Da giudice (nazionale) a Giudice(eurounitario). A cuore aperto dopo il caso Melloni*.

*Questa lettera nasce da un intenso scambio di idee con Antonio Ruggeri che mi ha dato il privilegio di mettermi a parte delle Sue riflessioni.

Cara Corte di Giustizia,

sento il bisogno di scriverti per manifestarti la mia vicinanza e riconoscenza dopo che, in questi giorni, molto ha fatto discutere la tua sentenza nel caso “Melloni”.

Ci si aspettava un balzo d’orgoglio da parte tua, dopo le conclusioni dell’Avvocato Generale Bot di qualche mese fa, che non vaticinavano nulla di buono e, anzi, lasciavano presagire una posizione rigida  sull’interpretazione dell’art.53 della Carta di Nizza-Strasburgo.

Ed invece, il punto 60 della tua sentenza non ha soddisfatto tanti e tra essi soprattutto chi, autorevolmente, da anni si è fatto paladino di una sempre più marcata ricerca del dialogo aperto, alla pari, fra Carte e Corti, tutto spostato ed orientato sui diritti fondamentali, sulla loro protezione massima e, in definitiva, sul primato non di un sistema sull’altro, ma dell’uomo e della sua dignità. E’ per questo che la prospettiva, esplicitata nel famigerato punto 60, di un “primato” del diritto UE sui diritti “altri” non UE- e, in definitiva, sulle protezioni che a livello dei paesi membri  le Costituzioni possono offrire- è sembrata come una sorta di tradimento, un salto all’indietro.

 

Questo punto 60 vale la pena di riportarlo nelle tre lingue fra le più conosciute nel mondo occidentale:

 

È vero che l’articolo 53 della Carta conferma che, quando un atto di diritto dell’Unione richiede misure nazionali di attuazione, resta consentito alle autorità e ai giudici nazionali applicare gli standard nazionali di tutela dei diritti fondamentali, a patto che tale applicazione non comprometta il livello di tutela previsto dalla Carta, come interpretata dalla Corte, né il primato, l’unità e l’effettività del diritto dell’Unione.

 

Certes, l’article 53 de la Charte confirme que, lorsqu’un acte du droit de l’Union appelle des mesures nationales de mise en œuvre, il reste loisible aux autorités et aux juridictions nationales d’appliquer des standards nationaux de protection des droits fondamentaux, pourvu que cette application ne compromette pas le niveau de protection prévu par la Charte, telle qu’interprétée par la Cour, ni la primauté, l’unité et l’effectivité du droit de l’Union.

It is true that Article 53 of the Charter confirms that, where an EU legal act calls for national implementing measures, national authorities and courts remain free to apply national standards of protection of fundamental rights, provided that the level of protection provided for by the Charter, as interpreted by the Court, and the primacy, unity and effectiveness of EU law are not thereby compromised.

La lettura che si è data di questo punto appare tutta inverata dalla vicinanza che salta agli occhi fra la Carta (di Nizza-Strasburgo) ed il termine primato. Da tale vicinanza si è quindi inteso, per un verso, che tu abbia irrigidito gli ambiti di tutela interni, questi potendosi sviluppare solo se “compatibili” con lo standard previsto dalla Carta dei diritti fondamentali e, per altro verso, che la logica del primato abbia chiuso le porte al dialogo, negando il possibile bilanciamento fra valori UE e valori costituzionali, in definitiva operando una sorta di taxatio di una norma di struttura qual è l’art.4.2 del Trattato di Lisbona alla quale tu non hai dato alcun peso, né implicito né, tanto meno, esplicito.

La mia opinione, quella di uno dei tanti, tantissimi“giudici comuni di diritto comunitario”, non è esattamente questa per diversi ordini di ragioni che provo qui ad enumerare sinteticamente:a) non mi sembra vero che tu non abbia compiuto alcun bilanciamento fra valori; b) non mi sembra vero che tu ti sia chiusa nel primato del diritto UE; c) non mi sembra vero che tu abbia negato il dialogo, anzi. Ed in più, ultimo ma non per ultimo, non mi sembra,nemmeno,che sia stato adeguatamente sottolineato il contesto nel quale questo punto 60 è nato, la vicenda che lo ha originato, il quadro normativo che ne costituiva il sostrato.

Già -partendo da tale ultimo punto- il caso, la vicenda.

Poco si è detto sul caso del Signor Melloni. E poco o nulla qui si dirà se non…che tu hai abilmente evitato di lasciarti attirare nella trappola dei diritti fondamentali adottando, invece,  un “verdetto giusto, fondamentalmente giusto”, come pure lo studioso ai miei occhi più appassionato a tali questioni non ha potuto fare a meno di riconoscere.

A me piace rimanere con i piedi piantati bene in terra.

E da questa posizione nutro sentimenti di gratitudine per la soluzione che hai adottato nel caso Melloni.

E’ vero, la sentenza Melloni, come anche le conclusioni dell’Avvocato Generale Bot, “sembrano” propendere per una visione piramidale dei diritti fondamentali che vede “in testa” quelli sanciti dalla Carta  dei diritti fondamentali ed in coda quelli sanciti a livello interno, posti in fondo alla locomotiva, addirittura dopo i diritti “non fondamentali” di matrice eurounitaria.  Il tutto secondo una lettura dell’art.53 che eliderebbe l’apertura a livelli più elevati di tutela ove gli stessi fossero distonici rispetto a a quelli UE.

Ma così, a ben considerare, non pare essere stato. Anzitutto, sul piano letterale, il punto 60 potrebbe prestarsi ad un’interpretazione diversa da quella sopra ricordata, se solo si consideri che tu altro non hai detto se non che gli standard nazionali non possono compromettere quelli della (tua…) Carta dei diritti fondamentali. Il che potrebbe significare che quegli standard possono di certo aumentare i livelli di protezione offerti dalla Carta. Quanto poi alla parte finale del punto 60 ed al riferimento al primato, all’unità ed effettività del diritto UE, sembra che il peso da attribuire a tale espressione non va enfatizzato. Da esso potrebbe trarsi o una formula di stile o, comunque, una valvola di sicurezza che la Corte ha voluto tenere in piedi. Ma se così è davvero stato, non mi sento, cara Corte, di biasimarti.

In definitiva, ti sei comportata come si comportano le Corti supreme nazionali quando adottano dei “controlimiti” all’imperante capacità del diritto UE di condizionare i territori nazionali  che, salvo qualche eccezione, rimangono tali, minacce, presìdi posti a garanzia di un ordine.

Certo, si può discutere sul fatto che questi controlimiti volta a volta espressi ostacolano il dialogo ovvero lo rendono più franco ed aperto. Non so. Ma è certo che la complessiva lettura della tua sentenza quei timori e quelle preoccupazioni se le lascia alle spalle volando, a mio sommesso avviso, abbastanza alto, soprattutto quando valorizza la capacità pervasiva ed unificante della CEDU, quando richiama il ruolo del consenso offerto dagli Stati e quando, in definitiva, mette avanti a sé una tavola di valori e principi ampia, ben più ampia del diritto UE e della Carta e, poi, decide.

Ciò fa “nel contraddittorio” proprio del rinvio pregiudiziale -che è contraddittorio statutariamente aperto- alla presenza di un numero di Stati quantitativamente e qualitativamente pesante.

Ed è per questo che, cara Corte, ti sono grato. Perché hai dato, ancora una volta,  dimostrazione del valore del rinvio pregiudiziale e di  quanto tu riesca ad essere vicina a noi, piccoli giudici comuni, sparsi in un territorio enorme.

Sono ben presenti i principi che attraverso i tuoi leading cases hai scolpito, attraverso lo strumento del rinvio pregiudiziale nel sistema di tutela dei diritti e sarebbe certo miope offrire del rinvio pregiudiziale una lettura che ne limita il peso e la portata al “caso” – sia pur lato sensu inteso-.

Ma quel che è certo –recte, che a me pare certo – è che il rinvio doveva servire a far chiarezza sul caso che una Corte Costituzionale di un paese UE ti aveva demandato:non altro. E proprio quel caso traeva origine e concerneva una questione che metteva in discussione le ragioni stesse dello stare insieme tra Paesi che, pur avvinti dalla bandiera blu  a stelle,  stentano a dialogare e a condividere strategie, orizzonti, prospettive.

 

L’estrema rilevanza della questione sottoposta alla Corte, confermata dall’intervento nel giudizio  di  9 Stati membri e dello stesso Consiglio UE si spiegava, del resto, essendo in discussione  uno strumento – il MAE- che rappresenta l’architrave dei rapporti –presenti e futuri- di cooperazione giudiziaria fra gli Stati aderenti in materia penale.

Ecco perchè a me è parso che vada emarginata la tendenza a “leggere” la sentenza in maniera disarticolata e, in definitiva, a focalizzare l’attenzione sull’esame della terza questione pregiudiziale sollevata dalla Corte di Giustizia e del fatidico punto 60 dovendosi, piuttosto, suggerire una lettura composita dell’intera trama argomentativa da te espressa.

Se si segue questa prospettiva, l’aggancio alla CEDU ed alla portata che la Convenzione offre ai diritti dell’imputato realizza un sistema armonizzato di tutela che, nello specifico campo da te esaminato, non pare giocare al ribasso ma sembra, invece, tutto rivolto a garantire una soluzione capace di non sfilacciare i già esili elementi di comunanza esistenti all’interno dei Paesi dell’UE e dei cittadini che vi risiedono.

Quando tu richiami, poi, la fiducia fra i Paesi membri raggiunta con il difficile equilibrio espresso dagli strumenti normativi approvati a livello comunitario, hai giustamente colto quanto la disciplina posta al tuo cospetto toccasse la vita stessa dell’Unione  ed il suo fondamento, una sorta di principio informatore che non poteva essere, in quel caso,  compromesso dai singoli Stati.

Quell’equilibrio, tu dici, trova il suo standard di tutela nella CEDU. Così dicendo hai  dimostrato quanto sia poco persuasiva la prospettiva di chi in quella sentenza vi legge una prospettiva “egoista” e trova argomenti per giustificare i controlimiti interni.

Certo,tu richiami il principio del primato, ma ad esso offri una copertura nuova e diversa, appunto (ed anche) rappresentata dalla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo.

Il riconoscimento del principio del più elevato livello di tutela che, comunque, non sembra affatto escluso dall’art.53 della Carta dei diritti fondamentali al di fuori della disciplina specificamente da te esaminata – come anche dell’art.53 della CEDU-  non mi pare impedisca, come avviene per gran parte dei valori fondamentali inseriti nella Carta, una sua modulazione – o, se si vuole, un bilanciamento- rispetto ad altre posizioni fondamentali non meno rilevanti.

Il che significa – se proprio si vuole sistematizzare la tua decisione- che un conto e’ ammettere e riconoscere, in forza dell’art.53 della Carta, una tutela pozione nell’ordinamento interno rispetto a quella garantita dalla Carta, altro e’ legittimare che una protezione costituzionale nazionale più incisiva si scontri con le esigenze sovrane di un altro Stato in materia penale, diverse da quelle mediate nei testi dell’Unione, sicuramente ancorati, nel caso di specie,  alla protezione garantita dalla CEDU, per come hai dimostrato nella sentenza Melloni.

Ma queste ultime riflessioni si collocano, in realtà in un divenire più che in essere.

E’ certo, infatti, che il tuo procedere nei casi e per i casi ti offrirà altre occasioni per ritornare sul tema.

Quel che è certo è che nel caso Melloni era in gioco, anche, un valore fondamentale qual è il giudicato formatosi in Italia nel rispetto delle regole- almeno così tu hai–della Corte di Strasburgo. Ed allora, la vicenda trascendeva dal diritto del singolo imputato e imponeva una considerazione di tutti i valori in gioco.

Questo mi fa dire e pensare che, in realtà, tu abbia in effetti compiuto il bilanciamento fra le tavole dei valori e l’abbia compiuto adeguatamente, ponderando tutti i principi che dovevano comporsi, non scegliendo pregiudizialmente il primato del diritto UE.

Ciò, peraltro, consente nettamente di individuare i “confini” della decisione che pure devono essere ben delineati in relazione allo specifico tema trattato. Confini che, pertanto, fuori dal caso esaminato non consentono affatto di escludere, in termini generali, la possibilità che gli Stati offrano una tutela maggiore di quella garantita dalla Carta dei diritti fondamentali o dalla stessa CEDU.

Ed allora si potrà dire che questo tuo “arresto”- scusami per questo termine, ma è davvero difficile resistere all’uso di questo termine nel caso che hai deciso- non favorisce la ricostruzione del sistema, né si pone nel solco di quelle pronunzie che fissano le regole in modo chiaro.

Si è detto, autorevolmente, nella nostra dottrina che  l’invito a ricostruire sistematicamente l’ordinamento dopo i tuoi interventi sia un esercizio inutile, tu in realtà giocando, sul piano dei rapporti di forza fra il diritto europeo sovraordinato e i diritti nazionali, con occhio rivolto essenzialmente al caso pratico.

Tale idea mi convince se la si affianca all’ulteriore svolgimento di quel pensiero, che pone in discussione la possibilità stessa di prevedere e di razionalizzare futuri orientamenti di sistema.

Sarà, semmai, la lettura di sistema dei tuoi arresti a consentire la ricostruzione “del sistema”.

E saranno, ancora una volta, i casi, a condizionare, volta a volta, la tua decisione.

In conclusione, continuo a credere  che la tua sentenza non avvalora né le tesi di un gioco al ribasso della tutela offerta dalla Corte e dalla Carta dei diritti fondamentali né, ancora, l’idea che tu abbia inteso definitivamente abbandonare la possibilità di fare applicazione delle tecniche di bilanciamento “aperte” fra diritti fondamentali come già hai fatto, da par tuo, in “Omega”, quando hai discusso con passione della dignità umana, sganciandola da ogni confine nazionale e  sovranazionale. Ed è per tale motivo che, sono certo, non mancherai di tenere a mente quella norma di struttura  scolpita nell’art.4.2 del Trattato UE attorno alla quale, in definitiva, si gioca il futuro dell’Europa e dei diritti dei suoi cittadini.

Dunque, alla prossima puntata cara Corte e, intanto, grazie!