Da Babele a Strasburgo. Leggendo “Diritti fondamentali europei”, a cura di Alberto Vespaziani

Negli ultimi anni, gli studiosi di Diritto pubblico comparato si sono sempre più interessati, oltre che alle tradizionali questioni scientifiche riconducibili alla “forma di Stato” ed alla “forma di governo”, anche all’analisi della protezione e del riconoscimento dei Diritti fondamentali da parte delle Corti europee, sia nazionali che sovranazionali. Il risultato di questo ampliamento dell’orizzonte della ricerca scientifica ha determinato una frattura evidente nella metodologia d’insegnamento del Diritto pubblico comparato, soprattutto per quanto concerne la didattica, sempre più incentrata sullo studio della giurisprudenza e degli argomenti utilizzati dalle Corti europee nelle loro decisioni.


Non è un caso, allora, se il manuale che qui si recensisce – “Diritti fondamentali europei. Casi e problemi di diritto costituzionale comparato”, Giappichelli, Torino, 2009, pp. 1- 201, a cura di Alberto Vespaziani -, sia completamente incentrato proprio sui percorsi argomentativi che le varie Corti hanno impiegato nella loro giurisprudenza, al fine di riconoscere o di rafforzare ulteriormente i Diritti fondamentali nello spazio pubblico europeo. L’opera si divide in quattro capitoli: nel primo, a firma di Miguel Azpitarte, si traccia un quadro generale ed introduttivo del ruolo svolto dai Diritti fondamentali in area europea, a partire proprio dalla definizione del concetto di “ordine pubblico europeo” elaborato dalla Corte di Strasburgo. Il secondo ed il quarto capitolo, invece, sono stati scritti dal curatore del volume, il quale si sofferma rispettivamente sulle tecniche di bilanciamento impiegate dalla Corte di Giustizia nelle sue sentenze più famose in tema di tutela dei Diritti fondamentali (in particolare Hauer, Tanja Kreil, Schmidberger, Omega e Kadi), e sulla questione dei diritti di libertà religiosa e neutralità all’interno dello spazio pubblico europeo (nello specifico, in tema di esposizione del crocifisso e di divieto di indossare il velo). Il terzo capitolo, infine, a firma di Giorgio Repetto, affronta il problema del riconoscimento dei diritti all’identità sessuale e del ruolo svolto – nelle argomentazioni delle Corti europee – dalla morale pubblica, con una particolare attenzione all’evoluzione giurisprudenziale inglese sul punto. Il manuale, insomma, è un vero e proprio casebook, in cui si alternano a riflessioni più generali dei singoli autori, lunghi estratti giurisprudenziali in lingua italiana: il lavoro di traduzione, infatti, è stato svolto personalmente dagli autori anche al fine “… di presentare i problemi posti dalla traduzione dei discorsi differenziati dei singoli diritti fondamentali” (p. VIII), con la consapevolezza che “… noi europei abbiamo più risposte giuridiche di quelle che vorremmo desiderare” (ivi). In questa sede, inoltre, vogliamo evidenziare una particolarità di questo manuale, che riteniamo assolutamente innovativa e che riguarda, nello specifico, la metodologia di insegnamento del Diritto pubblico comparato: al termine di ogni paragrafo, infatti, gli autori pongono al “lettore – studente” una serie di interrogativi sulle sentenze analizzate, interrogativi che vogliono essere da stimolo al dibattito con il docente, durante il corso delle lezioni frontali e che, quindi, presuppongono un necessario approccio dialogico ai problemi della comparazione. Questo approccio dialogico, del resto, si dimostra coerente anche rispetto alla concezione sottesa allo studio della materia da parte degli autori e che lo stesso curatore dell’opera – parafrasando il Cover di “Nomos e Narrazione” -, non esita a definire di tipo paideico. Scrive, infatti, Alberto Vespaziani nella prefazione al manuale: “Secondo la visione paideica il diritto è […] creato dai mondi sociali ed è costituito da un corpo comune di precetti e narrative. Solo il nomos paideico indica una via comune e personale di essere educati a questo corpo ed un senso di marcia e crescita che si forma mentre l’individuo e la comunità elaborano le implicazioni del loro diritto” (p. VII). In questo senso, si comprende anche il motivo per cui gli autori hanno ritenuto opportuno dedicare così tanto spazio alle argomentazioni delle Corti, piuttosto che alle specifiche decisioni prese dai giudici. L’impostazione casistica del manuale, infatti, riflette il convincimento che “… il diritto si intenda meglio analizzando le storie concrete confluite nella giurisprudenza, e che nello studio delle decisioni delle corti sia importante valutare i percorsi del ragionamento giuridico seguiti, quelli tralasciati e quelli sottintesi” (ivi). La giurisprudenza, quindi, deve essere intesa come il luogo ideale per valutare la pluralità delle scelte e degli orientamenti, non solo delle Corti, ma anche della società europea: pertanto, ci ricorda il curatore dell’opera, se la traduzione perfetta dei Diritti e delle giurisprudenze è impossibile, tuttavia l’esigenza di una possibile traduzione di questi Diritti e di queste giurisprudenze è inevitabile. “Dopo Babele – così Vespaziani conclude la sua prefazione al volume –, viviamo nel tempo delle molte costituzioni, e tuttavia lo scenario post – babelico non suggerisce incoerenza, ma una molteplicità di sistemi internamente coerenti ed un’esigenza di intelligibilità tra comunità” (p. VIII).

 

Bruguel

Strasburgo