Effettività dei diritti (sociali ma non solo) e governance europea.

La complessa architettura del costituzionalismo contemporaneo alla quale si legano gran parte delle conquiste in termini di civiltà e di giustizia sociale (ma anche di concrete aspettative in termini di organizzazione dei poteri e di tutela dei diritti), agli inizi del nuovo millennio, sembra scomporsi e incrinarsi sotto l’influsso di una moltitudine di forze e di tendenze che fanno vacillare quelle forme e quei modi di essere dello Stato costituzionale che apparivano, solo 70 anni fà, saldi e definitivi in quanto appropriati a una democrazia concepita come patrimonio di ciascuno e di tutti, un ‘compromesso costituzionale’ pienamente condiviso fra valori e interessi delle forze politiche che si erano battute per il superamento dei regimi totalitari[1].

Lo ‘Stato sovrano’, lo ‘Stato sociale’, lo ‘Stato dei partiti’, manifestazioni storiche di quella forma di Stato e di quella democrazia che coniuga libertà ed equità, pluralismo sociale e pluralismo dei poteri, manifestano ora i segni della loro decadenza, coinvolgendo nella loro crisi quei princìpi e quei valori che rappresentano l’impalcatura dell’intero costituzionalismo del secondo  dopo-guerra[2].

A tale trasformazione del modo di essere e di operare dello Stato contemporaneo si aggiungono ora (costituendone un evidente aggravamento) le trasformazioni presenti nello scenario geo-politico prodotto dalla crisi in molti stati dell’area nord-africana e del vicino oriente, anche a seguito del fallimento delle cd primavere arabe e delle aspettative democratiche le avevano accompagnate[3]. Una vera e propria migrazione di tipo biblico, da una parte, e la sfida cruenta e odiosa portata al cuore dell’Occidente da parte del radicalismo islamico, dall’altra, costituiscono attualmente, sia per singoli Stati membri dell’Unione sia per quest’ultima, in generale, una sfida che chiede di essere compresa e affrontata con adeguate politiche di cooperazione giudiziaria e di difesa (magistratura, procura, polizia, esercito, intelligence, ecc.), mai pregiudicando lo statuto della sicurezza giuridica e delle libertà costituzionali dei cittadini europei e giammai facendo venire meno la solidarietà per i migranti e i rifugiati.

A più di settanta anni dal Manifesto di Ventotene Per un’Europa libera e unita, e a fronte di un progetto di integrazione europeo che la crisi economica e le misure di austerità poste a base della realizzazione delle finalità della stabilità economica nei trattati europei hanno messo a dura prova, siamo ora in presenza di una crisi grave e complessa che riguarda, al contempo, la forma dello Stato (sociale e di diritto) nella quasi totalità dei paesi europei, ridefinita per molti profili rispetto agli assetti costituzionali del secondo dopoguerra e la credibilità dello stesso progetto europeo ora accolto nel ‘nuovi’ trattati dell’Unione.

Se da tale approccio introduttivo ci accostiamo – come ci proponiamo di fare con questo breve intervento – ad una prospettazione costituzionalistica maggiormente focalizzata sulle problematiche di effettività dei diritti fondamentali, soprattutto sociali, l’approccio al tema sottolinea alcuni dei temi centrali (e al contempo problematici) del costituzionalismo contemporaneo, quelli posti dalla concezione “normativa” (e della relativa effettività) delle costituzioni contemporanee e, al loro interno, dalla natura pienamente giuridica (pertanto esigibile e giustiziabile) dei diritti sociali, considerati nei loro variegati profili, per come previsti dai testi costituzionali, dalla giurisprudenza delle relative corti costituzionali nonché dalle scelte legislative e amministrative operate negli ordinamenti dei principali Paesi europei a costituzionalismo sociale[4].

Tale approccio ­consente di cogliere gli effetti prodotti dal processo di integrazione europeo e i condizionamenti fattualmente imposti dalla crisi economica, divenuta particolarmente severa nell’ultimo decennio (soprattutto con riguardo ad alcuni Paesi dell’area mediterranea)[5]. Le misure di contrasto della crisi, infatti, – ponendo alla proprie spalle le consolidate politiche keynesiane seguite nella fasi post-belliche all’interno degli Stati europei – vengono accompagnate, in Italia e negli altri Paesi europei, da severe politiche di austerità dei governi (suggerite/imposte dalle Istituzioni dell’Unione nonché dalle autorità monetarie internazionali).

Se si lasciano alle spalle le visioni ideali dello Stato che hanno connotato le esperienze statuali del secondo dopo-guerra (keynesiane/interventiste nell’economia, sociali nelle politiche pubbliche), tali politiche, ispirate alle previsioni euro-unitarie in tema di “mantenimento della stabilità dei prezzi” (nell’ottica del capo 2 del titolo VIII del T.F.U.E.), non potevano non incidere sulla quantità e sulla qualità delle prestazioni rese ai soggetti destinatari delle previsioni costituzionali di tutela, intervenendo in modo problematico tanto in sede di tutela dell’effettività dei diritti civili (libertà negative) quanto (e soprattutto) con riguardo a quella particolare natura prestazionale dei diritti – i diritti sociali – che, essendo maggiormente ‘costosi’, impongono alle rappresentanze parlamentari di operare un’allocazione responsabile delle risorse pubbliche e, al contempo, di individuare politiche di fiscalità eque (rispettose del principio costituzionale della progressività delle imposte e della capacità contributiva dei soggetti fiscalmente incisi), accompagnando tale processo con politiche di semplificazione e di razionalizzazione amministrativa funzionali alla soddisfazione dei (vecchi e nuovi) bisogni sociali.

Ciò risulta particolarmente pregnante (e problematico) alla luce dei bilanciamenti che si rendono ora necessari a seguito della positivizzazione costituzionale negli Stati membri dell’Unione (e nell’ordinamento costituzionale italiano, per quanto concerne più in particolare la presente riflessione) delle nuove regole in materia di equilibrio/pareggio del bilancio, che hanno fatto sollevare (almeno in una parte della dottrina) argomentati interrogativi sulla compatibilità fra principi e valori personalistici e solidaristici accolti nell’ordinamento costituzionale interno e quelli della stabilità economica sanciti dall’ordinamento europeo[6].

In tale ottica, un primo principale tema meritevole di riflessione riguarda il rapporto fra sostenibilità finanziaria, pareggio/equilibrio di bilancio e tutela dei diritti sociali, assumendosi appunto che, in modo più o meno significativo, essi costano più degli altri diritti, richiedendo prestazioni amministrative adeguate e pertanto risorse pubbliche idonee a garantirle.

Alla base di tale riflessione ritroviamo – almeno a partire dagli anni ’90 del secolo passato – la necessità di riflettere sulle problematiche poste dal processo di integrazione europea (e, al suo interno, dall’evidente cambio di passo segnato fin dal Trattato di Maastricht nel 1992-93), sull’‘apatia sociale’ del club Europa originario (mai veramente superata nei suoi profili di fondo nel prosieguo della vita europea), sugli stessi limiti del costituzionalismo multilevel accolto nel Trattato di Lisbona (art. 53 Carta).

In tale ottica, è da sottolineare, in particolare, come i diritti sociali, nell’ordinamento costituzionale interno, dopo un primo approccio che li coglieva come diritti programmatici, cioè come mere obbligazioni costituzionali rivolte al Parlamento senza una loro immediata azionabilità, nel prosieguo della vita politico-costituzionale, sono stati colti, più correttamente, come diritti pienamente protetti e successivamente ancora, sulla base delle nuove determinazioni europee in tema di austerity e dei bilanciamenti operati dalla Corte costituzionale (fra beni giuridici assunti come parimenti meritevoli di protezione), come diritti finanziariamente condizionati “dalla possibilità reale ed obiettiva di disporre delle risorse necessarie”[7].

Tali diritti, così, hanno dovuto registrare il limite dovuto, prima, a un’attuazione incompleta della Costituzione e, successivamente, al condizionamento finanziario della spesa pubblica, che assume attualmente veste e forza di vincolo costituzionale a seguito della positivizzazione costituzionale del Fiscal Compact (con l. cost. 1/2012).

Si scopre, così, che lo Stato sociale, che era nato per rendere piena e universale la garanzia delle libertà e dei diritti nella nuova prospettiva costituzionale della realizzazione delle finalità di giustizia sociale, con la graduale degradazione dei diritti sociali, finisce per rendere fragile la stessa democrazia, pretermettendo il valore normativo del testo costituzionale.

Uno spazio centrale in quest’analisi, pertanto, è da assegnare alle trasformazioni del costituzionalismo (dei Paesi europei) conseguenti al processo di integrazione europeo e in tale ottica dalla interpretazione/attuazione parlamentare e giurisdizionale (soprattutto della giurisdizione costituzionale) delle problematiche costituzionali poste dal rapporto fra crisi finanziaria e diritti fondamentali.

Un processo di integrazione europeo – quello a cui stiamo facendo riferimento – che fa registrare un effetto regressivo dei diritti fondamentali a livello costituzionale, nel mentre nei ‘nuovi’ trattati dell’Unione viene positivizzata la previsione sul multilevel constitutionalism. Ciò risulta particolarmente complesso da inquadrare quando si consideri la significativa affermazione giurisdizionale dei diritti da parte del Giudice dell’Unione. In tale senso si va dai trattati dagli anni ’50 sull’istituzione del mercato comune europeo al protagonismo (a cavallo degli anni ’70) della Corte di Giustizia in tema di diritti, all’affermazione (da Maastricht in poi) di politiche neoliberiste, fino all’attualità costituita dalle politiche rigoristiche (austerità) del mantenimento della stabilità dei prezzi, le quali minano fattualmente il senso comune di appartenenza all’Unione dando corpo a (crescenti) ondate populistiche anti-europee. Tutto ciò in evidente contrasto con lo spirito e il testo del Preambolo e degli articoli 2 e 3 dei Trattati dell’Unione (sviluppo sostenibile, coesione economica e sociale, eliminazione delle ineguaglianze, garanzia di tutti i diritti compresi quelli sociali e in particolare del lavoro). Una “nuova tappa” nel processo di creazione di un’Unione – quest’ultima – chiamata, come sottolinea il Preambolo dei ‘nuovi’ trattati, ad essere “sempre più stretta” tra i popoli dell’Europa, ma le cui evidenze fattuali appaiono attualmente riguardate da critiche (di diverso segno politico) e dalla lacerazione all’interno degli stessi Paesi membri, sempre più ostili nel riconoscere – unitamente a una crescente indeterminatezza del progetto europeo di fronte alle politiche sociali, della immigrazione, ma anche alle tematiche securitarie della politica di difesa comune – piena legittimità e validità a un (formalmente e materialmente) inesistente governo economico dell’Unione, affidato com’è ad accordi intergovernativi, spesso informali[8], e che (nella fase attuale) si riassumono (in modo più che discutibile) nel pressocché esclusivo indirizzo impresso dalla cancelleria tedesca alla BCE e alle istituzioni europee con competenza in materia monetaria.

Senza potersi soffermare in questa sede sui contenuti e, più in generale, sullo stesso processo che, fra le altre misure di contrasto della crisi, hanno portato alla positivizzazione costituzionale nella gran parte dei Paesi membri dell’Unione del Fiscal Compact, non pare irragionevole cogliere negli effetti dell’operatività di tali misure economiche un rischio (che in alcune realtà diviene evidenza concreta) di rottura del principio di uguaglianza fra gli Stati membri dell’Unione, in quanto lo Stato (al momento) più forte a livello europeo (la Germania, sostenuta soprattutto dai Paesi del Nord Europa) potrà sorvegliare e imporre misure restrittive sui bilanci degli Stati finanziariamente deboli, soprattutto quando uno di essi, riguardato dalla sorveglianza, registrasse un “disavanzo eccessivo” (art. 126.6, T.F.U.E.).

Senza (improbabili pretese di) sconfessare la fondatezza e la razionalità alla base delle esigenze dell’equilibrio di bilancio e delle connesse responsabilità politiche e parlamentari, può dirsi che l’insieme delle misure di contrasto della crisi (e in particolare il Fiscal Compact) parrebbe inscriversi in un processo evolutivo del costituzionalismo dei Paesi europei che, sia pure in modo graduale, rischia di assumere i contorni di un vero e proprio processo di decostituzionalizzazione[9], nel quale ­– se non sono di certo rimossi (come, comunque, non potrebbero) – di certo risultano minati i principi del costituzionalismo sociale accolti nelle carte costituzionali del secondo dopoguerra. Un processo – quest’ultimo – che coinvolge lo stesso diritto primario dell’Unione e quello degli Stati membri sulla base di un declamato (benché non regolato) ‘principio di necessità’ imposto dai mercati e dalle istituzioni monetarie e bancarie europee e internazionali.

In un simile scenario, pertanto, come è stato già convincentemente argomentato, la costituzionalizzazione dell’equilibrio/pareggio di bilancio, prima ancora che valore e forza giuridica, assume valore politico, rendendo manifesti e pregnanti nell’ordinamento interno gli stringenti vincoli eurounitari opposti alle politiche di bilancio dei Paesi europei a partire dal Trattato di Maastricht (1992-1993), dal Patto di stabilità e crescita (1997-1999) e da ultimo dal Fiscal Compact (2012). Si tratta comunque di regole (spesso prevalentemente procedurali) difficilmente giustiziabili da parte dei Giudici costituzionali nazionali, ancorché la Corte Costituzionale Federale tedesca – su ricorso delle minoranze politiche e sulla base dell’apporto della scienza giuridica ed economica – vi faccia ampio e ricorrente ricorso con riguardo alla gran parte delle misure economiche di contrasto della crisi nella misura in cui le stesse non siano state previamente delibate dal Bundestag[10].

Essendo il principio di equilibrio fra le entrate e le uscite pienamente ragionevole, esso non verrebbe di certo riguardato da valutazioni problematiche se non prevedesse disposizioni particolarmente rigide e per questo praticamente sottratte al circuito democratico, salvo che per le deroghe all’indebitamento previste costituzionalmente (art. 81, II co., Cost.). Ciò accade in particolare quando la sua determinazione, nel fondo,  dipende da organi tecnocratici (soprattutto BCE e autorità monetarie internazionali), fondandosi sulla convinzione che la separazione della politica monetaria dalla politica economica costituisca un dogma indiscutibile, nella quale la prima deve fissare, autonomamente (art. 121 T.F.U.E.), i parametri cui la seconda deve conformarsi.

Si tratta, come si può vedere, di disposizioni volte a dare attuazione all’obiettivo del mantenimento della stabilità dei prezzi (previsto dall’art. 127 del T.F.U.E.). Obiettivo – quest’ultimo, inteso come principio eurounitario sovraordinato al principio personalista e solidarista sancito dalla Costituzione repubblicana – che, a buon diritto, fa sollevare il dubbio che la costituzionalizzazione dei parametri europei in materia di vincoli alle politiche di bilancio risulti poco o affatto compatibile con i valori e i principi sanciti nella Costituzione, stante la distanza valoriale fra sistema eurounitario e sistema costituzionale interno. Non può infatti mai valere che la stabilità dei prezzi prevalga sui diritti fondamentali, almeno se considerati nel loro nucleo essenziale riconducibile alla dignità della persona[11].

Tale finalità non può essere subordinata al perseguimento di valori economici predeterminati. In tale quadro, il Giudice costituzionale interno sarebbe chiamato a far valere i ‘controlimiti’ nei confronti della (pretesa) prevalenza (generalizzata) del diritto primario dell’Unione sui principi fondamentali e le disposizioni costituzionali in tema di diritti fondamentali, indisponibili (fin qui), per costante giurisprudenza dei Giudici delle leggi dei Paesi europei, a soggiacere al primato generalizzato del diritto dell’Unione[12].

Da ciò si può comprendere l’orientamento dottrinario circa l’“attualità dei ‘controlimiti’ e i dubbi di costituzionalità sulla legge n. 2 del 2012 finché la stabilità dei prezzi sarà la grundnorm del diritto comunitario”[13]. Se, infatti, “tale è l’ordine dei valori nel nostro sistema costituzionale, non dovrebbe essere legittimo, neppure se sancito da una legge costituzionale, negare il soddisfacimento di diritti fondamentali della persona per ragioni economiche e subordinarne il soddisfacimento al perseguimento del pareggio: la legge costituzionale che avesse reso possibile ciò presenterebbe dei dubbi di costituzionalità, perché attraverso il procedimento di revisione costituzionale non si sarebbe limitata a modificare la Costituzione ma a modificare l’assetto dei principi costituzionali caratterizzanti l’ordinamento. Parrebbe essersi esercitato potere costituente sotto forma di potere di revisione”[14].

In difetto di una simile protezione saremmo in presenza di una regressione costituzionale e di uno snaturamento del costituzionalismo contemporaneo[15]. Opponendo la primazia dei principi e dei valori costituzionali posti a garanzia del principio personalista e solidarista su quello europeo della stabilità dei prezzi, il/i Giudice/i delle leggi avrà/nno ancora la possibilità di tutelare i principi e i diritti fondamentali dell’ordinamento costituzionale contro ogni disposizione eurounitaria lesiva degli stessi, dal momento che la legge costituzionale n. 1/2012 contrasta (almeno in alcune delle sue letture) con lo spirito della Costituzione nella parte in cui prevede la vincolatività di parametri europei sulla decisione politica del bilancio[16] (e omologamente negli altri ordinamenti costituzionali con riguardo alla legge costituzionale che ha positivizzato il principio di stabilità di bilancio).

Il principio personalista e quello solidarista sanciti nella Costituzione come valori e come ‘principi fondamentali’, dunque, non ammettono di essere piegati al principio economico della stabilità dei prezzi, o almeno non lo ammettono al di fuori di quel prudente bilanciamento svolto dal Giudice delle leggi ogni qualvolta è chiamato a pronunciarsi in termini di ragionevolezza sul bilanciamento fra beni costituzionali parimenti meritevoli di protezione (come nel caso specifico i diritti fondamentali e la finanza pubblica).

Solo in un simile bilanciamento potrà trovare soddisfazione il riconoscimento delle esigenze degli equilibri di bilancio e unitamente la responsabilità politica del legislatore nella individuazione del complesso delle entrate e delle spese pubbliche, al servizio delle esigenze di stabilità dell’economia e della loro convivenza con la tutela dei diritti fondamentali, almeno in quella parte degli stessi che riguardano i relativi livelli fondamentali, il loro nucleo essenziale, “duro”[17].

In tale prospettiva, le stesse funzioni di garanzia (di rigidità) costituzionale assicurate dagli organi di giustizia costituzionale sono ora messe in tensione ad opera delle novellate previsioni costituzionali (artt. 81, 97, 119 Cost.). In tale contesto, il Giudice italiano delle leggi e le altre corti costituzionali europee vengono a trovarsi in una posizione di sovraesposizione politica in quanto arbitri delle scelte pubbliche di distribuzione e di riallocazione delle risorse (e dei sacrifici).

Gli organi di indirizzo politico non sono esclusi da tali trasformazioni (collegate a ‘politiche di austerità’ che hanno la loro genesi nelle opzioni politico-economiche seguite dalle istituzioni europee e dalle autorità monetarie internazionali) in quanto il legame tra risorse e funzioni, letto in ottica giuspubblicistica (e non meramente economicistica), è posto in discussione sotto la spinta di forze centrifughe e centripete affatto irrilevanti.

L’insieme di tali variabili consentono di cogliere le problematiche di effettività di tali diritti, alla luce delle dinamiche anzi richiamate, e con esse lo stesso rischio (ma il termine da utilizzarsi dovrebbe essere diverso) di ridimensionamento (e finanche di tendenziale evanescenza) dello Stato sociale, molto di più di quanto non fosse stato già colto da quella autorevole dottrina che se ne era occupata negli anni ’70 del secolo scorso (e che, con approccio forse troppo severo, l’aveva portata a parlare dello Stato sociale come di una “nozione inutile”[18]).

La crisi economica rischia, così, di neutralizzare le stesse finalità e la natura dello Stato sociale volte a perseguire, con l’obiettivo della giustizia sociale, il progetto costituzionale della eguaglianza sostanziale fra i soggetti e della stessa democrazia costituzionale, degradando l’effettività dei diritti sociali (nella loro natura di situazioni giuridiche pretensive costituzionalmente tutelate e nella loro funzione di integrazione della comunità politica, statale ma anche europea) alla tutela prevista (politicamente e giurisdizionalmente) per i ‘diritti finanziariamente condizionati’ e rischiando, in tal modo, di vanificare la stessa idea di civiltà giuridica, di democrazia e di Stato sperimentate nella metà di secolo che abbiamo alle spalle e al contempo (sia pure non in modo definitivo) la natura della Costituzione come testo normativo e vincolante (per la politica e per l’economia).

L’analisi dell’effettività evidenziata dalle garanzie dei diritti fondamentali, soprattutto sociali, inoltre, porta a sottolineare come la crisi (in atto) della sovranità – alla luce della crisi in atto (europea, statale ma anche territoriale) – costituisce un problema non solo per gli Stati, ma anche per gli individui e per il loro statuto di cittadinanza. Come è stato bene sottolineato, in tal senso, “senza sovranità … i loro diritti politici (e non solo) non sono garantiti e le politiche redistributive non si possono attuare”[19].

La questione, così, non starebbe nel convenire o meno sulla bontà e sull’adeguatezza delle misure individuate dai governi europei per far fronte alla crisi finanziaria in atto quanto piuttosto nel prendere atto di come la cornice regolativa esterna agli Stati vincoli la disponibilità decisionale e finanziaria dei governi e dei parlamenti nazionali nel governo della spesa pubblica compatibile e rispettoso dei princìpi costituzionali (sotto il profilo del prelievo tributario e della progressività costituzionalmente prevista). La crisi dello Stato sociale risiede, in breve, nel condizionamento finanziario (esterno ed interno) delle politiche pubbliche redistributive chiamate a dare attuazione al progetto costituzionale dell’eguaglianza e della giustizia sociale.

A fronte di tale condizionamento della discrezionalità legislativa e di bilancio degli Stati, imposta (o auto-imposta) dalle istituzioni europee, il rischio evidente è che i diritti, e non necessariamente solo quelli sociali, non potranno disporre di risorse pubbliche idonee a sostenere i corrispondenti servizi pubblici attuativi delle funzioni pubbliche.

A fronte di un simile scenario di riduzione delle risorse risulta compromessa la stessa giustiziabilità dei diritti fondamentali (sociali e non). Tale rischio appare ancora più evidente quando si rifletta all’attuazione delle discutibili previsioni accolte nel novellato art. 81, VI co., Cost., che rinvia alla legge il compito di disciplinare, per il complesso delle amministrazioni pubbliche, le modalità che lo Stato nelle fasi avverse del ciclo economico deve seguire per concorrere “ad assicurare il finanziamento da parte degli altri livelli di governo dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali”[20]. Un simile condizionamento, come si è osservato, impatta negativamente sulla stessa esigibilità dei diritti fondamentali, trasformandoli in ‘diritti finanziariamente condizionati’ e scaricando sui giudici di ultima istanza la decisione sul bilanciamento fra sostenibilità finanziaria ed effettività del godimento del diritto sociale[21].

Il rischio evidente, in tale ottica, non è tanto la riscrittura di un ‘modello sociale europeo’[22] – mai effettivamente costruito e praticato – quanto piuttosto l’impatto svalutativo del rigorismo europeo sul welfare nazionale e sull’insieme dei diritti sociali e della loro concreta effettività.

In tale quadro (già pienamente inveratosi in diversi Paesi europei e da ultimo in Grecia), il diritto alla salute e all’assistenza sociale, il diritto all’istruzione, i diritti previdenziali e i diritti del lavoro (pubblico e privato) non possono che registrare regressioni costituzionali[23] nella misura in cui il rigore delle politiche di bilancio limita la spesa delle amministrazioni (e il godimento in termini di soddisfazione dei ‘bisogni essenziali’) non in tutti i Paesi ma in particolare nella parte più debole dell’Europa[24].

Alla luce del complesso delle richiamate misure di coordinamento fiscale europeo, la crescita della disuguaglianza, così, riguarda non solo gli Stati ma i cittadini europei, con effetti sia sulla eguaglianza interpersonale che su quella inter-territoriale.

Alle mutazioni della costituzione economica ed al rischio di una cesura (nella forma di Stato) e di un’asimmetria fra fatto e diritto, fra costituzione formale e costituzione materiale, fra norma costituzionale e prassi legislativa concorrono poi, su un distinto livello, le attuali regressioni costituzionali nel campo del diritto e dei diritti del lavoro e dei rapporti fra impresa, lavoratori e rappresentanze sindacali e datoriali, che risultano, per come si è già ricordato, particolarmente preoccupanti alla luce delle più recenti evoluzioni giurisprudenziali della Corte di giustizia dell’Unione europea.

I problemi si pongono su due piani, quello interno e quello europeo, atteso che la Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, ora incorporata nei trattati dell’Unione, non conforma uno standard europeo di garanzie nel campo dei rapporti di lavoro comparabile con il più elevato livello di protezione assicurato dalle costituzioni nazionali[25]. Permane così e s’ispessisce l’interrogativo se si possa o meno riconoscere al solo Giudice dell’Unione l’interpretazione in ultima istanza delle garanzie previste nei trattati europei e nelle costituzioni nazionali, relativamente al bilanciamento fra diritto del lavoro (come diritto sociale) e libertà economiche (libera di concorrenza e ‘libertà di stabilimento’)[26].

Deve anche porsi l’interrogativo se la Carta europea dei diritti fondamentali e il suo utilizzo in quanto parametro di giudizio da parte della Corte di giustizia non incorra, nelle fasi di crisi, nel rischio di letture svalutative delle Costituzioni nazionali (il diritto di sciopero, il diritto sindacale, il diritto di negoziazione collettiva, ecc.), che non sarebbero (non dovrebbero essere) permesse alla stessa luce delle ‘clausole orizzontali’ della Carta di Nizza (in particolare dall’art. 53). Previsioni normative – queste ultime – che obbligherebbero (obbligano) il Giudice costituzionale di ogni singolo Paese membro a far valere le garanzie dei ‘controlimiti’, al pari di quanto si prevede per il rispetto delle identità nazionali, politiche e costituzionali da parte dello stesso Giudice dell’Unione (art. 4.2. TUE).

Se quanto sottolineato, sia pure in modo essenziale, risultasse convincente, deve chiedersi quale sarebbe la sorte delle ‘clausole di eternità’ poste alla base del costituzionalismo europeo del secondo dopo-guerra. Deve chiedersi cioè quale sarà/sarebbe la sorte del processo di integrazione europeo che, per essere costituzionalmente appagante, deve fondarsi sul “patrimonio costituzionale europeo” ma anche su un ‘bilanciamento diseguale’ – garantito dalle costituzioni e dalle corti costituzionali degli Stati – tra i diritti economici e i diritti sociali, in altre parole, tra interesse sociale e interesse del mercato, tra la tutela del principio personalista e di quello solidaristico e la garanzia del mercato comune europeo.

Per chiudere la riflessione, potremmo far nostro il passaggio conclusivo di una recente Relazione del compianto Luciano Gallino sul “modello sociale europeo”, elaborata prima che il Trattato sul Fiscal Compact fosse negoziato e stipulato dai governi europei. In quella sede, lo studioso del ‘finanzcapitalismo’ sottolineava come: “I costi dell’essere umano sono così elevati, così imprevedibili per ogni persona, così onerosi per le famiglie e per la persona quando non si riesce a coprirli, da richiedere che la responsabilità di sopportarli sia assunta dalla società nel suo insieme, ovvero dallo Stato, come uno degli scopi più alti della politica, anziché essere accollata senza remore né mediazioni al singolo individuo”[27].

Diversamente opinando, ed applicando la logica rigoristica del Fiscal compact, le disposizioni costituzionali in tema di diritti fondamentali (in particolare di quelli sociali) rischiano di diventare false promesse, se non vere e proprie ‘menzogne’. Vere e proprie ‘menzogne’ – è da sottolinearsi – non in tutti gli ordinamenti europei ma solo nei Paesi deboli dell’Eurozona.

Se questi sono i problemi di ordine politico-costituzionale sollevati dalla crisi finanziaria e dalle risposte del Fiscal Compact, appare ancora ragionevole quella prospettiva (che era alla base dell’“Appello per una Convenzione Costituente Europea” (29 marzo 2012), sottoscritto, in vista delle elezioni europee del 2014, da intellettuali e autorevoli uomini politici e capi di Stato europei, che riproponeva il tema di un ‘Trattato costituzionale per la crescita’, che si prefiggesse di superare tanto i limiti e le debolezze del Trattato di Lisbona, da assumersi “chiaramente inadeguato per far fronte all’inaspettata crisi internazionale”. A fronte della crisi di governo politico dell’Unione, quell’Appello sollecitava “scelte di natura costituzionale volte a garantire un processo di decisione politica, economica e fiscale, rafforzando la democrazia europea e l’efficacia del sistema istituzionale dell’Unione”. Tale ultima prospettiva appare fondamentale per superare i limiti della governace europea, quelli cioè di un metodo intergovernativo che non è riuscito fin qui ad assicurare una prospettiva politica europea all’insieme dei Paesi membri dell’Unione. Una prospettiva – quest’ultima – capace di assicurare l’elaborazione di nuovi trattati che introducano formule più adeguate di legittimazione costituzionale dell’Unione attraverso il coinvolgimento dei popoli dei singoli Paesi membri. Con riguardo all’organizzazione politica, i nuovi trattati dovranno ridisegnare la forma di stato europea, nella quale possa trovare collocazione un Tesoro europeo con piena responsabilità politica per la politica fiscale, monetaria e di bilancio. Una simile riforma risulterebbe risolutiva dell’attuale assenza di indirizzi politici da parte delle istituzioni europee nei confronti della Bce. Muoversi in questa direzione appare convincente, in quanto si determinerebbe una precisa agenda politica della Ue, una vera e propria road map, cogliendo l’obiettivo storico, oggi non ulteriormente rinviabile, di una ri-legittimazione politica, istituzionale ed economica dell’azione, delle istituzioni e della ‘sfera pubblica europea’. In conclusione, come ha sottolineato Jürgen Habermas «… serve un Legislatore europeo che rappresenti i cittadini e decida queste politiche, altrimenti violeremmo il principio secondo cui il legislatore che decide sulla ripartizione delle spese pubbliche coincida col legislatore democraticamente eletto il quale impone a tal fine le tasse»[28].

L’Unione europea e l’Italia (ma anche gli altri Paesi membri dell’Unione), insomma, possono uscire dalla crisi se (e solo se) riescono ad uscire dal limbo in cui oggi versano, vittime entrambi della crisi.

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[1] F. Balaguer Callejón, Crisi economica e crisi costituzionale in Europa, in www.KorEuropa.it; S. Gambino, Crisi economica e costituzionalismo contemporaneo. Quale futuro europeo per i diritti fondamentali e per lo Stato sociale?, in www.korEuropa.it.; S. Gambino, W. Nocito, Crisi dello Stato, governo dell’economia e diritti fondamentali: note costituzionali alla luce della crisi finanziaria in atto, in AA.VV., Crisi dello Stato nazionale, governo dell’economia e tutela dei diritti fondamentali, Milano, 2013.

[2] C. Mortati, Nozioni sulle forme di Stato, in Id., Le forme di governo, Padova, 1973; C. de Cabo, La crisis del Estado social, Barcelona, 1986; M. García Pelayo, Las transformaciones del Estado contemporáneo, IVª ed., Madrid, 1984; J. De Esteban, La función transformadora de las Constituciones occidentales, in AAVV, Constitución y Economía. La ordenación del sistema económico en las Constituciones occidentales, Madrid, 1977; P. de Vega Garcia, Mundialización y derecho constitucional: la crisis del principio democratico en el constitucionalismo actual, in Revista de Estudios Politicos (N.E.), 1998, 100; N. Bobbio, Il futuro della democrazia, Torino, 2005; U. Allegretti, Globalizzazione e sovranità nazionale, in Dem. e dir., 1998; A. Baldassarre, Globalizzazione contro democrazia, Roma, 2002.

[3] AA.VV., Transizioni e democrazia nei Paesi del mediterraneo e del vicino Oriente, Cosenza, 2014.

[4] AA.VV. (a cura di S. Gambino), Diritti sociali e crisi economica. Problemi e prospettive, Torino, 2015.

[5] Per un essenziale riscontro relativo all’esperienza italiana, può ricordarsi come l’effetto di tale crisi – tutto al contrario di portare al calo atteso del debito pubblico – ha significato la crescita da 100.6 a 132.2 del rapporto debito/PIL; un esito – quest’ultimo – che sancisce per tabulas la natura fallimentare dal punto di vista economico/finanziario dello strumentario seguito dalle Istituzioni europee, cui devono aggiungersi i pesanti sacrifici subìti dal mondo del lavoro, dell’impresa e dei consumi, che sono stati stimati in un ammontare di 134 miliardi di euro nel decennio che intercorre dai governi Berlusconi-Prodi all’attuale governo Renzi (così J. Zielonka, Disintegrazione. Come salvare l’Europa dallUnione Europea, Roma-Bari, 2014, p. 127).

[6] D. Mone, La costituzionalizzazione del pareggio di bilancio ed il potenziale vulnus alla teoria dei controlimiti, www.rivistaaic, 3/2014.

[7] Corte cost., in part., sentt. n. 455/1990 e n. 283/1993.

[8] P. Caretti, Introduzione alle V Giornate italo-ispano-brasiliane di diritto costituzionale (Lecce, 14-15 settembre 2012), ora anche  in www.gruppodipisa.it, p. 2.

[9] L. Ferrajoli, Dei diritti e delle garanzie, Bologna, 2013.

[10] M. Raveraira, L’ordinamento dell’Unione europea, le identità costituzionali nazionali e i diritti fondamentali. Quale tutela dei diritti sociali dopo il Trattato di Lisbona ?, in Rivista del diritto della sicurezza sociale, n. 2/2011; M.-C. Ponthoreau, Identité constitutionnelle et clause européenne d’identité nationale. L’Europe à l’épreuve des identités constitutionnelles nationales, in D.P.C.E., 2007, IV.

[11] D. Mone, La costituzionalizzazione del pareggio di bilancio, cit., p. 19.

[12] Sul punto cfr. anche i nostri Ambiti e limiti della tutela multilivello dei diritti fondamentali in alcuni recenti indirizzi della Corte di giustizia europea, in La cittadinanza europea, 1/2015, nonché Identità costituzionali nazionali e primauté eurounitaria, in Quaderni costituzionali, n. 3/2012.

[13] D. Mone, La costituzionalizzazione del pareggio di bilancio, cit., p. 23.

[14] D. Mone, La costituzionalizzazione del pareggio di bilancio, cit., p. 24.

[15] L. Ferrajoli, Dei diritti e delle garanzie, cit., pp. 11-12.

[16] A. Ruggeri, La Corte di Giustizia, il primato incondizionato del diritto dell’Unione e il suo mancato bilanciamento col valore della salvaguardia dei principi di struttura degli ordinamenti nazionali nel loro fare ‘sistema’, in www.diritti comparati (2 aprile 2013); S. Scagliarini, La Corte tra Robin Hood Tax e legislatore ‘Senzaterra’, in Consulta OnLine, n. 1/2015; L. Califano, In tema di crisi economica e diritti fondamentali, in rivistaaic, n. 4/2013; I. Ciolli, I diritti sociali al tempo della crisi economica, in www.costituzionalismo.it (2012, n. 3); D. Tega, I diritti sociali nella dimensione multilivello tra tutele giuridiche e crisi economica, in www.gruppodipisa.it (8-9 giugno 2012); M. Benvenuti, Diritti sociali, in Digesto delle Discipline Pubblicistiche – Aggiornamento, Torino, 2012.

[17] E. Balboni, I livelli essenziali e i procedimenti per la loro determinazione, in Le Regioni, 2003; C. Pinelli, Livelli essenziali delle prestazioni e perequazione finanziaria, in Diritto e società, n. 4/2011; L. Trucco, Livelli essenziali delle prestazioni e sostenibilità finanziaria dei diritti sociali, in www.gruppodipisa.it, 2012; C. Panzera, I livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali, in G. Campanelli, M. Carducci, V. Tondi della Mura, Diritto costituzionale e diritto amministrativo: un confronto giurisprudenziale, Torino, 2010.

[18] M.S. Giannini, Lo Stato sociale: una nozione inutile, in Scritti Mortati, Milano, 1978, Vol. I, p. 139.

[19] M. Luciani, Sovranità, in ItalianiEuropei, 2011, n. 7, pp. 164-165.

[20] Una parte della dottrina, tuttavia, si dimostra meno pessimistica sulla possibilità di praticare politiche pubbliche fondate sull’indebitamento, alla condizione della previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, e ogni qualvolta tale forma di finanziamento si configuri come necessaria per reagire alle fasi avverse del ciclo economico, per far fronte ad eventi eccezionali o per concorrere ad assicurare i livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali. Così, A. Morrone (Pareggio di bilancio e Stato costituzionale, in Lavoro e diritto, n. 3/2013), secondo il quale: “L’introduzione dell’equilibrio di bilancio, come negli altri Paesi, è compatibile con politiche di deficit spending, anche se l’indebitamento è sottoposto ora a limiti (non rigidi), relativi a presupposti (distinguendosi tra effetti del ciclo economico e eventi eccezionali), soggetti (governo, parlamento e istituzioni europee), e procedimenti (deliberativi e di controllo), che incrociano scelte politiche e norme giuridiche di dimensione internazionale, europea e nazionale”.

[21] C. Salazar, Crisi economica e diritti fondamentali, in rivistaaic.it, 4/2013; A. Spadaro, La crisi, i diritti sociali e le risposte dell’Europa, in B. Caruso, G. Fontana, Lavoro e diritti sociali nella crisi europea. Un confronto fra costituzionalisti e giuslavoristi, Bologna, 2015; D. Tega, I diritti sociali nella dimensione multilivello tra tutele giuridiche e politiche e crisi economiche, in www.gruppodipisa.it, 2012; L. Trucco, Livelli essenziali delle prestazioni e sostenibilità finanziaria dei diritti sociali, in www.gruppodipisa.it (2012).

[22] F. Mancini, L’incidenza del diritto comunitario sul diritto del lavoro degli Stati membri, in Riv. Dir. eur., 1989, n. 3.

[23] Cfr. G. Ferrara, Regressione costituzionale, in www.costituzionalismo.it del 18/04/2012.

[24] S. Gambino, Diritti sociali e libertà economiche nelel costituzioni nazionali e nel diritto europeo, in A. Ruggeri (a cura di), Crisi dello Stato nazionale, dialogo intergiurisprudenziale, tutela dei diritti fondamentali, Torino, 2015.

[25] S. Giubboni, Diritti sociali e mercato. La dimensione sociale dell’integrazione europea, Bologna, 2003; C. Salazar, La Costituzione, i diritti fondamentali, la crisi: ‘qualcosa di nuovo, anzi d’antico’, in B. Caruso, G. Fontana, Lavoro e diritti sociali nella crisi europea, cit.; G. Zagrebelsky (a cura di), Diritti e Costituzione nell’Unione Europea, Roma-Bari, 2003; G. Bronzini, Il modello sociale europeo, in F. Bassanini, G. Tiberi, Le nuove istituzioni europee, Bologna, 2010.

[26] G. Azzariti, Le garanzie del lavoro tra costituzioni nazionali, carta dei diritti e Corte di giustizia dell’Unione europea, in C. Salvi (a cura di), Diritto civile e principi costituzionali europei e italiani, Torino, 2012.

[27] L. Gallino, Il modello sociale europeo e l’unità della Ue in dialogo, in P. Borgna, Il modello sociale europeo sotto attacco, 2012.

[28] J. Habermas, Questa Europa è in crisi, Bari-Roma, 2012.