“Ci sono giudici a Gerusalemme”. La sentenza dell’Alta Corte israeliana sul reclutamento militare per i cittadini ultraortodossi

N.B. A causa della guerra in corso nessuno dei siti istituzionali israeliani è raggiungibile al di fuori del territorio dello Stato di Israele. Nel testo che segue, dunque, alcuni testi di legge citati non sono al momento consultabili.

Il 25 giugno scorso, con una sentenza storica, l’Alta Corte di Giustizia israeliana ha stabilito all’unanimità che il Governo debba arruolare gli studenti delle yeshivot (scuole rabbiniche) ultraortodosse nell’esercito, poiché non esiste più alcuna legge che permetta di continuare la pratica decennale delle esenzioni per gli appartenenti a tali comunità.
Se in questa sede si è già avuto ampiamente modo di ripercorrere l’annosa questione del reclutamento militare per i cittadini israeliani ultraortodossi, è tuttavia necessario inquadrare la sentenza ricostruendo i fatti più recenti.
La legge che autorizzava le esenzioni per i cittadini ultraortodossi (la Defense Service Law 5746-1986) è stata infatti formalmente abrogata nel giugno 2023, mentre una ulteriore proroga prevista con la Cabinet Resolution (la cosiddetta Decision 682 del 25 giugno 2023, che all’art. 3 raccomandava alle strutture amministrative dell’IDF – Israeli Defence Forces – di ignorare le disposizioni della legge sugli studenti ultraortodossi), unilateralmente decisa dall’Esecutivo, è a sua volta scaduta il 31 marzo 2024. Precisamente entro tale data, il Governo avrebbe dovuto concordare un testo per conformarsi alla sentenza n. 1887/14 della Corte del 2017, che aveva stabilito ufficialmente che le esenzioni generalizzate dal servizio militare per gli studenti ultraortodossi fossero da ritenere discriminatorie.
Il testo messo a punto dal Governo a questo proposito presentava tuttavia diversi punti decisamente critici, tanto da essere definito da molte parti (compresi alcuni dissidenti dello stesso Likud), come una legge pensata semplicemente per favorire l’evasione dal servizio militare e una minaccia alla coesione nazionale. Il 31 marzo, nel suo parere ufficiale presentato alla Corte, la Procuratrice Generale Gali Baharav-Miara ha ribadito l’impossibilità, per il Governo, di rinviare ulteriormente l’arruolamento militare degli studenti ultraortodossi delle scuole rabbiniche a partire dal 1° aprile 2024. Con il termine per la presentazione di un nuovo piano fissato dalla Corte alla mezzanotte di domenica 31 marzo, il parere della Procuratrice rilevava come non esistesse alcuna alternativa possibile alla coscrizione militare per i cittadini ultraortodossi.
Inoltre, il 28 marzo, l’Alta Corte di Giustizia aveva emesso un’ordinanza provvisoria, volta a impedire ufficialmente al Governo di continuare – oltre il termine del 1° aprile 2024 – l’erogazione dei sussidi mensili riconosciuti alle yeshivot congiuntamente alle esenzioni.
In quello che è stato interpretato come l’ennesimo braccio di ferro politico tra Esecutivo e Corte, l’11 giugno la Knesset ha approvato in prima lettura, con 63 voti favorevoli e 57 contrari (numeri che segnalano chiaramente l’evidente spaccatura sul tema e che vedono addirittura il Ministro della Difesa Gallant opporsi in aula al testo), un disegno di legge per prorogare ulteriormente le esenzioni per le comunità haredì e abbassarne l’età per il rinvio del servizio militare da 26 anni a 21.
È tuttavia da sottolineare che la sentenza del 25 giugno, oggetto di queste pagine, non affronta il disegno di legge sull’esenzione e non entra nel merito del recente voto della Knesset di cui si è detto (approvato, tra l’altro, solo in prima lettura e conseguentemente reinviato alla Commissione Affari Esteri e Difesa che preparerà il testo in vista delle successive due letture), insistendo piuttosto sulla non-competenza del Governo a decidere su un tema di esclusiva competenza del Parlamento. La dichiarata volontà dei giudici di procedere in termini esclusivamente “formali” , è visibile anche in alcuni aspetti “immediati” della sentenza. Di “sole” 42 pagine (e di qui si può leggere un estratto qui), il testo è stato redatto esclusivamente dal Presidente ad interim della Corte Suprema, il giudice Vogelman. Inoltre, diversamente dalla prassi della Corte, stavolta non sono presenti opinioni dissenzienti, opinioni individuali o commenti da parte di altri giudici, a rimarcare la compattezza dei membri della Corte su una questione ritenuta relativa allo Stato di diritto e non alla contingenza politica.
La decisione è stata votata all’unanimità da tutti i nove giudici coinvolti nel collegio giudicante, compresi due osservanti religiosi e politicamente conservatori come Noam Sohlberg e David Mintz, e Yael Wilner, conservatrice più moderata, e anch’essa osservante. Proprio in conseguenza del fatto che è stato evitato il dibattito in merito alle esenzioni, non ci sono stati disaccordi tra i giudici, e il risultato è stato il messaggio semplice e potente che anche l’Esecutivo è soggetto, come tutti i cittadini israeliani, alla legge.
Nella sua decisione, l’Alta Corte ha affermato infatti che la risoluzione governativa del giugno 2023, che rimandava ulteriormente la leva degli studenti delle scuole rabbiniche (yeshivot), aveva ecceduto l’autorità del Governo ed è quindi da considerarsi ultra vires. La Corte ha stabilito a questo riguardo che quanto disposto dell’art. 3 – astenersi radicalmente, senza alcuna riserva o discrezione, dal reclutare tutti gli studenti delle yeshivot – costituiva un’applicazione selettiva impropria e infliggeva un grave danno allo stato di diritto e al principio secondo cui tutti gli individui sono uguali di fronte alla legge (paragrafi 44 e 53 della sentenza). Questo perché la giurisprudenza israeliana, a partire dalla sentenza HC 3267/97 del 1988 noto come Caso Rubinstein, aveva posto sul tema una riserva di legge, sostenendo che una decisione drastica come l’esenzione militare per gli Haredim, che viola il principio di uguaglianza, non possa essere presa tramite decisione governativa, ma debba essere promulgata dalla Knesset. In quella sentenza, infatti, la Corte si era espressa sostenendo che la decisione circa l’esenzione “must be adopted in the framework of a national decision made by the Knesset regarding the position of the State of Israel on a controversial national-social issue”.
In mancanza di una legge al momento in vigore che garantisca la possibilità di esenzione per i cittadini ultraortodossi, i giudici della Corte Suprema hanno stabilito che “lo Stato deve provvedere al loro reclutamento, in conformità alle disposizioni di legge” (trad. dell’Autore, par. 61 della sentenza).
Quanto ai numeri, la sentenza non specifica il numero o l’ambito di reclutamento richiesto, né i giudici esprimono un parere su come la Defense Service Law dovrebbe essere applicata. La sentenza stabilisce infatti principi generali senza fornire numeri di leva o indicare quote (come invece aveva fatto la Procuratrice Generale che aveva indicato la possibilità di reclutare alla prossima tornata già 3000 ultraortodossi), lasciando intendere che questo processo possa essere graduale, purché inizi immediatamente.
La Corte ha inoltre preso atto dell’argomentazione del Governo secondo cui imporre la coscrizione ai cittadini haredì costituirebbe una fattispecie di selective enforcement qualora non richiedesse anche la coscrizione per i cittadini arabi, ma ha affermato – con il già menzionato spirito di “formalità” – che l’attuale ricorso non avesse sollevato la questione della coscrizione araba e che tale argomento non potesse venire considerato. Al contrario, la Corte si è espressa stabilendo che non si possa fare alcuna distinzione tra uno studente di una yeshiva e altri coscritti, sancendo che la violazione del principio di uguaglianza in quel contesto sarà da considerarsi, appunto, selective enforcement. Inoltre, i giudici hanno sottolineato nella sentenza che l’amministrazione militare centrale, nel formulare le convocazioni, dovrà tenere in considerazione la situazione bellica che l’IDF deve attualmente affrontare e le specifiche esigenze di sicurezza nazionali in questo particolare momento storico.
A questo proposito, la sentenza lascia poco spazio all’interpretazione: “in questa situazione, la mancata applicazione della Defense Service Law crea una grave discriminazione tra coloro che sono tenuti a prestare servizio e coloro che non sono soggetti alle procedure reclutamento…la discriminazione riguardante la cosa più preziosa, la vita stessa, è la forma più dura di discriminazione” (trad. dell’Autore, p. 41 della sentenza)
La seconda questione affrontata nel testo riguarda invece i finanziamenti ricevuti dalle scuole rabbiniche in cui studiano gli studenti in età di leva, ora tenuti ad arruolarsi. Poiché la Corte ha stabilito che la decisione del Governo del 2023 sia da ritenersi ultra vires e vada quindi considerata nulla, teoricamente i fondi ricevuti da allora sono illegittimi. Tuttavia, i giudici della Corte Suprema hanno tenuto conto del danno che verrebbe causato alle yeshivot se fossero tenuti a restituire tali fondi e hanno stabilito che la data a partire dalla quale i fondi non possono più essere trasferiti dallo Stato alle yeshivot è il 1° aprile 2024.
Le reazioni alla sentenza, come prevedibile, sono state moltissime e molto diverse. Se tutti i partiti delle opposizioni (da destra a sinistra) e le organizzazioni della società civile hanno salutato il risultato come una grande vittoria, i partiti ultraortodossi della maggioranza, Shas e UTJ, hanno promesso che continueranno la loro battaglia per le esenzioni. Il Movement for Quality Government in Israel, il cui ricorso ha portato alla sentenza dell’Alta Corte in questione, ha esultato sui social dichiarando che si tratta di una vittoria storica per lo stato di diritto e il principio di uguaglianza nell’onere del servizio militare, chiedendo al Governo di implementare immediatamente il reclutamento dei circa 63000 giovani ultraortodossi idonei al servizio. “Ci sono giudici a Gerusalemme”, ha pubblicato su X il leader di Yisrael Beytenu Avigdor Liberman, citando un detto spesso attribuito al fondatore del Likud ed ex Primo Ministro Menachem Begin.
“Non c’è mai stata una sentenza della Corte Suprema a favore dei membri della Yeshiva e nell’interesse del pubblico ultraortodosso. Non c’è un solo giudice che comprenda il valore dell’apprendimento della Torah e il suo contributo al popolo di Israele in tutte le generazioni”, è stato invece il commento di Moshe Gafni, esponente di spicco dell’UTJ.
La procuratrice Generale ha ordinato dunque al Governo di iniziare immediatamente il processo di coscrizione per 3.000 giovani haredim, cioè la quota che l’esercito aveva dichiarato di essere in grado di elaborare in questa fase preliminare. L’esercito si trova tuttavia di fronte al problema di come scegliere coloro che dovranno essere arruolati. Per accelerare il processo, l’esercito ha richiesto informazioni al National Insurance Institute in merito alla storia lavorativa dei 63000 idonei, preferendo arruolare haredim che lavorino invece di frequentare le yeshivot.
Il 21 luglio le amministrazioni militari hanno inviato la prima serie di 1.000 ordini di leva agli uomini ultraortodossi di età compresa tra 18 e 26 anni, nella prima delle tre ondate di questo tipo programmate fino a settembre. Mentre importanti rabbini haredì hanno esortato gli studenti delle yeshivot a ignorare qualsiasi comunicazione da parte dell’ IDF, l’esercito ha affermato che gli ordini sono stati inviati a individui che effettivamente si ritiene possano non disertare l’ordine. L’ IDF ha affermato che i 3.000 includono infatti uomini che hanno un lavoro, sono iscritti a istituti di istruzione superiore e sono in possesso di patente di guida: indicatori – questi ultimi – ritenuti attendibili del fatto che non siano impegnati in studi rabbinici a tempo pieno nonostante abbiano ricevuto precedenti esenzioni per studiare.
Come già detto, la sentenza avrà certamente importanti implicazioni politiche e parlamentari: i partiti ultraortodossi hanno infatti a lungo presentato l’arruolamento forzato degli studenti delle yeshivot come una linea rossa che metterebbe a repentaglio la già precaria stabilità della loro alleanza con Netanyahu, a sua volta assolutamente dipendente dal sostegno di questi partiti per mantenere la sua risicata maggioranza nella Knesset. A questo proposito, è prevedibile che Netanyahu cercherà in tutti i modi di non perdere il sostegno dei due partiti ultrareligiosi Shas e UTJ, promettendo un nuovo disegno di legge sulle esenzioni dalla leva (da presentare probabilmente dopo le festività ebraiche di settembre) in cambio del sostegno dei due partiti alla maggioranza e all’approvazione del bilancio 2025. È bene però sottolineare, in termini di valutazione politica, che qualsiasi tentativo di legiferare nuovamente su uno schema di esenzione per gli studenti haredì incontrerebbe certamente una forte resistenza pubblica, e probabilmente non avrebbe un sostegno sufficiente all’approvazione nemmeno nella attuale coalizione di maggioranza. Inoltre, una ipotetica forzatura da parte dell’Esecutivo che violasse la riserva di legge sul tema verrebbe, in base alla recente sentenza, certamente bocciato dalla Corte.
Per oltre un decennio, i leader delle comunità ultraortodosse hanno legato il loro destino politico a Netanyahu, confidando nel suo impegno a preservare lo stato sociale della loro comunità isolato dal mainstream israeliano. La minaccia della Corte a questo status quo ha avuto come effetto la decisione de partiti haredi di schierarsi a favore della proposta di riforma giudiziaria voluta da Netanyahu, poiché ciò avrebbe tra l’altro consentito alla maggioranza della Knesset di scavalcare la Corte sulla questione della leva. Ma l’asprezza della situazione attuale ha reso evidenti le enormi sfide alla sicurezza che l’IDF deve ora affrontare, e tra queste il numero degli effettivi. Con la minaccia di un ulteriore allargamento del conflitto, molti alleati tradizionali dei partiti ultraortodossi della destra politica israeliana hanno dunque iniziato a mettere in discussione la legittimità dell’esenzione di una quota significativa di potenziali combattenti.
Va comunque detto, per definire adeguatamente la portata di una questione che travalica i meri aspetti giuridici e politici, che il principio che stabilisce alcune garanzie speciali per chi “fa della Torà il suo mestiere” (Torat umanuto), ha solidissime basi nella tradizione e nel pensiero ebraico, e che la pura e semplice cancellazione di esso costituirebbe, per quella tradizione, un vulnus profondo. Non mancano dunque i rabbini e i giuristi che ritengono che sia necessaria una mediazione trasparente piuttosto che una semplice negazione di tale principio. Si tratterebbe, in questa visione, di disciplinare accettabilmente e democraticamente il tema delle esenzioni, provando a trovare – ancora una volta – una sintesi tra principi ebraici e democratici.
Nonostante, quindi, siano da prospettarsi ulteriori sviluppi sulla questione, la posizione unanime dell’intero collegio di giudici della Corte su entrambe le questioni ha un valore simbolico preciso. Si tratta infatti, prima ancora di una decisione sul tema specifico delle esenzioni, di una rivendicazione chiara e netta della supremazia costituzionale del Parlamento sul Governo: quando il MK Gafni sottolinea che la Corte non “comprende il valore dell’apprendimento della Torah e il suo contributo al popolo di Israele”, è perché nella sentenza i giudici non hanno minimamente inteso entrare nel merito della questione, riaffermando piuttosto un fondamentale principio dello Stato di diritto.
Con il paese potenzialmente sull’orlo di un importante riallineamento politico, la fine (o – come sembra ad alcuni preferibile – una sostanziale rimodulazione) dell’esenzione haredi potrebbe lentamente – e non senza potenziali traumi – rimodellare la cultura e la politica ultraortodossa e forse la stessa società israeliana.