Cittadinanza europea e Immigrazione: implicazioni e nuovi diritti

Secondo l’articolo 9 TUE, così come riformulato dal Trattato di Lisbona «è cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell’Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce». Queste poche parole, pregne (in realtà) di numerosi significati intrinsechi, hanno dato nuova linfa ad un istituto che trova le sue radici più profonde nel Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992. Oggi, i diritti derivanti dalla Cittadinanza dell’Unione hanno raggiunto un grado di fruibilità e concretezza straordinaria, che superano di gran lunga la libera circolazione (si pensi, tra i tanti, alla protezione diplomatica o al diritto di elettorato attivo e passivo).

Eppure, forse pochi sanno che le attenzioni della Corte di Giustizia dell’Unione europea (d’ora in poi CGUE) rispetto ai temi della Cittadinanza riguardano solo in minima parte i singoli cittadini degli Stati membri. In effetti, i richiedenti più assidui e, quindi, soggetti delle ultime pronunce su rinvio pregiudiziale, sono cittadini stranieri provenienti da Stati terzi. Il contesto multiculturale (e multi-ordinamentale) di cui si compone lo spazio europeo, ha dato adito a nuove prassi giuridiche e a comportamenti che toccano la sfera più intima della sovranità statale: l’ingresso e la permanenza nel territorio nazionale. Cercheremo, quindi, di rispondere, in primis, a questo importante quesito: che relazione intercorre tra la Cittadinanza europea e il controverso settore dell’immigrazione?


Andando per ordine cronologico, la prima sentenza in esame è quella resa nel caso Zambrano dell’8 marzo 2011, la quale ha sancito che “la cittadinanza dell’Unione impone che uno Stato membro autorizzi i cittadini di uno Stato terzo, genitori di un bambino in possesso della cittadinanza di detto Stato, a soggiornare e lavorare nella misura in cui un diniego priverebbe il figlio del godimento dei diritti connessi allo status di cittadino dell’Unione”. Evitando considerazioni sul caso di specie, ci soffermiamo a sottolineare le innumerevoli ripercussioni che questa pronuncia ha generato nelle politiche migratorie degli Stati membri. Un caso certamente rilevante è quello dell’Irlanda, dove più di 850 istanze di permesso di soggiorno (70 ancora in esame) sono state accordate a cittadini stranieri in virtù della nuova prassi in materia. Si tratta di una rivoluzione, specie se si considera la tutela dei diritti del minore ma soprattutto, se mi è consentito, anche di una rinnovata visione includente del concetto di Cittadinanza, alla stregua di altri ordinamenti europei (si pensi all’integrazione accordata in Svezia o al dibattito in materia di diritti politici dopo la riforma della Legge Fondamentale ungherese).

In realtà, quasi a voler precisare le sue posizioni, la CGUE è di nuovo intervenuta sulla «clausola Zambrano» (sent. C-256/11) ed ha ribadito il criterio dell’effettivo godimento dei diritti di Cittadinanza rispetto all’esame delle istanze di soggiorno. Semplificando, la Corte si riferisce a «ipotesi contrassegnate dalla circostanza in cui il cittadino dell’Unione si trovi obbligato, di fatto, ad abbandonare il territorio non solo dello Stato membro di cui è cittadino, ma anche dell’Unione considerata nel suo complesso». È, quindi, necessario che sussista una manifestata impossibilità di esercitare i propri diritti (nel caso di specie, quelli di un cittadino minore di età) perché si possa giovare del beneficio di permanenza.

Spostandoci in un altro versante, quello relativo ai diritti sociali, vorrei porre l’accento su una sentenza che potrebbe far nascere altri interrogativi. Trattasi dell’ormai noto caso Stewart c. Regno Unito, riguardante il diniego all’accesso ad una prestazione per inabilità temporanea per giovani disabili, in mancanza del requisito di soggiorno pregresso nel territorio del Regno Unito. L’ennesimo caso di cittadini contro le proprie autorità, la reiterata violazione dei principi e delle libertà fondamentali da parte di uno Stato membro. Nella citata sentenza si ribadisce che i principi della cittadinanza europea e le libertà fondamentali a essa connesse devono tutelare anche il cittadino nazionale nei suoi rapporti con lo Stato d’appartenenza, ogni qualvolta ci si trovi in presenza di una normativa statale che svantaggia i propri cittadini per il solo fatto che essi non hanno esercitato la loro libertà di circolazione nell’Ue. Il soggiorno pregresso appare quindi quantomai discriminatorio e sostituibile con altre misure  considerate più proporzionali.

Pur riscontrando che l’oggetto della pronuncia in esame si riferisce a cittadini UE, è opportuno considerare, anche a grandi linee, il contesto normativo italiano. La legge n. 133/2008 ha introdotto nel nostro Paese un requisito di anzianità di residenza decennale sul territorio, ai fini dell’accesso all’assegno sociale per coloro che si trovino in condizioni di particolare bisogno. In che modo, allora, questa normativa inficia l’immigrazione proveniente da Paesi terzi? La risposta viene proprio dal diritto europeo: la direttiva n. 2004/83/CE, nel considerando introduttivo n. 33 afferma che “per scongiurare soprattutto il disagio sociale, è opportuno offrire ai beneficiari dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria, senza discriminazioni nel quadro dei servizi sociali, assistenza sociale e mezzi di sostentamento adeguati”. La CGUE, inoltre, ha più volte affermato che a tutti gli individui in quanto tali sono riconosciuti i diritti inviolabili dell’uomo «che appartengono all’uomo in quanto essere libero», con la conseguenza che, nei casi concernenti l’applicazione di tali diritti, è garantita l’assoluta parità di trattamento tra cittadini e non-cittadini.

Si può concludere, perciò, che Cittadinanza europea, Diritti fondamentali e Immigrazione costituiscono, in re ipsa, un paradigma che risulta essere molto più declinabile se visto in ambito europeo. Laddove si tratti di cittadini di Paesi terzi o, ancor più, di persone meritevoli di protezione internazionale, ulteriori resistenze nella tutela rischiano di apparire quantomai anacronistiche o ingiustificabili sul piano dell’ormai consolidato costituzionalismo multilivello.