Comparare i diritti fondamentali in Europa … Ovvero del rischio di prendere un granchio
Con una decisione del 20 gennaio 2009, passata sotto silenzio in dottrina, la III sezione della Corte di Strasburgo è ritornata sul tema della protezione equivalente dei Diritti fondamentali tra ordinamento comunitario ed ordinamento convenzionale, precisando una serie di rilievi precedentemente formulati nella sentenza Bosphorus: stiamo parlando del caso Cooperatieve Producentenorganisatue van de Nederlandse Kokkelvisserij c. Olanda (Application n. 13645/05).
Oggetto del giudizio era un ricorso di una Società olandese (d’ora in avanti Cooperatieve) che svolgeva la sua attività commerciale di pesca dei molluschi nel mare di Wadden, una zona del Mare del Nord sottoposta a vincoli di tutela ambientale. La Cooperatieve aveva ottenuto una licenza di pesca per un periodo di tempo limitato ma la Wadden Sea Society, una ONG avente come scopo la tutela della fauna marina nel mare di Wadden, si era opposta a tale licenza perché, a suo avviso, l’attività della Cooperatieve avrebbe provocato rischi per la sopravvivenza delle anatre selvatiche di stanza nella zona.
Il Consiglio di Stato olandese aveva sollevato una pregiudiziale comunitaria al fine di accertare se la licenza concessa dal Ministro alla Cooperatieve fosse in contrasto con l’articolo 6 della direttiva 92/43/CEE del Consiglio, relativa alla conservazione degli habitat naturali, della flora e della fauna selvatiche.
Il 18 novembre 2003, la Corte di Giustizia europea aveva tenuto un’udienza pubblica, mentre il successivo 29 gennaio 2004 l’Avvocato generale aveva depositato le proprie conclusioni sul caso, conclusioni con cui dichiarava doversi revocare la licenza alla Cooperatieve, perché alla luce dell’articolo 6, terzo comma della direttiva n. 43/92 ed in assenza di una prova scientifica contraria, l’attività di pesca della Cooperatieve avrebbe potuto nuocere in maniera “significativa” alla fauna protetta del Mare di Wadden. Le conclusioni dell’Avvocato generale venivano fatte proprie dalla Corte di Giustizia e, a sua volta, dal Consiglio di Stato olandese che, pertanto, revocava la licenza di pesca.
La Cooperatieve allora adiva i Giudici di Strasburgo lamentando una violazione dell’articolo 6, primo comma della CEDU, non avendo potuto presentare alcun tipo di osservazione in risposta alle conclusioni dell’Avvocato generale. Secondo la Cooperatieve, infatti, il diritto ad un giusto processo davanti alla Corte di Giustizia era stato “manifestamente carente” e comunque al di sotto dello standard minimo garantito dalla Convenzione.
La Corte di Strasburgo, nell’affrontare il caso, faceva subito rinvio alla sentenza Bosphorus, specificando però come in questa fattispecie la questione centrale non fosse tanto l’azione intrapresa da uno Stato membro della Comunità europea, al fine di dare attuazione ad un regolamento comunitario, quanto le garanzie che la stessa Comunità avrebbe dovuto offrire, in particolare, nel giudizio davanti alla Corte di Lussemburgo avente ad oggetto una questione pregiudiziale.
Riprendendo il principio di diritto affermato nella sentenza Bosphorus, la Corte EDU ribadiva che, anche in questo caso, era possibile riscontrare una protezione equivalente “presunta” tra ordinamento comunitario ed ordinamento convenzionale, per quanto riguarda la tutela dei Diritti fondamentali.
La Corte, inoltre, ribadiva che tale protezione non doveva essere “identica” a quella prevista dall’articolo 6 della Convenzione, poiché bastava valutare se, nella fattispecie concreta, il procedimento dinanzi alla Corte di Giustizia era stato accompagnato da una serie di garanzie processuali idonee a garantire una protezione equivalente dei diritti della ricorrente.
Nel caso di specie, la Corte ha rilevato che la Cooperatieve non aveva presentato alcuna richiesta di riapertura del dibattimento che si riferisse a specifici profili in fatto o in diritto tali da far apparire utile, o comunque necessaria, la riapertura della suddetta fase orale.
I giudici di Strasburgo rilevavano inoltre che, in ogni caso, il Consiglio di Stato avrebbe potuto presentare una nuova domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di Lussemburgo, se avesse rilevato la necessità di approfondire ulteriori profili in fatto o in diritto, prima di prendere una decisione.
Infine, la stessa Cooperatieve avrebbe potuto comunque produrre, davanti al Consiglio di Stato, una documentazione idonea a dimostrare che la sua attività di pesca non avrebbe arrecato alcun tipo di pregiudizio all’habitat marino del mare del Wadden, producendo così quelle prove la cui assenza era stata rilevata proprio dall’Avvocato generale nelle sue osservazioni finali al caso.
Alla luce di queste considerazioni, pertanto, la Corte di Strasburgo ha dichiarato inammissibile il ricorso della Cooperatieve, poiché la ricorrente non aveva dimostrato che la protezione del suo diritto ad un equo processo, accordata ad essa dalla CEDU, era stata “manifestamente carente” nel corso del procedimento davanti alla Corte di Giustizia.
Questa decisione dimostra che i Giudici di Strasburgo hanno ulteriormente sviluppato lo schema di comparabilità elaborato nella sentenza Bosphorus: nel caso Cooperatieve, infatti, per la prima volta la Corte EDU si è avvalsa del suddetto schema di valutazione per svolgere uno scrutinio concreto della protezione equivalente dei diritti fondamentali, tra ordinamento comunitario ed ordinamento convenzionale.
Non è da escludersi che il ricorso ad uno scrutinio di equivalenza più rigoroso da parte dei giudici di Strasburgo, sia stato dettato anche dai problemi particolari che sono emersi nel caso de quo: la Cooperatieve, del resto, pur lamentando la violazione di un diritto sostanziale (la parità del contraddittorio tra le parti), si doleva del fatto che non erano stati attivati, da parte della Corte di Lussemburgo, alcuni rimedi processuali specifici, previsti dalle regole di procedura della medesima Corte.
Per quanto riguarda invece il principio ratione personae, nonostante i Giudici di Strasburgo abbiano ribadito che la Comunità Europea non è Parte contraente della Convenzione, tuttavia hanno svolto un giudizio di equivalenza tra il suddetto ordinamento e quello del Consiglio d’Europa in maniera diretta, senza che fosse rilevante alcun atto normativo statale di attuazione dell’ordinamento comunitario da parte dell’Olanda.
Proprio per questo motivo, tuttavia, la sentenza in oggetto suscita delle perplessità: da un lato, infatti, la Corte di Strasburgo era stata sollecitata dalla Cooperatieve, evidentemente alla luce di quanto la stessa Corte aveva statuito nella sentenza Matthews, a dichiarare sia l’Olanda, sia la Comunità Europea responsabili della violazione dell’articolo 6, primo comma della CEDU; dall’altro però i giudici di Strasburgo, pur dichiarando inammissibile il ricorso, hanno impiegato il criterio della protezione equivalente in termini di comparabilità concreta.
Pertanto, la conclusione a cui ritengo di poter giungere è che l’applicazione del giudizio di “comparabilità” da parte della Corte EDU a questa fattispecie ha consentito ai giudici di Strasburgo di saldare, sotto il profilo argomentativo, i problemi legati alla quaestio facti con quelli relativi all’interpretazione del testo stesso della Convenzione, in moda tale da leggere le questioni di diritto sostanziale in continuità rispetto ai profili processuali rilevanti nel caso concreto.
Con la sentenza Cooperatieve troverebbe allora conferma quanto affermato da Sergio Panunzio nel suo famoso saggio postumo (Cfr. S. P. Panunzio, I diritti fondamentali e le Corti in Europa, in ID. (a cura di), I diritti fondamentali e le Corti in Europa, Napoli, 2005, p. 68) e cioè che: “… mentre nello schema della «protezione equivalente», applicato nei rapporti diritto nazionale/diritto comunitario, basta che l’equivalenza sia riconoscibile «in generale», così non può essere invece nei rapporti CEDU/diritto comunitario: perché la CEDU esige un rispetto «puntuale ed integrale» del livello minimo di protezione da essa garantito, che deve essere verificato caso per caso dalla Corte di Strasburgo”.