Democrazia costituzionale e democrazia elettorale in Israele: lo scontro sulla Haredì Exemption Law
N.B. A causa della guerra in corso nessuno dei siti istituzionali israeliani è raggiungibile al di fuori del territorio dello Stato di Israele. Nel testo che segue, dunque, alcuni testi di legge citati non sono al momento consultabili.
Che l’ordinamento israeliano stia, ormai da tempo, affrontando (o – piuttosto – subendo) una fase di profondo arretramento democratico è un dato largamente condiviso. A riprova della difficoltà del momento, per la prima volta il Global democracy index report del V-Dem Institute ha declassato nel 2024 lo Stato di Israele da “democrazia liberale” a “democrazia elettorale”. L’indice attribuisce esplicitamente il calo del “punteggio democratico” israeliano ai tentativi dell’Esecutivo di approvare la controversa riforma giudiziaria lo scorso anno e all’avallo del cosiddetto Reasonableness Bill. Sebbene la Corte sia successivamente intervenuta sull’emendamento, l’indice riconosce proprio nella sua iniziale approvazione un preoccupante indicatore di erosione della democrazia israeliana.
Nonostante il tema dello scontro tra Poteri sia stato largamente superato dalla tragicità dei fatti del 7 ottobre e della successiva operazione a Gaza, e sebbene l’ordinamento si caratterizzi per una buona dose di flessibilità ed eccezionalità in chiave comparata, non mancano in questo momento ulteriori difficoltà ordinamentali, più propriamente istituzionali ed “endogene”. Il 28 marzo, infatti, la Corte Suprema ha ordinato la fine dei sussidi per gli uomini ultraortodossi (haredim) che non prestano servizio nell’esercito nazionale (IDF). Si tratta di un evento tutt’altro che marginale: una sentenza al contrario dirompente, che – senza entrare nel merito degli aspetti specificamente religiosi del problema, anch’essi assai rilevanti e dibattuti – potrebbe avere conseguenze di ampia portata per la stabilità della coalizione di maggioranza e per le decine di migliaia di religiosi che si rifiutano di prendere parte al servizio militare obbligatorio.
L’antico dibattito sulla coscrizione militare per i cittadini israeliani ultraortodossi è al momento, in effetti, la più grave e urgente minaccia alla stabilità del Governo di destra radicale del Primo Ministro Netanyahu. All’interno della sua coalizione, il potente blocco dei partiti haredim – da tempo alleati strategici del Premier – è assolutamente determinato nel richiedere che le esenzioni dal servizio militare continuino, al punto che alcuni deputati del raggruppamento hanno addirittura prospettato la formalizzazione di questo principio nella Legge Fondamentale sull’Esercito. I membri centristi del Gabinetto di guerra, che significativamente sono entrambi ex generali, insistono invece affinché tutti i settori della società israeliana contribuiscano in egual misura alla guerra in corso. Netanyahu e il Likud (che i sondaggi danno in fortissimo calo di consensi e al cui interno, così come tra i partiti della destra radicale, non mancano voci che chiedono la fine delle esenzioni), cerca al momento di prendere tempo e “disinnescare” una questione potenzialmente esplosiva per la maggioranza. Il tema dell’esenzione dal servizio – insieme a quello dei sussidi che gli studenti delle scuole rabbiniche ricevono – rappresenta in effetti una delle controversie più profonde e radicate dell’ordinamento giuridico israeliano, che ha visto negli anni, oltre a numerosissime udienze ministeriali ed interrogazioni parlamentari, diversi Esecutivi “cadere” proprio perché travolti dagli accesi conflitti trascinati dalla questione.
La legge che autorizza le esenzioni per i cittadini ultraortodossi è formalmente scaduta nel giugno 2023 e una ulteriore proroga temporanea si è conclusa il 31 marzo 2024. Precisamente entro tale data, il Governo avrebbe dovuto concordare un testo per conformarsi alla sentenza n.1887 della Corte del 2017, che aveva stabilito ufficialmente che le esenzioni generalizzate dal servizio militare per gli studenti ultraortodossi fossero da ritenere discriminatorie. Secondo la Direzione del Personale dell’IDF, circa 66.000 giovani della comunità haredì hanno ricevuto l’esenzione dal servizio militare nel 2023: un numero tanto elevato costituisce un record assoluto nella storia del paese e un elemento determinante che alla luce della drammatica situazione di guerra ha contribuito a proiettare il tema nuovamente in cima alle priorità nazionali. Ricostruire in questa sede tutta l’intricata vicenda giuridica dell’esenzione militare per gli ultraortodossi con i suoi complessi dettagli non è ovviamente possibile, ma è certo che la battaglia sulla Defence Service Law del 1949 (successivamente emendata nel 1956 e nel 1986) rappresenti uno dei terreni di scontro più aspro tra gli Esecutivi israeliani e la Corte Suprema. Il dibattito, come si è detto, ha visto l’avvicendarsi di un numero imprecisato di ricorsi, proroghe, scontri politici e ammonimenti da parte della Corte ai diversi Esecutivi, che tuttavia sono sempre riusciti a mantenere il sistema delle esenzioni nonostante l’incostituzionalità rilevata a più riprese dalla Corte.
Già nel 1998, nel Rubinstein vs Minister of Defense Case (HCJ 3267/97), la Corte aveva stabilito che la decisione circa l’esenzione “must be adopted in the framework of a national decision made by the Knesset regarding the position of the State of Israel on a controversial national-social issue”. È proprio per rispondere all’invito della Corte e per risolvere la sfida della coesione sociale posta da un tema tanto caratterizzante dal punto di vista religioso, che il Primo Ministro Netanyahu, insieme all’allora Ministro della Difesa Barak, aveva nominato nel 1999 una Commissione ad hoc sulla questione: la Commissione Tal. Presieduta da Tzvi Tal (ex giudice della Corte Suprema), la Commissione fu incaricata di fornire dei suggerimenti all’Esecutivo sulla formulazione della legislazione in materia di arruolamento.
Le principali conclusioni della Commissione portarono la Knesset a trasformare l’accordo di differimento (il cosiddetto Torato umanuto” trad. it. “lo studio della Torah è il suo lavoro,” già previsto nella legge del 1949 e praticato informalmente già prima della fondazione dello Stato) in una legge, approvando (con 51 voti a favore e 41 contrari) la “Deferral of Military Service for Yeshiva Students Law” nel 2002. Anche nota come Tal Law, la legge stabiliva il rinvio per gli studenti delle yeshivot (le scuole rabbiniche) fino all’età di 22 anni, momento in cui avrebbero avuto la possibilità di accedere ad un servizio militare minimo o ad un servizio nazionale sostitutivo, della durata di almeno un anno. Rinnovata per altri cinque anni nel 2007, la Tal Law venne giudicata incostituzionale – il 21 febbraio 2012 – dalla Corte Suprema israeliana, che con la sentenza Ressler vs Knesset (HCJ 6298/07, HCJ 6318/07, HCJ 6319/07, HCJ 6320/07, HCJ 6866/07) ed un voto di 6-3 dei suoi membri, vide nella legge una violazione del principio di uguaglianza dei cittadini, stabilendo l’impossibilità da parte del Parlamento di prolungarla oltre la sua scadenza, fissata al 1° agosto 2012.
Con l’allargarsi del dibattito nazionale e con la catastrofica esperienza della Plesner Commission (anche nota come Commission for Equality in the Burden), boicottata dai suoi stessi partecipanti e durata poco più di un mese), una rinnovata Knesset approvava il 12 marzo 2014, l’emendamento n.19 alla Defense Service Law, introducendo per la prima volta l’obbligo di prestare servizio anche per i giovani ultraortodossi. Fortemente voluto dal partito centrista Yesh Atid, nuovo astro della Knesset alle elezioni politiche del 2013, che sulla “condivisione del peso militare” aveva impostato tutta la sua campagna elettorale, il testo viene riformato l’anno successivo (con l’aggiunta dell’emendamento n. 21 alla Defense Service Law) su richiesta dei partiti ultraortodossi, il cui peso può mettere a rischio la tenuta del Governo Netanyahu. Si arriva così al 12 settembre 2017, data in cui l’Alta Corte di Giustizia, con la sentenza 1877/14, decide di annullare entrambi gli emendamenti n.19 e n.21, poiché ritenuti in violazione del principio di uguaglianza. È questo, quindi, il terzo caso in cui la Corte interviene in materia di esenzione dei cittadini haredim, oltre al 1998, quando aveva ritenuto che il Ministero della Difesa non avesse l’autorità per garantire esenzioni senza una esplicita autorizzazione normativa, ed al 2012, quando aveva riconosciuto l’inadeguatezza della Tal Law a risolvere il problema.
Nei termini più sintetici è quindi questo il necessario contesto storico-giuridico in cui va letta la questione del Haredì Exemption Law più recente. Con l’avvicinarsi della scadenza, il Governo si era affrettato nelle ultime settimane a presentare una proposta di legge in merito. Il testo infine messo a punto presentava tuttavia diversi punti decisamente critici, in particolare non esplicitando la quota minima di ultraortodossi da arruolare ogni anno, portando l’età ultima di esenzione dal servizio a 35 anni e garantendo che gli uomini haredì non arruolati non incorrerebbero in sanzioni penali. La proposta è stata duramente criticata dalle minoranze parlamentari e da alcuni componenti della stessa maggioranza, soprattutto dalle forze centriste entrate nel War Cabinet allo scoppio della guerra. Il Ministro della Difesa Gallant ha così dichiarato di non poter sostenere alcuna legge approvata senza un ampio accordo da parte di tutti i partiti della coalizione – in particolare dai membri del partito centrista guidato da Gantz – accusando i partiti ultraortodossi (Shas e UTJ) di poca collaborazione in un momento particolarmente difficile. Da parte sua Benny Gantz, leader di National Unity, ha definito la bozza di legge presentata una «linea rossa» e una minaccia alla coesione nazionale, minacciando di uscire dalla coalizione se la controversa legislazione dovesse essere portata in aula.
Prevedibilmente, la bozza è stata fortemente criticata anche dall’opposizione, il cui leader Yair Lapid l’ha descritta come una «legge di evasione», che consente «l’esenzione dal servizio militare per decine di migliaia di giovani» nel bel mezzo di una guerra. Non sorprende certamente inoltre, che proprio perché in guerra, anche altre voci e forze del paese siano intervenute con toni molto accesi. Così, ad esempio, il Movement for Quality of Government si è espresso a riguardo sui social, dichiarando che il disegno di legge proposto è «un altro trasparente e vergognoso tentativo di evitare la semplice verità – che non esista alcuna alternativa ad una piena e reale uguaglianza». «L’equa ripartizione degli oneri è una necessità esistenziale per lo Stato di Israele e per la sua società, e non può essere raggiunta senza mettere a punto un progetto di legge sull’uguaglianza che si applichi a tutti» (trad. dell’autore).
Il 28 marzo il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha chiesto alla Corte (senza peraltro ottenerla) una proroga di 30 giorni per raggiungere un accordo all’interno della maggioranza. Nello stesso giorno, nel suo parere ufficiale presentato alla Corte, la Procuratrice Generale Gali Baharav-Miara ha rilevato l’impossibilità per il Governo di rinviare ulteriormente l’arruolamento militare degli studenti ultraortodossi delle scuole rabbiniche a partire dal 1° aprile. Nel parere della Procuratrice si legge che il Governo non è riuscito a proporre un piano realistico per regolamentare l’attuale sistema ritenuto discriminatorio dalla Corte, e, con la scadenza fissata a mezzanotte di domenica 31 (la Corte Suprema aveva dato al Governo tempo fino al 1° aprile per presentare un nuovo piano e fino al 30 giugno per approvarlo), la Procuratrice afferma che non esiste alcuna alternativa possibile alla coscrizione militare per i cittadini ultraortodossi.
Baharav-Miara ha anche dichiarato all’Alta Corte che, di conseguenza, è venuta a mancare qualsiasi base giuridica per mantenere i sussidi statali agli studenti delle scuole rabbiniche, poiché tali fondi sono basati sul quadro delle esenzioni dal servizio militare degli studenti stessi. Conseguentemente, con un intervento molto contestato, e alla luce della mancanza formale di un quadro giuridico relativo all’esenzione militare dei cittadini ultraortodossi, l’Alta Corte di Giustizia ha emesso il 28 marzo un’ordinanza provvisoria, impedendo ufficialmente al Governo di continuare l’erogazione dei sussidi mensili degli studenti ultraortodossi delle yeshivot dopo il 1° aprile (qualora non abbiano ottenuto formalmente una esenzione dal servizio al 1° luglio 2023).
Secondo le prime stime del Ministero della Difesa, la sentenza riguarderà circa un terzo dei 180.000 studenti rabbinici che ricevono sussidi dal Governo per lo studio a tempo pieno, e non è da escludere che, vista l’importanza di tali sussidi per i partiti ultraortodossi, i pagamenti vengano temporaneamente “coperti” dai fondi discrezionali della coalizione di maggioranza. Aryeh Deri, discusso leader del partito ultraortodosso Shas e figura centrale nel dibattito costituzionale sulla ragionevolezza, ha definito la decisione del Corte «una prepotenza senza precedenti nei confronti degli studenti di Torah nello Stato ebraico». L’ Alta Corte e la Procuratrice Generale hanno dato un mese di tempo ai Ministri della Difesa e dell’Educazione per comunicare ufficialmente le misure da adottare per arruolare la comunità haredì.
Dal 1° aprile 2024 dunque, dopo 75 anni dalla sua formalizzazione, il principio del Torato Umanuto, non ha più una base normativa all’interno dell’ordinamento israeliano. Se da un lato è realistico pensare che il meccanismo correttivo richiederà molto tempo prima di una funzionale messa a punto – alcuni costituzionalisti parlano addirittura di una decina di anni per sviluppare un sistema organico di coscrizione per le suddette comunità mentre altri ipotizzano un sistema che si ispiri al Selective Service System statunitense – il dibattito relativo alla Haredì Exemption Law è piuttosto da intendersi, come un nuovo capitolo, meno conosciuto ma non meno significativo, all’interno dello scontro interno all’ordinamento tra democrazia costituzionale e democrazia elettorale. Si tratta, invero, di due diverse concezioni differenti della democrazia, l’una riconducibile ad un quadro di limiti giuridici costituzionali retti dal principio di rule of law garantito dalla giurisdizione, l’altra fondata sull’idea che la legittimazione elettorale garantisca piena discrezionalità politica nell’esercizio della funzione di governo. Immediatamente dopo le vicende del Reasonableness Bill, in cui la deriva “elettorale” dell’ordinamento israeliano è apparsa oramai evidente, e in cui, il noto (e fondamentale) intervento della Corte Suprema non è stato sicuramente esente da traumi, il caso in analisi mostra in modo chiaro le crepe ormai preoccupanti per le fondamenta dell’ordinamento. La vocazione “elettorale” dell’attuale maggioranza, che si è tradotta nei mesi passati nella pericolosa proposta di riforma del ramo giudiziario, e che ora cerca di venire meno ai numerosi pronunciamenti contro le esenzioni militari (rifiutando – più o meno apertamente – il principio del controllo giurisdizionale di legittimità costituzionale), è ormai in aperto contrasto con la vocazione “costituzionale” rappresentata dalla Corte e dal suo fondamentale lavoro non-maggioritario. Resta tuttavia da chiedersi, in un quadro generale di progressivo deterioramento delle istituzioni democratiche, quanto ancora a lungo la Corte potrà esercitare organicamente la sua funzione di argine e garanzia senza un complessivo ribilanciamento dei poteri e la messa a punto di correttivi generali (a partire dal sistema elettorale) che rendano l’ordinamento meno permeabile a pericolose derive populistiche e illiberali.
Va chiaramente detto, peraltro, che se la sentenza della Corte relativamente al servizio militare degli haredim e ai relativi sussidi, si inscrive nel lacerante dibattito costituzionale in corso, non è tuttavia riducibile interamente a questo perimetro e non si esaurisce completamente in esso. Il tema ha infatti una particolare valenza religiosa che non appartiene alla questione pur fondamentale del Reasonableness Bill, e che può comportare implicazioni di profonda e per ora non prevedibile portata culturale e politica.