cancelliera federale, nonostante la sua posizione particolare nel governo, di cui occorre comunque tener conto (si vedano la seconda e la terza massima della sentenza).
La neutralità è un concetto di elaborazione dottrinale e giurisprudenziale e ha il suo fondamento nel ruolo costituzionale assegnato ai partiti (art. 21, comma 1) e nell’uguaglianza dei cittadini. Non è, dunque, un relitto del passato, un residuo della Staatslehre del Kaiserreich, che vorrebbe i membri del governo assimilabili a semplici funzionari vincolati a una sorta di cieca fedeltà allo Stato, come in molti anche in Germania sostengono.
Si tratta, al contrario, di un presupposto necessario della democrazia parlamentare dei partiti e della necessaria libertà del processo di formazione della volontà collettiva. Se i membri del Governo, nel loro doppio ruolo, potessero usare le risorse, materiali e immateriali, che hanno a disposizione, per intervenire direttamente nell’agone politico, la libera competizione democratica sarebbe falsata. Porre un limite alla possibilità di intervento dei membri del governo, che certamente godono di una posizione diversa dagli altri partiti di opposizione, appare indispensabile. L’autrice dell’opinione dissenziente, la giudice Astrid Wallrabenstein, entrata da due anni nel Senato e, quindi, estranea alla giurisprudenza in questione (tant’è che qualcuno si è chiesto se siamo di fronte un possibile, futuro, cambio di prospettiva), ritiene che questa neutralità arrivi solo alle risorse materiali (ad esempio la pubblicazione di interviste sui siti istituzionali) ma non anche alle dichiarazioni o alle esternazioni, non esistendo un Äußerungsverbot.
L’appunto non mi convince, perché questa ipotesi lascerebbe di fatto un enorme spazio di intervento del Governo e dei suoi membri. Il Bundesverfassungsgericht ha più volte ripetuto che occorre tener presente il doppio ruolo dei membri del governo, da un lato personale di partito, interessato alla competizione elettorale come tutti gli altri, dall’altro a capo di apparati dello Stato che non possono essere impunemente strumentalizzati a fini di lotta politica. Si badi: non tanto (non solo) per il rispetto dell’istituzione in quanto tale, ma, come già ribadito, per il diritto degli altri consociati e dei loro partiti di prendere parte a una competizione equilibrata.
Questo è possibile solo caso per caso: il controllo, anche sulle affermazioni, è indispensabile e deve essere condotto, come il Tribunale ha più volte ribadito, tenendo presente tutte le circostanze nelle quali sono compiute. Da questo punto di vista, che Merkel sia intervenuta nel corso di una conferenza stampa con un capo di Stato straniero nel corso di una visita ufficiale potrebbe effettivamente rompere quella uguaglianza delle opportunità che è alla base della neutralità. E il Tribunale ha considerato insufficiente che la ex Cancelliera, ad inizio del suo intervento, facesse riferimento alla volontà di effettuare un’osservazione preliminare (Vorbemerkung), provando così a separare i due ruoli.
Le considerazioni espresse da Mathias Hong, molto critico sulla sentenza, pongono un interessante quesito: non c’è forse anche un obbligo costituzionale di contrastare i nemici della Costituzione? Come si sarebbe detto all’inizio della storia costituzionale della Repubblica federale: non concedere alcuna libertà ai nemici della libertà. Ma è esattamente questa una interpretazione probabilmente antiquata e che comunque deve necessariamente accettare di sottoporre al controllo della Corte le eventuali dichiarazioni da censurare. Solo in questo modo si riconosce comunque la presenza di un limite normativo, per quanto di produzione giurisprudenziale, alle esternazioni dei membri del governo: perché già la valutazione, dalla quale muoveva Meinel, vale a dire che l’eccezionalità è data dalla possibilità che al governo vadano estremisti (di destra) è qualcosa che richiede di per sé un controllo, vale a dire verificare se effettivamente le esternazioni siano rivolte contro estremisti e non, ad esempio, contro un semplice avversario politico. Come si definisce questa ‘eccezionalità’ in un paese che spesso mette insieme estremisti di destra e di sinistra? Andrebbe pure ricordato – non dal Tribunale, certo, ma almeno dai commentatori – che la vicenda in Turingia viene fuori proprio per l’equiparazione, fatta dalla Cdu, di Afd con la Linke, il partito che aveva espresso il presidente uscente, Bodo Ramelow. Equiparazione fortemente stigmatizzata, tra i tanti, da Jürgen Habermas.
A mio avviso, proprio in questa valutazione di Karlsruhe manca, però, qualcosa. Mi sembra che nella rappresentazione degli elementi di fatto della dichiarazione di Merkel, il Tribunale sia stato estremamente fiscale su alcuni aspetti, ma molto meno preciso nella valutazione della necessità della dichiarazione. In particolare, nella verifica se le esternazioni fossero giustificate o meno (paragrafi 154-173). I fatti di Erfurt, infatti, investivano direttamente la politica federale con un impatto enorme (contrariamente a quanto il Tribunale afferma ai paragrafi 155-162). Appena pochi giorni dopo, anche in ragione delle dichiarazioni di Merkel, si dimise la Presidente della Cdu, Kramp-Karrenbauer. La quasi totalità dei commentatori si riferì immediatamente ai possibili effetti per il Governo federale, in quel momento sostenuto da una Grande coalizione di Cdu-Csu e Spd, per la quale l’allora vicecancelliere federale Olaf Scholz parlò di rottura di tabù.
Ma c’è dell’altro: se per Afd in quanto tale si è sempre cercato di definire una distanza con le cd. nuove destre, il partito proprio in Turingia esprime una dirigenza messa sotto controllo persino dal Verfassungsschutz. Il capolista di Afd alle elezioni del 2019 in Turingia – una figura, dunque, ufficiale, con la quale il partito si era presentato all’elettorato – era quel Bjorn Höcke la cui vicinanza con gli ambienti più radicali è un fatto noto e che continua a impensierire la politica tedesca. Insomma, commentando i fatti di Erfurt, Merkel non interviene in una ‘normale’ battaglia con Afd, come può essere la valutazione formulata in passato dalla Ministra dell’educazione sanzionata infatti dal Tribunale costituzionale federale. Deve fare i conti, invece, con un fatto eccezionale che non si era mai verificato fino a quel momento nella storia della Repubblica federale e che coinvolgeva direttamente il suo stesso partito.
E qui che, francamente, il Tribunale ha perso un’occasione importante. Segnalo che ha parlato di occasione persa anche Fabian Michl, in particolare criticando l’opinione dissenziente.
Probabilmente, una più attenta valutazione delle circostanze non avrebbe determinato (almeno non necessariamente) un esito diverso della vicenda processuale. Ma avrebbe garantito una maggiore definizione normativa dei limiti ma anche delle possibilità che i membri del Governo hanno per continuare la loro attività politica ma anche per garantire la stabilità delle coalizioni di governo e, soprattutto, la reputazione internazionale del paese.
Avrebbe anche imposto ai ricorrenti, cioè ad Afd, di fare i conti anche con la propria storia e le proprie ambiguità, che, se certamente non fondano una pretesa del Governo di muoversi oltre i limiti del proprio ruolo, consentono ad altri organi costituzionali, fra cui Karlsruhe, di mantenere alta l’attenzione sulla qualità della democrazia, non solo in modo eccessivamente formale ma entrando davvero nel merito della vicenda in questione.