Dialogare (minacciare?) serve. Osservazioni a margine della decisione della Corte EDU Humpert v. Germany sul divieto di sciopero per i Beamte
1. Con la sentenza della Grande Camera Humpert v. Germany, la Corte EDU chiude un confronto a distanza con il giudice costituzionale tedesco in sospeso da almeno cinque anni. Oggetto del contendere è il divieto di sciopero per una particolare categoria di funzionari pubblici tedeschi – i Beamte, o civil servants nel linguaggio della Corte EDU – la cui disciplina è segnata da un legame di fedeltà nei confronti dello Stato estremamente forte. A fronte di un trattamento particolarmente favorevole in termini di retribuzione e di sicurezza del posto di lavoro, ai Beamte è, per quanto qui rileva, assolutamente proibito scioperare; la loro retribuzione, del resto, è regolata dalla legge e non dai contratti collettivi.
Dei circa 5.200.000 impiegati pubblici tedeschi, oltre 1.700.000 sono Beamte; tra questi si ritrova anche la grande maggioranza dei circa 820.000 insegnanti attivi in Germania. Il caso nasce proprio dalla violazione del divieto di sciopero da parte di quattro insegnanti con status di Beamte, nel 2009 e 2010; sottoposti a sanzione disciplinare, i quattro ricorrenti si rivolgono al giudice amministrativo, ma senza esito. In ultima istanza, il Tribunale amministrativo federale conferma la legittimità della sanzione: pur se ai Beamte deve essere riconosciuto il diritto di sciopero ex art. 11 CEDU, tale diritto si scontra con l’art. 33, quinto comma, Grundgesetz, che richiede che la pubblica amministrazione sia disciplinata nel rispetto dei “principi tradizionali del rapporto di impiego professionale”, tra cui appunto il divieto di sciopero. Essendo impossibile interpretare la disposizione costituzionale in maniera conforme alla CEDU, nel contrasto fra il diritto previsto dalla CEDU e il divieto previsto dalla Legge fondamentale, sarà quest’ultimo a prevalere, fintantoché il legislatore (costituzionale) non adempirà all’obbligo di comporre il contrasto fra CEDU e Grundgesetz.
2. Investo del ricorso, il Bundesverfassungsgericht (‘BVerfG’) pone in essere la più netta e decisa difesa possibile del divieto di sciopero in esame. Nella sua sentenza del 2018, infatti:
- afferma che il divieto di sciopero discende direttamente dall’art. 33, quinto comma, GG, trattandosi di uno dei principi tradizionali del rapporto di impiego professionale (§§ 144 e 152): non quindi una scelta del legislatore, legittima ma modificabile, bensì un divieto di rango costituzionale, non superabile se non attraverso la revisione costituzionale;
- esclude che sia possibile una diversa disciplina di tale divieto che ne faccia venir meno il carattere assoluto, ad esempio limitandolo ai soli funzionari pubblici che esercitano determinate funzioni oppure condizionandone l’esercizio a determinati requisiti, quali un obbligo di notifica o di autorizzazione (§§ 153 e 159);
- afferma, attraverso un approfondito esame della giurisprudenza della Corte EDU, che un simile divieto non viola l’art. 11 della CEDU, specificando che alla luce dell’attuale giurisprudenza della Corte EDU non sussiste una situazione di contrasto fra il diritto tedesco e la Convenzione e che, anche qualora tale contrasto sussistesse, sarebbe comunque giustificato alla luce dell’art. 11, secondo comma, CEDU (§§ 163 ss.);
- Lascia intendere, che, qualora il divieto di sciopero dovesse essere invece considerato (dalla Corte di Strasburgo) in contrasto con la CEDU, esso ben potrebbe essere qualificato come principio costituzionale fondamentale, prevalente rispetto alla Convenzione, pur lasciando per il momento aperta la questione (§172).
Il tutto preceduto da una ricostruzione generale dei rapporti fra Grundgesetz e CEDU non particolarmente Convention-friendly, dove si ribadisce sì la funzione di guida e orientamento della giurisprudenza di Strasburgo per l’interpretazione costituzionale, ma circondandola di una serie di limiti e cautele: le pronunce della Corte EDU devono essere contestualizzate, deve essere evitato un mero allineamento delle nozioni costituzionali a quelle della CEDU, e più che alle sentenze di Strasburgo deve essere prestata attenzione alle affermazioni sui valori fondamentali in esse contenute.
Con tutta evidenza, si tratta di una pronuncia scritta avendo in mente la (sicura) reazione della Corte EDU, la “prima parola” di un dialogo, anche se, per la perentorietà delle sue affermazioni, essa suona più come una minaccia che non sembra prendere in considerazione l’ipotesi di una risposta non allineata. Il messaggio che il giudice costituzionale lancia a Strasburgo è insomma chiaro: “Non si azzardi la Corte EDU a toccare il divieto di sciopero per i Beamte…”.
Al di là del carattere assai marcatamente confrontational della pronuncia, tuttavia, l’argomentazione del giudice costituzionale coglie un aspetto estremamente interessante e problematico del rapporto fra giurisdizioni costituzionali nazionali e Corte EDU. Il BVerfG rivolge infatti ai giudici di Strasburgo un perentorio appello a non considerare isolatamente il solo diritto di sciopero, bensì a guardare alla disciplina dei Beamte come a un sistema (§ 58), in cui ai Beamte è sì tolto il principale strumento di lotta sociale, lo sciopero, ma è assicurato in cambio sia il diritto di partecipare, attraverso i propri rappresentanti, al procedimento legislativo per la disciplina delle loro condizioni di lavoro, sia il diritto costituzionalmente garantito a un adeguato mantenimento. Non si può quindi – dice in sostanza il BVerfG – verificare meccanicamente se i Beamte possono scioperare oppure no, ed eventualmente dichiarare la violazione dell’art. 11 CEDU. Occorre invece cogliere la logica di un sistema, fortemente radicato nella tradizione tedesca, in cui il Beamte si dedica pienamente al servizio dello Stato, e lo Stato si prende adeguatamente cura del Beamte. In tale sistema, ogni elemento è parte di un equilibrio: ciò fa sì che non sia possibile toccare un elemento isolatamente senza inevitabilmente compromettere l’intero istituto.
Con ciò, il BVerfG non solo si fa chiaramente portavoce e difensore delle peculiarità nazionali di fronte alla Corte EDU, ma sembra anche riecheggiare una preoccupazione espressa in termini non dissimili dalla Corte costituzionale italiana: quella che a Strasburgo la tutela dei diritti avvenga “in modo parcellizzato, con riferimento a singoli diritti”, laddove essa deve essere “sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro” (sent. n. 264/2012).
3. Di fronte a una così netta presa di posizione del BVerfG, la Corte EDU si trova in una situazione non semplice. Non avendole il giudice costituzionale tedesco lasciato alcun margine di manovra, una pronuncia di violazione dell’art. 11 CEDU avrebbe inevitabilmente aperto la strada a uno scontro aperto fra corti. D’altra parte, escludere la violazione dell’art. 11 CEDU non solo richiedeva un’accurata rilettura dei propri precedenti (e in particolare della pronuncia Enerji Yapi-Yol Sen c. Turquie, in cui si legge che il divieto di sciopero non può applicarsi indiscriminatamente a tutti i funzionari pubblici, ma solo a determinate categorie di questi, strettamente delimitate e chiaramente definite), ma anche di superare due ostacoli piuttosto evidenti: lo European consensus e l’interpretazione della CEDU in armonia con gli altri trattati internazionali.
Sotto il primo profilo, in nessuno dei 35 Paesi del Consiglio d’Europa esaminati dalla Corte è proibito agli insegnanti di scioperare, anche qualora godano dello status di civil servants (§ 67). Sotto il secondo, la Corte richiama le numerose prese di posizione dei diversi monitoring bodies incaricati di verificare il rispetto del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, della Convenzione n. 98 dell’Organizzazione internazionale del lavoro sul diritto di organizzazione e di negoziazione collettiva, e della Carta sociale europea, che non solo riconoscono in generale la protezione internazionale del diritto di sciopero, ma specificamente censurano il divieto assoluto di sciopero per i Beamte in Germania (§§ 53-60). E l’elenco potrebbe allungarsi, quando la Corte internazionale di giustizia renderà la sua opinione consultiva circa la tutela del diritto di sciopero da parte della menzionata Convenzione n. 98.
Affermare la non violazione dell’art. 11 CEDU era insomma possibile solo al prezzo di mettere da parte tanto “the practice of Contracting States” quanto “the consensus emerging from specialised international instruments” quali tradizionali punti di riferimento per l’interpretazione della Convenzione. Nella sentenza in esame, la Corte EDU si mostra pronta a pagare questo prezzo (attirandosi così le critiche dell’opinione dissidente del giudice Serghides), sostanzialmente accogliendo l’approccio sistemico richiesto dal BVerfG.
Secondo la Corte EDU, lo sciopero rappresenta uno dei più importanti strumenti con cui i sindacati possono difendere gli interessi dei lavoratori e come tale è protetto dall’art. 11 della Convenzione. Tuttavia, poiché esso non è l’unico strumento di cui essi dispongono, per valutare la compatibilità di una restrizione del diritto di sciopero con l’art. 11 CEDU occorre esaminare l’insieme delle misure adottate da uno Stato per tutelare la libertà sindacale. Ne consegue – questo il passaggio fondamentale in cui la Corte EDU accoglie la prospettiva del giudice di Karlsruhe – che “the question whether a prohibition on strikes affects an essential element of trade-union freedom because it renders that freedom devoid of substance in the circumstances […] is context-specific and cannot therefore be answered in the abstract or by looking at the prohibition on strikes in isolation. Rather, an assessment of all the circumstances of the case is required, considering the totality of the measures taken by the respondent State to secure trade-union freedom, any alternative means – or rights – granted to trade unions to make their voice heard and to protect their members’ occupational interests, and the rights granted to union members to defend their interests” (§ 109).
In questa prospettiva, lo European consensus e il trend che emerge a livello internazionale non rappresentano più l’aspetto determinante per decidere se lo Stato si è mosso all’interno del margine di apprezzamento riconosciutogli oppure no, bensì soltanto uno degli aspetti – sei in tutto – dell’ “overall assessment” della Corte. Il § 127 mette nero su bianco la marginalizzazione di tali aspetti: “while any trend emerging from the practice of the Contracting States and the negative assessments made by the aforementioned monitoring bodies of the respondent State’s compliance with international instruments constitute relevant elements, they are not in and of themselves decisive for the Court’s assessment […]”. Nella valutazione della Corte, prevalgono altri elementi:
- la presenza di altri strumenti con cui i Beamte possono far valere i propri interessi; in particolare, il diritto di partecipare, attraverso le loro rappresentanze sindacali, al procedimento legislativo che porta alla definizione per legge delle loro condizioni di lavoro, nonché il diritto a un adeguato mantenimento (garantito dal giudice costituzionale tedesco che in alcune occasioni ha dichiarato incostituzionale la disciplina adottata dal legislatore);
- la strumentalità del divieto di sciopero alla garanzia dell’efficienza della pubblica amministrazione e in particolare del diritto all’istruzione;
- il fatto che i Beamte godano di altri diritti legati a questo status, che risulta complessivamente più vantaggioso sia rispetto a quello dei dipendenti pubblici tedeschi contrattualizzati, sia rispetto a quello degli insegnanti della maggior parte degli altri Paesi europei;
- la possibilità per gli insegnanti di scegliere fra due regimi alternativi di impiego pubblico: quello di Beamte, con migliori condizioni e divieto di sciopero, o quello di dipendente contrattualizzato, con condizioni meno vantaggiose ma senza divieto di sciopero;
- la natura non particolarmente severa delle misure disciplinari adottate verso i ricorrenti.
Tutti questi elementi, considerati “in their totality”, portano la Corte a escludere la violazione dell’art. 11 CEDU.
4. Se la Corte EDU essenzialmente accoglie l’approccio “sistemico” del BVerfG e loda “the extensive assessment of the Federal Constitutional Court” (§ 146), in quel gioco di concessioni, distinguo e avvertimenti che è oggi il dialogo fra corti, i giudici di Strasburgo non mancano di segnare alcuni punti di distanza rispetto ai colleghi di Karlsruhe, ciò che evita di fare della pronuncia in esame una resa incondizionata al BVerfG.
In primo luogo, la Corte EDU evita di seguire il giudice costituzionale tedesco dove non strettamente necessario. Nella sua argomentazione sulla compatibilità del divieto di sciopero con l’articolo 11 CEDU, il BVerfG non solo aveva ritenuto che il divieto di sciopero si giustificasse in termini generali alla luce del primo periodo del secondo comma dell’art. 11 CEDU, quale restrizione “necessaria in una società democratica”, ma si era spinto sino a sostenere che gli insegnanti che godono dello status di Beamte potessero rientrare nella categoria dei “members of the administration of the State” per i quali il secondo periodo del secondo comma dell’art. 11 CEDU espressamente prevede la possibilità di “lawful limitations”, al pari dei membri delle forze armate e di polizia. La Corte di Strasburgo ritiene superfluo esprimersi su questa questione, e non segue così il BVerfG in quella che sarebbe stata un’interpretazione estremamente estensiva della nozione di “members of the administration of the State”. Al contrario, nel lasciare aperta la questione, la Corte EDU coglie l’occasione per ricordare, a futura memoria, che “the concept of ‘the administration” deve essere interpretato in maniera restrittiva (§ 114), quasi implicitamente smentendo il giudice costituzionale tedesco.
In secondo luogo, la Corte di Strasburgo risponde in maniera netta e chiarissima alle affermazioni generali sui limiti costituzionali all’applicazione della CEDU nell’ordinamento tedesco contenute nella pronuncia del BVerfG. La parte in diritto della sentenza della Corte EDU si apre infatti con un paragrafo dedicato a “the role of the Court” (§§ 69 ss.), in cui, senza troppi giri di parole, si ricorda che (tutti) gli Stati sono tenuti ad adempiere agli obblighi volontariamente assunti per mezzo della ratifica della Convezione, senza poter invocare la propria Costituzione come causa di giustificazione per il mancato adempimento. Assai ricettiva sulla specifica questione del divieto di sciopero, la Corte di Strasburgo sottolinea invece che, sul piano generale della vincolatività degli obblighi derivanti dalla Convenzione, la distanza fra i due giudici rimane assai marcata e risponde in maniera ferma alle minacce contenute, in maniera nemmeno troppo velata, nella pronuncia del BVerfG.
5. La decisione della Corte EDU appare nel complesso condivisibile, anche se non priva di costi. Si è già detto di come lo European consensus e l’interpretazione della Convenzione in armonia con il trend internazionale risultino essere le sue vittime principali e più immediate. Più in generale si può aggiungere che essa sembra abbandonare l’idea di fornire agli Stati dei criteri, ampi e flessibili quanto si vuole ma pur sempre generali, per stabilire l’estensione del margine di apprezzamento a essi riconosciuto, a favore di una valutazione casistica, in cui anche una disciplina estremamente restrittiva di un diritto può risultare conforme alla CEDU sulla base di un “overall assessment” che lascia alla Corte EDU un margine di discrezionalità estremamente ampio, grazie alla possibilità di compensare la restrizione di un diritto con un trattamento vantaggioso sotto un diverso aspetto.
A fronte di questi limiti, la pronuncia ha tuttavia dei meriti innegabili. Nell’immediato, essa evita uno scontro diretto con il giudice costituzionale tedesco e, più in generale, valorizza il procedural review, di cui sottolinea le potenzialità nel dialogo fra corti: tanta è stata l’attenzione dedicata dal BVerfG alla giurisprudenza dei giudici Strasburgo, quanta quella dedicata dalla Corte EDU agli argomenti dei giudici di Karlsruhe.
Leggere la pronuncia in esame esclusivamente attraverso la prospettiva istituzionale del dialogo fra le corti, nei termini di un mero adeguamento della Corte di Strasburgo alle ragioni del giudice costituzionale tedesco sarebbe tuttavia riduttivo. Il pregio maggiore della decisione Humpert v. Germany sembra invece risiedere, da una parte, nella capacità dimostrata dalla Corte di Strasburgo di cogliere e rispettare la peculiarità di una disciplina nazionale, seguendo un approccio che non impone i diritti della Convenzione come rigido metro di misura esterno bensì è capace di far propria la logica interna del sistema sottoposto al suo giudizio. Dall’altra, nell’aver fatto questo attraverso un giudizio articolato e rigoroso, che fa sì che difficilmente questa decisione possa essere strumentalmente utilizzata da altri Stati in cui il diritto di sciopero venga semplicemente conculcato senza le cautele e le compensazioni proprie del sistema tedesco. Nel complesso, un esempio di equilibrio tra il rispetto delle peculiarità nazionali (volendo: dell’identità costituzionale) e la garanzia di un livello adeguato di protezione dei diritti.