CEDU, diritto “eurounitario” e diritto interno: alla ricerca del “sistema dei sistemi”*
Sommario: 1. I “sistemi di sistemi” e la varietà dei punti di vista da cui possono essere riguardati, rispettivamente, in ambito interno ed in ambito sovranazionale. – 2. La riduzione ad unità dei “sistemi di sistemi”, per effetto della convergenza dei punti di vista. – 3. La composizione delle norme in sistema, il criterio della tutela più “intensa” apprestata ai diritti, in modi tuttavia non coincidenti in ambito europeo ed in ambito nazionale, gli slittamenti dal piano della teoria delle fonti a quello della teoria dell’interpretazione riscontrabili nella giurisprudenza costituzionale in ordine alla messa a punto delle relazioni intersistemiche. – 4. Il raffronto su basi paritarie tra Costituzione e Carte dei diritti e la vocazione inclusiva del circolo interpretativo, in vista della congiunta applicazione di tutti i materiali normativi riguardanti i diritti, all’insegna di una teoria della “Costituzione-parziale”. – 5. I semi presenti nella giurisprudenza costituzionale di un possibile inquadramento delle relazioni intersistemiche in prospettiva assiologico-sostanziale e le tecniche raffinate messe in atto dalla giurisprudenza stessa al fine di smarcarsi dal pressing della giurisprudenza europea. – 6. La ricerca di un equilibrio, ancorché instabile ma complessivamente appagante, tra uniformità e differenziazione nella salvaguardia dei diritti, e le prospettive che possono aprirsi ad una autentica, solida “federalizzazione dei diritti”, anche grazie all’avvicinamento dei rapporti che il diritto interno intrattiene, rispettivamente, col diritto “eurounitario” e col diritto convenzionale.
- I “sistemi di sistemi” e la varietà dei punti di vista da cui possono essere riguardati, rispettivamente, in ambito interno ed in ambito sovranazionale
CEDU, diritto dell’Unione europea (o, come a me piace chiamarlo, diritto “eurounitario”) e diritto interno sono sistemi di norme[1]; interrogarsi a riguardo dei loro rapporti equivale, in buona sostanza, a verificare se se ne possa operare la riconduzione a “sistema”, dar vita cioè ad un “sistema di sistemi”.
Due avvertenze, prima di passare oltre.
La prima è che, a rigore, “sistema di sistemi” è anche quello statale, con specifico riguardo agli ordinamenti informati ad un largo pluralismo normativo e istituzionale, quali sono appunto quelli degli Stati c.d. “composti”[2]. Qui, tuttavia, considero l’ordinamento statale quale una unità “semplice” nelle sue proiezioni al piano sovranazionale e avuto riguardo ai rapporti che esso intrattiene con altri sistemi.
La seconda è che non necessariamente la composizione in sistema equivale a riduzione ad unità degli elementi che costituiscono il sistema stesso, vale a dire alla loro piena integrazione. I sistemi possono infatti restare ugualmente distinti, se non pure pleno iure separati, e, ciononostante, farsi appunto “sistema”, laddove si dia un certo grado di mutua integrazione, reso palese dalle norme di collegamento che dei sistemi stessi regolano i rapporti.
Mi corre, poi, subito l’obbligo di precisare che affronto la questione ora posta muovendo da un assunto che ho altrove argomentato e che non torno però qui a discutere, vale a dire che muovo da un’idea di Costituzione quale, in nuce, costituita da un fascio di valori fondamentali positivizzati, cui si aggiungono altre norme che già nella stessa Carta vi danno la prima e necessaria specificazione-attuazione, le quali compongono un tutto armonico risultante da parti, sì, distinte quoad obiectum ma non separabili né concettualmente né positivamente, ciascuna rimandando all’altra e tutte dando appunto vita ad un “sistema” unitariamente significante[3]. Le norme organizzatorie, in ispecie, richiedono di essere costantemente riportate alle norme sostantive, dalle quali prendono luce e giustificazione, e, ulteriormente specificando, alle norme sui diritti fondamentali rispetto alle quali stanno in funzione servente. Il che vale come dire che le norme sulla normazione (e, di conseguenza, gli atti ed i fatti di produzione giuridica da queste riguardati) valgono fintantoché si dimostrino idonee (e lo siano effettivamente, nel “diritto vivente”) a prestare l’ottimale servizio, alle condizioni oggettivamente date, ai valori fondamentali dell’ordinamento (e, per ciò che qui specificamente interessa, ai diritti)[4]. Solo così è appropriato discorrere della Costituzione come “sistema”[5], un sistema nel… sistema, vale a dire quale “nucleo duro” del sistema[6], anche nelle sue proiezioni interordinamentali, nel suo farsi cioè “sistema di sistemi”.
Quando poi ci si interroga circa il modo o i modi con cui quest’ultimo può prendere forma, è giocoforza stabilire qual è l’angolo visuale dal quale ci si pone nel tentativo di portare a frutto lo studio. La questione è, infatti, di metodo, prima ancora che di teoria; ed è chiaro che, col fatto stesso di muovere dall’uno piuttosto che dall’altro sistema (o dall’altro ancora), possono risultare variamente fissate le coordinate sulle quali si dispongono e svolgono le relazioni fra di essi[7].
Ora, plurimi essendo i sistemi, plurimi non possono che essere (ed effettivamente sono) i punti di vista e, perciò, i “sistemi di sistemi” in base ad essi composti. Il fatto stesso, poi, che ciascun sistema veda le cose dal proprio punto di vista comporta il primato del sistema stesso rispetto ai sistemi restanti. Persino laddove l’uno dichiari esser le proprie norme recessive, sia pure a certe condizioni ed entro certi limiti, all’impatto con le norme dell’altro o degli altri, resta il fatto che il ripiegamento in parola si deve alla volontà del sistema che lo stabilisce, a mezzo di proprie norme sulla normazione sulla cui base le relazioni intersistemiche ricevono il loro assetto: metanorme di necessità indisponibili, proprio a motivo del loro porsi a fondamento delle relazioni stesse. Non di rado, poi, le metanorme in parola qualificano del pari indisponibili altre norme ancora, di ordine sia sostantivo che procedimentale, che vanno dunque ad aggiungersi a quelle che stanno a base delle relazioni in discorso e, a conti fatti, a darne la connotazione complessiva.
Questo è ciò che si ha anche con riguardo al “sistema di sistemi” i cui lineamenti saranno ora fatti oggetto di rapido esame, quale appare assumendo a punto di osservazione il nostro ordinamento e, in particolare, facendo capo a quell’osservatorio privilegiato che è dato dalla giurisprudenza costituzionale.
Riserverò solo un cenno fugace ad altri, divergenti, punti di vista pure riscontrabili in ambito interno e dei quali si ha traccia in alcune espressioni della giurisprudenza comune; e ciò, per una triplice ragione: per un verso, infatti, tale giurisprudenza non di rado si disperde in mille rivoli, sottraendosi da se medesima in molte delle sue manifestazioni alla vista, ed è perciò di assai arduo reperimento e sistemazione; per un altro verso, è fuor di dubbio che la giurisprudenza stessa abbia in cospicua misura risentito (e quotidianamente risenta) dell’influenza culturale esercitata dagli indirizzi della Consulta, la quale per vero non di rado non si sottrae essa pure alle suggestioni provenienti dai non coincidenti indirizzi della giurisprudenza comune e, specie davanti alle sue più vigorose espressioni, fa talora luogo a sensibili aggiustamenti dei propri orientamenti, fermo restando tuttavia che è maggiore il condizionamento esercitato dalla giurisprudenza costituzionale nei riguardi di quella comune rispetto a quello che si ha in senso inverso[8]. La terza ragione è poi data dal fatto che è proprio la giurisprudenza costituzionale, se non altro a motivo della sua maggiore visibilità (se non pure, di necessità, della maggiore autorevolezza), ad esser tenuta specificamente presente dalla giurisprudenza delle Corti europee, concorrendo alla incessante messa a punto di quest’ultima. E di ciò, in particolare, occorre tener conto, laddove – come qui – si abbia riguardo alle relazioni intersistemiche.
Tengo poi subito a rilevare, con riserva delle opportune precisazioni più avanti, che i punti di vista adottati presso i sistemi qui presi in considerazione, pur essendo non coincidenti, sono nondimeno convergenti; la qual cosa si deve proprio al “dialogo” che è senza sosta alimentato dalle Corti “costituzionali”: termine che qui pure, come altrove, intendo in senso materiale, facendolo valere per le stesse Corti europee, in conformità ad una marcata linea di tendenza da esse tracciata e sempre più di frequente percorsa, secondo quanto segnalato dalla più avveduta dottrina[9].
La convergenza in discorso, in particolare, si apprezza proprio al piano di quelle metanorme, di cui un momento fa si diceva; in particolare, si rende visibile nella disponibilità che – perlomeno secundum verba – ciascun sistema manifesta agli altri di dar loro spazio al proprio interno laddove da essi venga una più adeguata tutela ai diritti: una sorta di ruolo “sussidiario”, dunque, quello che ciascun sistema ritaglia per sé in rapporto agli altri, riservandosi di scendere in campo unicamente laddove risulti essere maggiormente attrezzato a dar appagamento ai diritti stessi[10].
Assai più articolato e composito è, invece, il quadro al piano delle norme sostantive, vale a dire con riguardo al modo con cui sono intesi e fatti valere i beni della vita salvaguardati dalle norme stesse, laddove accanto a convergenze di non secondario significato perdurano divergenze non da poco, con riferimento alle quali si ha modo di cogliere le specificità culturali e positive del singolo sistema[11].
- La riduzione ad unità dei “sistemi di sistemi”, per effetto della convergenza dei punti di vista
La prima notazione che va fatta volendo dare consistenza all’affermazione secondo cui è possibile ragionare di un “sistema di sistemi”, nel senso qui precisato, riguarda la giustificazione della stessa, dal momento che le relazioni che il diritto interno intrattiene, rispettivamente, col diritto dell’Unione europea e con la CEDU appaiono essere talmente diverse da far dubitare della legittimità della loro reductio ad unum. Basti solo, per avvedersene, tener presente che il diritto interno e il diritto “eurounitario” sono – come si diceva –, ad avviso della Consulta, “ordinamenti” in senso proprio, siccome dotati di una componente istituzionale di cui sarebbe invece privo il sistema CEDU. Si aggiunga, poi, che anche con riguardo alla sola componente normativa, il sistema “eurounitario” risulta composto non da sole norme che danno il riconoscimento di diritti fondamentali, al pari, per questo verso, dello stesso ordine interno e diversamente – come si sa – dal sistema CEDU.
Il punto è molto importante, specie per chi si ponga, come da me ormai da tempo consigliato, in prospettiva assiologicamente orientata al fine di dare il giusto inquadramento alle norme ed ai loro rapporti, secondo quanto qui pure si avrà modo di rilevare per alcuni aspetti e per le specifiche finalità teorico-ricostruttive di questo studio. Contrariamente, infatti, a quanto comunemente si pensa (e si dice esser da parte della giurisprudenza costituzionale), alcune norme dell’Unione, appunto in quanto non riferite ai diritti, possono godere di una “copertura” assai meno consistente di quella di cui possono invece farsi vanto le norme della CEDU (o di altre Carte ancora), riportabili dietro il formidabile scudo protettivo degli artt. 2 e 3 della Carta costituzionale[12].
Se ne dirà meglio a momenti. Qui, è nondimeno importante precisare subito che resta estraneo all’orizzonte teorico avuto di mira da questo studio la considerazione delle norme, sia interne che sovranazionali, non riguardanti i diritti. D’altro canto, è noto che l’appartenenza ad uno stesso “insieme” richiede la omogeneità dei materiali che in esso si dispongono; e, dunque, perché possa discorrersi di un “sistema di sistemi” è necessario circoscrivere il riferimento alle sole norme accomunate dal loro porsi al servizio dei diritti.
Anche, poi, restringendo l’ambito qui fatto oggetto di studio unicamente a tali norme, si notano differenze non da poco tra di esse e, perciò, tra l’una e l’altra specie di rapporti cui le norme stesse danno vita, accanto però a taluni tratti comuni, le une e gli altri specificamente rilevanti proprio dall’angolo visuale adottato dalla giurisprudenza costituzionale.
Mi limito solo a rammentare tra questi ultimi l’attitudine di tutte tali norme aventi origine esterna a porsi a punto di riferimento in sede di interpretazione ad esse “conforme”[13] delle disposizioni legislative nazionali; tra le prime, richiamo poi il diverso posto assegnato alle norme dell’Unione (dotate di forza “paracostituzionale” o costituzionale tout court) ed alle norme convenzionali (invece qualificate come “subcostituzionali”), come pure la diversa tecnica utilizzabile per ripianare le loro eventuali antinomie con norme interne[14].
Cose ampiamente note, delle quali non è ora possibile nuovamente dire, se non sotto taluni aspetti specificamente rilevanti in ordine alla salvaguardia dei diritti, in relazione alla quale la costruzione giurisprudenziale appare, a mia opinione, meritevole di un profondo, critico ripensamento.
M’importa solo adesso fermare specificamente l’attenzione, sia pure nei limiti di spazio assai ristretti qui consentiti, su quella convergenza dei punti di vista di cui poc’anzi si diceva. Credo che si debba da parte di tutti convenire a riguardo dello sforzo poderoso col tempo prodotto da ciascun sistema per avvicinarsi agli altri, se non pure per raggiungerli e con essi integrarsi appieno, componendo un unico ed unitario sistema, sempre uguale a se stesso quale che sia il punto di vista dal quale ad esso si guardi. Una convergenza che ha preso corpo sia a mezzo di interventi legislativi e sia (e soprattutto) per effetto di una copiosa e intraprendente giurisprudenza, cui in gran parte si deve l’avvicinamento tra i sistemi e, con esso, l’avanzata del processo d’integrazione sovranazionale.
La vicenda è nota ed è sufficiente qui riservare ad essa appena un cenno, evidenziandone i passaggi maggiormente rilevanti al fine dell’analisi che si viene facendo.
Muovo dai rapporti col diritto dell’Unione, ricordando le tappe più salienti del “cammino comunitario”, come l’ha chiamato una non dimenticata dottrina[15], compiuto dal nostro giudice delle leggi. Dapprima (sent. n. 14 del 1964), il diritto comunitario e il diritto interno apparivano disposti su un piano di assoluta parità. In un secondo momento, si è coraggiosamente (o, forse, temerariamente…) ammesso (sent. n. 183 del 1973) il principio del primato del diritto sovranazionale, rinvenendone il fondamento interno in una norma di valore – l’art. 11 – convertita in norma sulla produzione giuridica e, tuttavia, dichiarandolo soggetto al limite dei… “controlimiti”, come sono chiamati con formula ormai in uso: un primato al tempo garantito attraverso la tecnica del sindacato accentrato di costituzionalità[16]. Infine (sent. n. 170 del 1984), accedendo al punto di vista della Corte di giustizia, la Consulta ha spianato la via per la risoluzione delle antinomie in parola a mezzo della tecnica della “non applicazione” delle norme interne contrarie a norme sovranazionali self-executing, senza peraltro escludere (con la giurisprudenza successiva) che alcuni casi di conflitto siano risolti attraverso il sindacato accentrato (segnatamente in sede di giudizi in via d’azione).
La più emblematica espressione della convergenza in discorso è, nondimeno, costituita dal fatto che dell’unico limite opposto all’avanzata in ambito interno delle norme (ieri comunitarie ed oggi) “eurounitarie”, risultante dai “controlimiti” suddetti, sia fin qui stata predicata l’esistenza, senza che però esso sia mai stato fatto valere: quasi che le norme dell’Unione siano tutte immacolate, non urtando mai, in alcun caso o modo, coi principi di struttura dell’ordinamento interno, di cui peraltro è nota la formidabile vis espansiva e qualificatoria[17].
Dal suo canto, il diritto sovranazionale è passato dall’affermazione del principio del primato incondizionato sul diritto interno a quello del riconoscimento della intangibilità, da parte dell’Unione, dei principi di struttura dell’ordinamento di ciascuno Stato membro (v., ora, art. 4 TUE). Anche da parte dell’Unione, però, del limite, solennemente dichiarato, non si è fin qui avuto pratico riscontro: tangibile, particolarmente espressiva, testimonianza, questa, dell’esistenza di un tacito patto (o, dovremmo forse ormai dire, di una vera e propria consuetudine interordinamentale) volta, per un verso, a riconoscere nei principi fondamentali di diritto interno (e – si badi – di ciascuno Stato) il punctum unionis delle relazioni interordinamentali, il “luogo” in cui si situa e da se medesimo senza sosta rinnova il sistema, quale “sistema di sistemi” appunto, e però, per un altro verso, della precisa scelta strategica condivisa dall’Unione e dallo Stato nel senso di non frapporre ostacolo alcuno all’avanzata nel territorio nazionale degli atti dell’Unione[18].
Come che sia di ciò, assoggettandosi l’Unione al limite dei “controlimiti”, ormai pleno iure quodammodo “europeizzati”[19], se ne che, dal punto di vista dell’Unione stessa, il sistema viene a moltiplicarsi ed a riprodursi in forme cangianti, tante per quanti sono gli Stati membri, esibendo pertanto, in base al disposto normativo sopra richiamato, una struttura “plurale”, conseguente al rimando ad un tempo fatto a tutti gli ordinamenti nazionali[20].
Al di là della professione di ossequio fatta nei riguardi dei principi di struttura di ciascuno Stato membro dell’Unione, che in punto di astratto diritto potrebbe portare ad un’affermazione del primato del diritto sovranazionale a fisarmonica, contraendosi ovvero espandendosi esso a seconda che incontri lungo la propria via questo o quel principio che vi si opponga, resta il fatto che è l’insieme dei principi che connotano le liberaldemocrazie ad offrirsi quale fonte culturale cui l’ordinamento dell’Unione costantemente attinge, dotandosi di un patrimonio di valori sostantivi che entra a comporre, alimentare, rinnovare il patrimonio assiologico dell’Europa in costruzione. Sono, insomma, le c.d. “tradizioni costituzionali comuni” a fare le basi su cui l’Europa vuole edificarsi e portarsi sempre più in avanti lungo la via della integrazione sovranazionale[21].
Ora, non è il caso di riprendere qui le vessate questioni che ruotano attorno a siffatta nozione dai tratti oggettivamente sfuggenti. Quel che è certo è che i valori fondanti le liberaldemocrazie (e, sopra tutti, quelli di libertà, eguaglianza, giustizia sociale e, ancora più in alto o più a fondo, il valore “supercostituzionale” della dignità della persona umana nei cui riguardi i valori restanti si pongono in funzione servente[22]) hanno costituito il più saldo punto dal quale l’ordinamento sovranazionale si è tenuto e costantemente si tiene nello sforzo poderoso prodotto al fine di rilegittimarsi senza sosta e dare così la più persuasiva giustificazione di quel primato di cui si è sopra detto: in breve, di dare un senso e un verso all’esercizio di poteri sovrani concorrenti (e però, nei fatti, anche sovrastanti[23]) rispetto a quelli tipicamente propri degli Stati, i quali ultimi in misura crescente ed in relazione a campi materiali viepiù estesi si trovano obbligati a recedere davanti agli atti di produzione sovranazionale[24].
Più in genere, se è innegabile che le tradizioni cui ha attinto la scrittura delle Carte internazionali dei diritti (e, tra queste, della Carta di Nizza-Strasburgo) sono quelle nazionali, non può del pari negarsi che in ambito sovranazionale la pianta dei diritti è cresciuta assumendo forme sue proprie, non coincidenti e, alle volte, persino divergenti rispetto a quelle familiari alle esperienze nazionali, le quali ultime dunque hanno dalle prime ricevuto (e seguitano senza sosta a ricevere) suggestioni ed indicazioni per il loro incessante rinnovamento, fermo restando che gli Stati possono dar spazio all’ingresso dentro le loro mura di norme e decisioni giurisprudenziali di origine esterna alla sola condizione che da esse non venga alcun pregiudizio per le “tradizioni costituzionali” (e, segnatamente per i valori di libertà, eguaglianza e giustizia). Sta qui il senso profondo, il più genuino ed espressivo, della qualifica corrente secondo cui la tutela costituzionale dei diritti tende ad “internazionalizzarsi” e ad “europeizzarsi”, nel mentre la tutela internazionale ed europea tende a “costituzionalizzarsi”. Le più emblematiche realizzazioni di questa duplice tendenza si hanno poi, per diffuso riconoscimento, per il tramite della giurisprudenza. Uno dei segni più evidenti e significativi di questo duplice processo è, infatti, dato dalla vocazione delle Corti nazionali ad “europeizzarsi” e ad “internazionalizzarsi”, come pure delle Corti sovranazionali a “costituzionalizzarsi”.
- La composizione delle norme in sistema, il criterio della tutela più “intensa” apprestata ai diritti, in modi tuttavia non coincidenti in ambito europeo ed in ambito nazionale, gli slittamenti dal piano della teoria delle fonti a quello della teoria dell’interpretazione riscontrabili nella giurisprudenza costituzionale in ordine alla messa a punto delle relazioni intersistemiche
Sta proprio qui quella convergenza dei punti di vista, cui si faceva cenno, come pure la base comune delle relazioni intersistemiche, tanto di quelle che si svolgono lungo l’asse che collega l’ordine interno al diritto “eurounitario” quanto delle altre che portano alla CEDU.
Al di là, infatti, delle perduranti, sensibili differenze riscontrabili sotto più aspetti tra le relazioni stesse, a taluna delle quali non si è mancato poco sopra di fare richiamo così come vi si farà anche più avanti, resta il fatto, l’autentico tratto accomunante i sistemi posti rapidamente a confronto, per cui in presenza di plurime discipline normative riguardanti uno stesso diritto la norma buona per il caso è da considerare quella – ci dice la giurisprudenza (spec. Corte cost. n. 317 del 2009 e successive) – che si rivela esser in grado di offrire la più “intensa” tutela, indipendentemente dalla sua provenienza, la sua forma, il suo stesso grado (in prospettiva formale-astratta)[25].
Così ragionando, ci si avvede subito che la giustificazione più salda del primato del diritto di origine esterna, sia esso “eurounitario” che convenzionale, non sta, non può stare unicamente o esclusivamente in una norma sulla produzione giuridica (seppur di rango costituzionale) che, in sé e per sé considerata, resterebbe muta, inespressiva o, diciamo pure, autoreferenziale[26]. Non è né il primo comma dell’art. 117 né lo stesso art. 11[27] o altra metanorma ancora[28] a dare la giustificazione in parola bensì sono i valori sostantivi e, sopra ogni altro, quelli componenti la coppia assiologica fondamentale di cui agli artt. 2 e 3 della nostra Carta, nei cui riguardi le metanorme si pongono in funzione servente. Allo stesso modo (e di rovescio), sono sempre i valori suddetti ad opporsi all’ingresso di norme aventi origine esterna che, in relazione alle peculiari esigenze del caso, si rivelino essere meno attrezzate di quelle interne a dare la più “intensa” tutela ai diritti in gioco; e non è inopportuno qui precisare che apprestare una tutela meno “intensa” non equivale necessariamente a disporre in contrasto con la norma o l’insieme di norme che invece portano ancora più in alto la tutela stessa. Come mi sono sforzato di mostrare in altri luoghi, alle volte si è infatti in presenza di norme che si dispongono in modo scalare lungo la stessa retta e lungo lo stesso verso, non già che si rivoltano frontalmente l’una contro l’altra[29].
Su ciò la convergenza dei punti di vista manifestati in ambito europeo parrebbe esser piena, senza riserve: vanno infatti letti così i disposti di cui all’art. 53 della CEDU e della Carta di Nizza-Strasburgo che – come si è accennato – ritagliano per le Carte stesse un ruolo meramente “sussidiario” rispetto a quello che può essere giocato dalle norme di diritto interno (costituzionali incluse!) in funzione della salvaguardia di taluni bisogni elementari dell’uomo[30]. Allo stesso modo vanno altresì letti, a mia opinione, le norme costituzionali espressive del principio dell’apertura al diritto internazionale e sovranazionale nel loro fare “sistema” coi principi sostantivi, segnatamente con quelli di cui agli artt. 2 e 3.
Invero, la posizione della giurisprudenza costituzionale sul punto è alquanto complessa, non lineare, in qualche passaggio persino indecifrabile; altalenante, per ciò che qui più importa, appare ad ogni buon conto essere al piano metodico l’indirizzo della Consulta, caratterizzato da continui slittamenti di piano.
E infatti.
Per un verso, le relazioni intersistemiche sono, in premessa, ambientate al piano della teoria delle fonti, riconoscendosi – come si è sopra rammentato – in capo alle norme dell’Unione forza “paracostituzionale” e qualificandosi invece la CEDU, seccamente, quale fonte “subcostituzionale”.
Per un altro verso, però, col fatto stesso di orientare i giudici (e gli operatori in genere) verso la ricerca della norma idonea ad apprestare la più “intensa” tutela, la Consulta mostra di voler ambientare le relazioni stesse al piano della teoria dell’interpretazione, abbandonando risolutamente (e, apparentemente, senza rimpianto) ogni schema qualificatorio d’ispirazione formale-astratta, rimpiazzato da uno d’ispirazione assiologico-sostanziale. Non si spiegherebbe altrimenti come possa una norma di legge avere ugualmente la meglio, in caso di contrasto con norma convenzionale, malgrado l’accertata, indiretta (ma, in realtà, come si è veduto, insussistente) violazione nei riguardi dell’art. 117, I c., cost.
La Corte è pronta nel far notare che a fronte di tale violazione si dà tuttavia (e può esser considerato preminente in ragione del caso) un servizio che la norma legislativa offra ad altra norma costituzionale o, meglio, alla Costituzione come “sistema”[31]. Come sempre, insomma, la risposta finale la si ha all’esito di operazioni di ponderazione assiologica, che orientano la scelta a favore di questa o quella norma: operazioni – è appena il caso qui di rammentare – che, svolgendosi in applicazione di criteri di ordine assiologico-sostanziale, rifuggono dall’essere convenientemente spiegate a mezzo di schemi qualificatori di formale fattura.
- Il raffronto su basi paritarie tra Costituzione e Carte dei diritti e la vocazione inclusiva del circolo interpretativo, in vista della congiunta applicazione di tutti i materiali normativi riguardanti i diritti, all’insegna di una teoria della “Costituzione-parziale”
Due sole notazioni ulteriori sul punto, con riserva di approfondimenti altrove.
La prima è che, una volta che ci si disponga alla ricerca della norma che dà la tutela più “intensa”, la stessa Costituzione – come si è già fatto in altri luoghi osservare – non può sottrarsi ad un siffatto confronto, che è culturale prima ancora che positivo, con esiti ovviamente astrattamente imprevedibili; dunque, anche la legge fondamentale della Repubblica potrebbe trovarsi obbligata a ripiegare davanti ad altra norma di origine esterna che fissi ancora più in alto il livello della tutela[32].
La seconda ed ai nostri fini ancora più rilevante notazione attiene specificamente al modo (o, diciamo pure, al metodo) con cui ha da porsi l’operatore che si accinga a siffatto raffronto. E il vero è che le norme, quale che sia il sistema di appartenenza, non sono un dato bell’e fatto che si offre all’operatore, cui non rimarrebbe altro da fare che metterlo su una bilancia di precisione allo scopo di verificare quale pesa di più perché di più è in grado di spendersi a beneficio dei diritti.
Di contro, già nel momento in cui si avvia il processo interpretativo e quindi lungo tutto il suo percorso l’operatore non può trattenersi dal far capo altresì a materiali normativi di origine esterna, che s’immettono nel processo stesso, lasciandovi un segno ora più ed ora meno marcato, orientando variamente il percorso stesso e, in fin dei conti, determinandone l’esito.
Le norme, insomma, non sono il prius del raffronto, ne sono piuttosto il posterius: l’operatore, muovendo da una prima, ancora confusa loro configurazione, mette quindi gradatamente a fuoco l’oggetto ripreso nel circolo interpretativo attraverso un’attività di interpretazione che – come ho avuto modo di precisare altrove – è doppiamente o, meglio, circolarmente conforme e che porta senza sosta dall’ordine interno a quello sovranazionale, per quindi tornare da quest’ultimo al primo ed aver in esso il suo finale ricetto[33].
È questa la ragione per cui l’esito naturale ed ottimale di una siffatta, internamente articolata e composita, operazione ermeneutica è dato non già dalla scelta “secca” ed esclusivizzante a beneficio di questa o quella norma, interna o esterna che sia, bensì dalla loro congiunta applicazione, conseguente alla loro mutua compenetrazione ed immedesimazione nel fatto interpretativo[34]. Non la “logica” dell’aut-aut, che appare essere comunque perdente, bensì quella dello stare assieme, del fare tutt’uno (“sistema”, appunto), è quella metodicamente consigliata agli operatori, senza nondimeno escludere in partenza l’eventualità che siffatto esito ottimale possa talora non essere raggiunto, imponendosi dunque quella scelta “secca” di cui si è appena detto[35].
La circolarità poi, per sua natura, tende al recupero di tutti i materiali in campo, ha cioè una vocazione inclusiva, siccome orientata alla congiunta valorizzazione dei materiali stessi nei fatti interpretativi.
Il limite dell’interpretazione conforme, per come usualmente intesa, è proprio quello di essere “verticale”, gerarchizzata, risentendo del condizionamento di una teoria delle fonti d’ispirazione formale-astratta che è, a conti fatti, inadeguata ad esser fatta valere nelle esperienze e per le esigenze dei diritti. Una teoria, insomma, che – come si viene dicendo – è respinta dall’oggetto cui pretende di essere applicata, siccome inidonea a coglierne l’essenza, a rappresentarla fedelmente, a servirla come si conviene.
V’è, a mio modo di vedere, una contraddizione insanabile tra l’orizzonte metodico-teorico entro cui si muove la teoria corrente delle fonti e le pretese naturalmente vantate da una teoria circolare dell’interpretazione.
L’uno è espressivo di una concezione “chiusa”, autoreferenziale, in sé perfetta, armonica nelle sue parti, dell’ordinamento di appartenenza e della sua fonte apicale (per ciò che riguarda l’ordinamento interno, la Costituzione[36]); le altre invece si spiegano ed hanno modo di farsi valere nel quadro di una visione “aperta” dell’ordinamento di appartenenza, che si dispone appunto a recepire e fare proprio ogni materiale normativo avente origine esterna che possa servire a dare il massimo appagamento possibile, alle condizioni oggettive di contesto, alla coppia assiologica fondamentale di libertà ed eguaglianza (e, in ultima istanza, dignità).
L’uno è figlio di un’idea di “Costituzione-totale”, che ha in sé le risorse per dare appagamento ad ogni istanza di libertà, di eguaglianza, di giustizia sociale; le altre sono espressive di una idea di “Costituzione-parziale”, che al fine di vedere colmate le proprie lacune di costruzione si dispone a farsi fecondare dalle altre Carte, laddove si dimostrino ancora più attrezzate a venire incontro alle istanze suddette. E, poiché ad esse fanno espresso, vigoroso richiamo alcuni principi della nostra Carta (e, segnatamente, quelli di cui agli artt. 2 e 3, nel loro fare “sistema” con quelli di cui agli artt. 10 e 11), se ne ha che, pur laddove la nostra Carta dovesse piegarsi all’alto ed all’altro (e, anzi, proprio in ciò), essa realizzerebbe comunque e al meglio… se stessa.
Il punto di vista esterno e quello interno fanno (o, meglio, dovrebbero, secondo modello, fare) insomma tutt’uno, perché al primo rimanda il secondo, facendolo proprio.
La stessa Corte costituzionale, in una sua risalente, ispirata pronunzia prefigura l’esito del paritario raffronto e della mutua compenetrazione dei materiali normativi relativi al diritti, dichiarando (sent. n. 388 del 1999) che la Costituzione e le Carte dei diritti “si integrano, completandosi reciprocamente nella interpretazione”; il passo è però preceduto da un significativo inciso nel quale la Consulta tiene a dichiarare che “i diritti umani, garantiti anche da convenzioni universali o regionali sottoscritte dall’Italia, trovano espressione, e non meno intensa garanzia, nella Costituzione” (segue un richiamo a Corte cost. n. 399 del 1998). Uno stato d’animo – come si vede – incerto, per non dire turbato, oscillante tra il corno dell’apertura sovranazionale e quello della chiusura in un nazionalismo o patriottismo costituzionale ingenuo ed infecondo.
Il primo frammento del discorso sembra espressivo di quel modello di “Costituzione-parziale”, imperfetta, bisognosa appunto di appoggiarsi e di alimentarsi alle altre Carte, di cui si è appena detto; il secondo, di contro, rivela un’idea di “Costituzione-totale”, che ha in se stessa il principio e la fine della propria esistenza, che è appunto in grado di dire tutto su tutto e che non ha perciò bisogno di punti esterni di sostegno.
I limiti delle costruzioni erette dalla teoria delle fonti (o, per dir meglio, da una certa teoria, d’ispirazione formale-astratta) sono, tuttavia, strutturali, insuperabili, gli esiti cui essa consente di pervenire avvolgendosi in se stessi ed esibendo irrisolte ed irrisolvibili aporie e contraddizioni.
Fatico invero a comprendere come si possa far luogo ad ordinazioni gerarchiche, secondo forma e per sistema, tra norme che danno, tutte, in tesi, il riconoscimento di diritti fondamentali; la qual cosa, poi, fatalmente si tradurrebbe in una inammissibile gerarchia tra i diritti stessi. L’ordinazione, in realtà, la fanno i casi e la si coglie ed apprezza unicamente in prospettiva assiologicamente orientata, al piano cioè della teoria dell’interpretazione, laddove ha modo di farsi valere quel criterio della tutela più “intensa” al quale qui è fatto diffuso richiamo. Il sistema così si scompone e ricompone in forme continuamente cangianti, alla ricerca dei punti di equilibrio, risultanti da sintesi di valore aventi carattere interordinamentale, tra gli interessi in gioco.
Che il confronto tra le Carte (Costituzione inclusa) non possa che essere paritario è, d’altronde, avvalorato dalla circostanza per cui le stesse norme di origine esterna astrattamente più forti in prospettiva formale-astratta, dal punto di vista cioè della teoria delle fonti, quelle dell’Unione, da se stesse si obbligano a prestare ossequio a norme meno forti, quelle della CEDU, laddove ciò risulti sollecitato dal bisogno di apprestare la maggior tutela ai diritti.
- I semi presenti nella giurisprudenza costituzionale di un possibile inquadramento delle relazioni intersistemiche in prospettiva assiologico-sostanziale e le tecniche raffinate messe in atto dalla giurisprudenza stessa al fine di smarcarsi dal pressing della giurisprudenza europea
Malgrado le irrisolte aporie di costruzione denunziate dalla giurisprudenza costituzionale (specie con riguardo alla CEDU ed ai suoi rapporti col diritto interno), si deve convenire che la giurisprudenza stessa racchiude in sé i semi che, opportunamente coltivati e portati a frutto, possono dare un orientamento alla ricerca volta alla ottimale salvaguardia dei diritti.
Mi riferisco ora allo scivolamento registratosi specie nella più recente giurisprudenza dal piano formale-astratto, al quale tipicamente si svolgono i ragionamenti ispirati dalla teoria tradizionale delle fonti, al piano assiologico-sostanziale, nel quale si ambienta ed esprime la teoria della interpretazione.
Tra le pronunzie in cui è più nitidamente visibile il punto di vista d’ispirazione assiologico-sostanziale, richiamo qui, oltre alla già cit. sent. n. 317 del 2009, le sentt. nn. 113 e 245 del 2011.
Al di là della soluzione di merito apprestata nei singoli casi, la si condivida o no, resta la bontà della prospettiva stessa, che è quella di dare effettività ai diritti, nella misura maggiore possibile alle condizioni complessive di contesto. Chi di noi, ancora fino a poco tempo addietro, avrebbe scommesso anche solo un soldo sulla possibile revisione dei processi penali passati in giudicato per effetto di sopravveniente pronunzia della Corte EDU che avesse constatato la violazione della Convenzione nel corso del loro svolgimento? O, ancora, chi avrebbe giudicato possibile l’abbandono delle forme per dar modo agli stranieri irregolari di poter accedere alle nozze?
La certezza del diritto in senso oggettivo è, sì, valore fondamentale bisognoso di essere come si conviene protetto ma alla sola condizione – fa capire ora la Corte – che si converta e risolva in certezza dei diritti, nella loro ottimale tutela appunto, attingendo alle norme di questo o quel sistema (e, meglio ancora, di tutte assieme), a ciò che esse hanno da offrire al servizio dei diritti stessi[37].
Il “sistema di sistemi” si fa e senza sosta rinnova proprio così, nel fatto stesso di riuscire a dare una risposta persuasiva a quanti fiduciosi chiedono appagamento per i loro diritti. La teoria tradizionale delle fonti, nella sua connotazione formale-astratta, tutto questo non è in grado di coglierlo e rappresentarlo come si deve; può invece farlo la teoria della interpretazione, una volta portata alle sue conseguenti, attese applicazioni.
Ora, per quanto la Corte insista nel voler fissare il punto di unione dei sistemi laddove può aversi la più avanzata tutela dei diritti, resta il fatto che non coincidenti sono, al piano sovranazionale ed a quello dello Stato, i modi d’intendere e di pesare in concreto l’“intensità” della tutela, non di rado assistendosi a punti di vista sostanziali divaricati, tali da portare a veri e propri conflitti, seppur il più delle volte almeno in parte abilmente mascherati o, diciamo così, attutiti.
Nella giurisprudenza costituzionale si hanno plurime e probanti testimonianze delle tecniche più di frequente utilizzate allo scopo di marcare la distanza dalla giurisprudenza europea (specie da quella di Strasburgo)[38], la quale peraltro, dal suo canto, appare connotata da vistosa agilità di movenze e non lievi oscillazioni di orientamento, forse ancora in maggior grado esibite dalla giurisprudenza convenzionale a motivo del suo carattere casistico, per quanto essa pure non nasconda l’ambizione di portarsi oltre il caso, secondo quanto ad es. avvalorato dalle pronunzie-pilota[39].
Non è di qui, ovviamente, far luogo a quelle verifiche sul campo che pure sarebbero necessarie e che però richiederebbero svolgimenti estesi ai singoli ambiti materiali di esperienza ed approfondimenti comunque esorbitanti lo spazio ristretto di cui ora si dispone ed anche – ad esser franchi – le forze di chi dovrebbe farvi luogo. È nondimeno importante fermare, sia pure solo per un momento, l’attenzione sul fatto che il margine di apprezzamento, astrattamente riconosciuto a beneficio degli operatori di diritto interno, subisce continui adattamenti anche in ragione degli indirizzi interpretativi nel frattempo delineatisi negli ordinamenti degli Stati aderenti alla Convenzione. Non è senza significato che la Corte di Strasburgo si appoggi non poche volte al “consenso” degli Stati per far sentire forte e chiaro il timbro della propria voce, restringendo significativamente l’ambito rimesso all’apprezzamento nazionale fino in qualche caso ad azzerarlo del tutto[40].
Ancora una volta, è sulla base delle “tradizioni costituzionali comuni” (o, quanto meno, largamente convergenti) che vengono fatte poggiare talune decisioni del giudice europeo particolarmente incisive, talora persino “aggressive”, per riprender ancora una volta una loro azzeccata qualifica datane da una dottrina sempre attenta agli sviluppi dei rapporti tra le Corti[41].
Davanti a siffatto atteggiamento della Corte europea, la giurisprudenza costituzionale ha dato fondo alle non poche risorse argomentative di cui è dotata, nell’intento di preservare la specifica connotazione culturale dell’ordinamento di appartenenza.
Due le tecniche al riguardo poste in essere e maggiormente conducenti al fine, riportabili, l’una, al principio, insistentemente professato, secondo cui la giurisprudenza EDU non va di necessità osservata in ogni sua parte bensì unicamente nella sua “sostanza” o – il che è praticamente lo stesso – va adattata alle peculiari esigenze dell’ordine interno[42]; l’altra al principio per cui non rileva tanto o solo la protezione assicurata dalla Convenzione al singolo diritto in campo bensì quella che risulta dalla considerazione dell’insieme dei beni costituzionalmente protetti, nel loro fare “sistema” appunto[43]. Soprattutto grazie a quest’ultima indicazione, alla quale la Consulta mostra ora di voler assegnare uno speciale significato[44], la Consulta stessa ha buon gioco nel far valere la preminenza di quegli “imperiosi motivi d’interesse pubblico” che la giurisprudenza europea considera idonei ad affermarsi a discapito di posizioni soggettive pure garantite dalla Convenzione.
Il fatto è che ciascuna Corte non intende rinunziare a far valere il proprio punto di vista circa ciò che sono i “motivi” in parola, le condizioni della loro azionabilità, il modo del loro porsi davanti ai diritti.
Sono soprattutto i diritti che “costano” (o, diciamo meglio, che costano più di altri[45]) a trovarsi maggiormente esposti nella presente congiuntura afflitta da una crisi economica senza precedenti, che rischia di portare al collasso le strutture portanti degli ordinamenti non solo europei[46]. La recente, nota vicenda delle leggi d’interpretazione autentica, in relazione alla quale si è assistito ad una non ricomposta divergenza di orientamenti tra Corte EDU e Corte costituzionale, è indicativa del fatto che, davanti al bisogno di far quadrare i conti pubblici, i diritti soggettivi sono assai di frequente obbligati a farsi da parte o, come che sia, a sottostare a considerevoli sacrifici. Il vero è che il carattere viepiù esiguo delle risorse economiche disponibili s’irradia con effetti a raggiera pervadendo l’intero ordinamento e comportando una profonda alterazione del quadro costituzionale, toccato pressoché in ogni sua parte; e basti solo al riguardo rammentare la forte compressione dell’autonomia regionale registratasi con l’acuirsi della crisi economica[47]. La qual cosa, poi, ha pure, per la sua parte, una immediata, rilevante ricaduta al piano della salvaguardia dei diritti, ove si convenga che il senso complessivo dell’autonomia è proprio nel suo porsi al servizio dei diritti, concorrendo in corposa misura a darvi il congruo appagamento[48].
Non a caso, d’altronde, laddove gli effetti della crisi non sembrano avvertirsi, perlomeno in modo particolarmente accentuato, i diritti ritrovano uno spazio adeguato per farsi valere; della qual cosa si hanno numerose testimonianze specialmente con riferimento ai diritti “etico-sociali”, giusto quelli per la cui salvaguardia la giurisprudenza europea, pur se in modo alquanto altalenante, tende complessivamente a rimettersi alle soluzioni frutto di apprezzamento nazionale, pur non facendo difetto talune importanti e coraggiose pronunzie espressive di un indirizzo della Corte EDU volto a farsi carico del bisogno di tutela dei diritti in parola.
Assai istruttive delle oscillazioni in parola le vicende della fecondazione medicalmente assistita[49], della esibizione di simboli religiosi in luoghi pubblici[50], del matrimonio degli omosessuali[51] ed altre ancora, in relazione alle quali ad un iniziale orientamento della Corte EDU particolarmente “aggressivo”, nel senso sopra detto, la stessa Corte, riunita in Grande Camera, ha sia pure in parte temperato l’orientamento stesso, salvaguardando il margine d’apprezzamento degli Stati.
Quest’esito insegna molte cose e consente di affacciare qualche previsione anche sui possibili sviluppi delle relazioni intersistemiche.
- La ricerca di un equilibrio, ancorché instabile ma complessivamente appagante, tra uniformità e differenziazione nella salvaguardia dei diritti, e le prospettive che possono aprirsi ad una autentica, solida “federalizzazione dei diritti”, anche grazie all’avvicinamento dei rapporti che il diritto interno intrattiene, rispettivamente, col diritto “eurounitario” e col diritto convenzionale
Vedo nella giurisprudenza della Corte EDU lo sforzo di conciliare il “nucleo duro” dei diritti riconosciuti al piano europeo con la salvaguardia delle specificità culturali, ancora prima che positive, proprie dei singoli ordinamenti nazionali. La qual cosa, peraltro, si spiega anche nella varietà dei contesti riscontrabili in ambito nazionale, in ragione, oltre che del loro numero[52], della loro storia e di quant’altro ne dà la cifra identificativa complessiva. Il modello che va proponendosi come vincente è quello – a me pare[53] – di una sorta di “federalizzazione dei diritti”, nel quale peraltro si specchia e riproduce un modello generale di organizzazione, che coinvolge la struttura degli Stati sia al proprio interno (al piano, cioè, dei rapporti che in ciascuno di essi si intrattengono tra centro e periferia) che nelle sue proiezioni esterne (al piano delle relazioni sovranazionali, appunto).
In questo quadro, ad oggi per vero assai mobile e per molti tratti persino sfuggente, marcata appare essere la tendenza alla omologazione delle discipline positive ed alla convergenza degli orientamenti giurisprudenziali[54], una tendenza che accompagna e segna i più salienti sviluppi della integrazione europea. Allo stesso tempo, tuttavia, i modelli costituzionali nazionali non smarriscono la propria identità culturale ma la vedono confermata, rigenerata a fondo proprio grazie al reciproco confronto[55], oltre che al confronto (e talora allo scontro) con un’identità europea ormai in avanzata maturazione.
Al riguardo, su due cose vorrei, in chiusura, sollecitare a fermare particolarmente l’attenzione.
La prima è che quest’equilibrio, per sua natura perennemente instabile, tra uniformità e differenziazione richiede uno sforzo costante e poderoso per essere salvaguardato come si conviene, perché è proprio in esso e grazie ad esso che i diritti possono esser fatti valere al massimo delle loro potenzialità espressive, sia pure alle condizioni oggettive di contesto: uno sforzo prodotto a ciascun livello istituzionale e da parte di tutti, giudici “costituzionali” (nella larga accezione qui accolta) e giudici comuni, il cui ruolo, di cruciale rilievo, merita di essere qui ancora una volta, come si conviene, sottolineato[56].
Il perfezionamento del “sistema di sistemi” si coglie proprio in ciò: nel suo essere ed interamente risolversi, nel corso delle vicende riguardanti i diritti, in una ricerca (non di rado sofferta, comunque assai impegnativa) del… sistema, vale a dire del modo con cui si renda possibile fissare, in un processo che non ha mai fine, i punti di equilibrio degli interessi in campo, di quell’equilibrio – come s’è veduto – dei punti di vista, portando all’emersione in primo piano di ciò che di meglio ciascuno di essi possiede ed esprime ed a lasciare in ombra ciò che invece fa da ostacolo all’affermazione della più “intensa” tutela dei diritti.
La seconda riguarda uno stato di fatto che non saprei ora dire quanto ancora possa durare.
Mi riferisco alla circostanza per cui, mentre nei riguardi dell’Unione (e, per ciò pure, della sua giurisprudenza) la Consulta tiene un atteggiamento assai cauto e persino deferente, assumendo che davanti ai suoi atti l’ordine interno sia tenuto per sistema a piegarsi, dandovi pronta e puntuale osservanza, di contro assai più flessibile è l’atteggiamento manifestato al piano dei rapporti con la CEDU (e la sua vestale, la Corte di Strasburgo), secondo quanto si è dietro mostrato accennando al carattere circoscritto dell’obbligo gravante sulla stessa Corte costituzionale (e, dunque, anche sui giudici comuni) di prestare ossequio alla sola “sostanza” della giurisprudenza europea[57].
Ora, in disparte lo scenario, ad oggi imprevedibile, che potrebbe aversi per effetto della prevista, auspicata adesione dell’Unione alla CEDU, già al presente – giusta l’impostazione qui data alle relazioni intersistemiche e la prospettiva assiologico-sostanziale da cui se ne consiglia l’osservazione – una siffatta, rigida distinzione di regimi appare meritevole di critico ripensamento, ove appunto si convenga a riguardo del mutuo, incessante processo di rigenerazione semantica che si intrattiene tra le Carte (e le Corti); tanto più se si considera che lo stesso giudice dell’Unione dichiara di voler cospicuamente attingere al giudice di Strasburgo riversando quindi nei propri atti il frutto dell’influenza culturale da quest’ultimo in considerevole misura esercitata; il quale giudice, peraltro, dal suo canto, si fa cura assai di frequente di appoggiarsi alla giurisprudenza della Corte dell’Unione, in tal modo arricchendo e rinnovando il circolo interpretativo, nel quale ovviamente s’immettono anche le suggestioni che vengono dagli ambienti nazionali (specie, ma non solo, ad opera dei tribunali costituzionali), componendosi in forme varie, in ragione degli interessi in campo e delle congiunture, con le indicazioni provenienti ab extra.
La vicenda è in corso e non è dunque agevole prevederne i prossimi, probabili sviluppi. Non rari sono, invero, gli irrigidimenti, da una parte e dall’altra, alle volte – vorrei dire – i veri e propri crampi mentali che non consentono di disporsi ad un ascolto non preorientato nei riguardi delle ragioni dell’altro, del diverso punto di vista di cui esse sono espressione. Il “dialogo” – è stato da più d’uno fatto notare[58] – è non di rado apparente, traducendosi piuttosto in un doppio o plurimo monologo tra parlanti lingue diverse, non reciprocamente comunicanti.
Vi sono alcuni indici esteriori che ad un occhio vigile e sensibile consentono di percepire la pervicace refrattarietà a far luogo ad un vaglio del punto di vista altrui non viziato in partenza da remore non taciute: un punto di vista che può, poi, anche non essere accolto ma solo a seguito della sua accurata e serena considerazione.
Così, i richiami non sempre fino in fondo fedeli bensì alle volte “filtrati”, selezionati, alla giurisprudenza altrui rendono testimonianza di resistenze legate a tradizioni culturali sottratte in partenza alla loro possibile revisione. O, ancora, l’orgogliosa (ma, a mio avviso, sterile e francamente insensata) rivendica di un primato culturale e positivo, che si ritiene assiomaticamente spettare all’ordinamento di appartenenza, cela a fatica, malamente, quell’animus volto alla improduttiva chiusura in se stessi da cui forse nascono i maggiore pregiudizi per i diritti. E duole constatare che siffatta chiusura si ha non poche volte proprio ad opera delle Corti nazionali, e segnatamente, per ciò che qui più importa, del nostro giudice delle leggi, che pure è assai abile nel mascherarla (o tentare di mascherarla…).
Non infrequenti sono, poi, i richiami fatti ad pompam (specie da parte della giurisprudenza nazionale alla giurisprudenza europea), a supporto di una soluzione che si ritiene nondimeno avere tutta quanta già nella Carta costituzionale la sua giustificazione. Insomma, una giurisprudenza costituzionale che dichiara, sì, di volersi aprire all’alto ed all’altro ma che, allo stesso tempo, conferma la compiutezza, la perfezione, della tutela apprestata dalla Carta di cui è garante, rifacendosi all’indicazione contenuta in uno dei frammenti sopra riportati e tratti dalla composita pronunzia del ’99.
Il vero è che la giurisprudenza costituzionale, allo stato attuale del suo sofferto processo di maturazione, appare – come si è veduto – altalenante, alla ricerca di una identità e stabilità ancora non raggiunte e forse invero problematicamente raggiungibili anche nel prossimo futuro: perlomeno, fintantoché non saprà decidersi a riguardo del piano (se quello della teoria delle fonti ovvero l’altro della teoria dell’interpretazione) al quale ambientare le relazioni intersistemiche e del metodo (se d’ispirazione formale-astratta ovvero assiologico-sostanziale) in applicazione del quale far luogo alla loro opportuna messa a punto.
Lo studioso, per suo statuto metodologico, non può sottrarsi all’onere di portare alla luce sia i tratti chiari che quelli scuri dell’oggetto della sua critica osservazione. Vorrei però chiudere questa succinta ed approssimativa analisi con una nota ottimistica, dando dunque particolare risalto soprattutto ai primi, pur non nascondendomi i secondi. Può darsi, infatti, che con l’ulteriore avanzata del processo d’integrazione europea, gli Stati (specie quelli che si considerano “forti”, in grado di aver ancora oggi una missione da compiere al di fuori delle loro mura domestiche)[59] possano essere sollecitati ad attivare gli strumenti di difesa di cui dispongono[60], chiudendosi a riccio ed innalzando una barriera invalicabile da parte delle norme europee (e delle decisioni delle Corti che se ne sono garanti). Non credo però che, alla lunga, si riveli essere questa una strategia vincente; sono piuttosto propenso a credere che verrà sempre di più a prendere piede quella sana competizione al rialzo, a chi è in grado di offrire di più e di meglio al servizio dei diritti, tra Carte e tra Corti, di cui peraltro si hanno molti segni nella giurisprudenza, specie in quella degli anni a noi più vicini. Una competizione che – come si è venuti dicendo – è culturale, ancora prima (o piuttosto che) positiva, e che, nel lungo periodo, può portare all’avvicinamento dei regimi giuridici che stanno a base delle relazioni intersistemiche e delle giurisprudenze, se non pure alla piena omologazione degli uni e ad una piatta, incolore ed inespressiva uniformità degli indirizzi delle seconde, rendendosi in tal modo palese quella “federalizzazione dei diritti” che – come pure si faceva notare – appare essere la prospettiva sempre più concreta, adeguata, del “sistema di sistemi” nell’Europa in formazione.
* Relazione al secondo convegno “V. Aymone” su Sistema penale e fonti sovranazionali: la giurisprudenza delle Corti europee ed il ruolo dell’interprete, Lecce 19-20 aprile 2013, alla cui data lo scritto è aggiornato.
[1] Non adopero qui il termine “ordinamento”, che possiede una valenza più ampia di quella di “sistema”, comprensiva degli elementi istituzionali che lo connotano, non già perché persuaso della improprietà di siffatta qualifica in relazione a ciascuno dei termini della relazione qui fatta oggetto di studio bensì al solo fine di non distaccarmi dal punto di vista adottato dalla giurisprudenza costituzionale, cui – come dirò a momenti – si fa qui specifico riferimento: un punto di vista che, in merito alla CEDU, ha portato – come si sa – a negare, già a partire dalle pronunzie “gemelle” del 2007, la “copertura” a suo beneficio dell’art. 11, difettando in essa – a dire della Consulta – il carattere di “organizzazione” dalla norma costituzionale richiesto, malgrado la seconda di tali pronunzie avesse, in un passaggio del suo articolato ragionamento, per vero esplicitamente ammesso il carattere “istituzionale” della Convenzione (si definisce, infatti, al punto 6.1 del cons. in dir., la CEDU quale “realtà giuridica, funzionale e istituzionale”; e, perciò, viene da dire, sulla scia dell’insegnamento romaniano, un “ordinamento giuridico”). Ammettere poi la proprietà istituzionale della Convenzione – come ad opinione mia e di altri sarebbe giusto, se non altro in considerazione del fatto che essa fa capo al Consiglio d’Europa – non equivale, ovviamente, ad escludere né i tratti peculiari della istituzione in parola né, dunque, la parimenti peculiare natura dei suoi rapporti col diritto interno, secondo quanto qui pure si tenterà per taluni aspetti di mostrare.
[2] Su ciò, per tutti, R. Bifulco, La cooperazione nello Stato unitario composto. Le relazioni intergovernative di Belgio, Italia, Repubblica federale di Germania e Spagna nell’Unione Europea, Padova 1995.
[3] A riguardo della separazione tra una “Costituzione dei diritti” ed una “Costituzione dei poteri”, pertinenti notazioni critiche in M. Luciani, La “Costituzione dei diritti” e la “Costituzione dei poteri”. Noterelle brevi su un modello interpretativo ricorrente, in Scritti in onore di V. Crisafulli, II, Padova 1985, 497 ss.
[4] La giurisprudenza offre numerose testimonianze in tal senso, sia pure non celando non rimosse, vistose incertezze ed oscillazioni. Si pensi, ad es., ai casi in cui si è ammesso il superamento del riparto costituzionale di competenze tra Stato e Regioni in funzione della ottimale salvaguardia dei diritti (per tutte, Corte cost. n. 10 del 2010, relativamente alla istituzione della social card con atto dello Stato, malgrado ne fosse riconosciuta l’afferenza alla materia, di esclusiva spettanza delle Regioni, dei servizi sociali); un superamento che, tuttavia, non è stato consentito in senso inverso, a beneficio cioè di leggi regionali “anticipatrici” di discipline statali carenti (sent. n. 373 del 2010) ovverosia laddove l’intervento regionale, ancorché invasivo di ambiti statali, potesse comunque tradursi in una più “intensa” tutela di un diritto fondamentale (nella specie, la salute) e, in ultima istanza, della dignità della persona umana (sent. n. 325 del 2011): valore, quest’ultimo, al quale qui si assegna uno speciale rilievo anche per ciò che concerne le relazioni intersistemiche fatte oggetto di studio. Per altro verso, la Corte ha decisamente affermato il carattere indisponibile del riparto costituzionale delle competenze tra Stato e Regioni, non superabile neppure in considerazione dell’emergenza economica (sent. n. 39 del 2013, ed ivi richiamo a sentt. nn. 148 e 151 del 2012; ma v., ora, sent. n. 62 del 2013, che riprende e conferma il verdetto espresso nella cit. sent. n. 10 del 2010).
Per restare, poi, al campo di esperienza qui specificamente rilevante, un “bilanciamento” (non paritario…) tra norme sulla normazione e norme sostantive, suscettibile di portare alla messa da canto delle prime, si è ammesso – come si avrà modo di dir meglio più avanti – con specifico riguardo a norme legislative incompatibili con la CEDU, fatte ciononostante salve appunto in quanto idonee ad apprestare un’ancòra più “intensa” tutela ai diritti.
[5] In questi termini ne ho, ancora da ultimo, discorso nel mio L’“intensità” del vincolo espresso dai precedenti giurisprudenziali, con specifico riguardo al piano dei rapporti tra CEDU e diritto interno e in vista dell’affermazione della Costituzione come “sistema”, in www.giurcost.org, 30 gennaio 2013.
Un riferimento alla Costituzione come “sistema” si è di recente avuto in Corte cost. n. 1 del 2013 (relativa al noto caso di conflitto tra il Presidente della Repubblica e la Procura di Palermo), specificamente al piano dell’interpretazione costituzionale (coi suoi immediati riflessi nei giudizi di costituzionalità). Si dice infatti che “la valutazione di conformità alla Costituzione stessa deve essere operata con riferimento al sistema, e non a singole norme, isolatamente considerate. Un’interpretazione frammentaria delle disposizioni normative, sia costituzionali che ordinarie, rischia di condurre, in molti casi, ad esiti paradossali, che finirebbero per contraddire le stesse loro finalità di tutela” (punto 8.1 del cons. in dir.). Poco più avanti (punto 10, cons. in dir.) si fa poi notare che “l’interpretazione meramente letterale delle disposizioni normative, metodo primitivo sempre, lo è ancor più se oggetto della ricostruzione ermeneutica sono le disposizioni costituzionali, che contengono norme basate su principi fondamentali indispensabili per il regolare funzionamento delle istituzioni della Repubblica democratica” (in argomento, per tutti, A. Morelli, La riservatezza del Presidente. Idealità dei principi e realtà dei contesti nella sentenza n. 1 del 2013 della Corte costituzionale, in www.penalecontemporaneo.it, 27 marzo 2013, ed ivi altri riferimenti).
[6] Poiché – come si viene dicendo – i sistemi si strutturano al proprio interno in “subsistemi”, non considero fuor di luogo ragionare qui della Costituzione nella sua interezza quale “nucleo duro” del sistema statale, fermo restando che in seno alla stessa Costituzione da tempo la più avveduta dottrina individua l’esistenza di un “nucleo duro”, costituito dai principi fondamentali che ne danno l’essenza e che, pertanto, sono usualmente considerati intangibili (su ciò, per tutti, A. Spadaro, in molti scritti e, part., in Contributo per una teoria della Costituzione, I, Fra democrazia relativista e assolutismo etico, Milano 1994; AA.VV., Giurisprudenza costituzionale e principî fondamentali. Alla ricerca del nucleo duro delle Costituzioni, a cura di S. Staiano, Torino 2006, e Q. Camerlengo, Contributo ad una teoria del diritto costituzionale cosmopolitico, Milano 2007). A quest’ultimo riguardo, dovrebbero tuttavia, a mia opinione, farsi talune precisazioni, all’esito delle quali gli stessi principi potrebbero trovarsi soggetti a modifiche, sempre che rimanga però integro (e, anzi, viepiù valorizzato) il patrimonio dei valori che ha nei principi la sua prima e più genuina trascrizione positiva (ma di ciò, in altra sede).
[7] Sulla varietà delle qualificazioni delle relazioni interordinamentali e il loro carattere dogmatico, in ragione della scelta dell’ordinamento positivo dal quale ad esse si guarda, v., di recente, A. Schillaci, Diritti fondamentali e parametro di giudizio. Per una storia concettuale delle relazioni tra ordinamenti, Napoli 2012.
[8] Un esempio per tutti, che riprenderò anche più avanti, può vedersi nella “resistenza” che è, sì, opposta da un’agguerrita giurisprudenza comune all’indicazione data dalla giurisprudenza costituzionale a riguardo del divieto di applicazione diretta della CEDU al posto di leggi con essa contrastanti; come tuttavia ci viene, ancora da ultimo, rammentato da una sensibile studiosa (E. Lamarque, L’interpretazione conforme alla CEDU da parte dei giudici comuni, relaz. all’incontro di studio svoltosi a cura del Consiglio Superiore della Magistratura, Formazione Decentrata del Distretto di Milano, l’11 gennaio 2013 su La Corte europea dei diritti dell’uomo: il meccanismo di decisione della CEDU e i criteri d’interpretazione conforme, in paper, che si rifà ad uno studio di I. Carlotto), si tratta di una giurisprudenza assolutamente minoritaria, la gran parte dei giudici piuttosto essendosi prontamente piegata davanti all’indicazione stessa.
[9] Tra i più pronti a rilevare e compiutamente descrivere questa tendenza, v. O. Pollicino, Allargamento ad est dello spazio giuridico europeo e rapporto tra Corti costituzionali e Corti europee. Verso una teoria generale dell’impatto interordinamentale del diritto sovranazionale?, Milano 2010, spec. 451 ss., e O. Pollicino-V. Sciarabba, Tratti costituzionali e sovranazionali delle Corti europee: spunti ricostruttivi, in AA.VV., L’integrazione attraverso i diritti. L’Europa dopo Lisbona, a cura di E. Faletti-V. Piccone, Roma 2010, 125 ss. Più di recente, v. B. Randazzo, Giustizia costituzionale sovranazionale. La Corte europea dei diritti dell’uomo, Milano 2012, e D. Tega, I diritti in crisi. Tra Corti nazionali e Corte europea di Strasburgo, Milano 2012.
[10] Esplicita dichiarazione in tal senso è nell’art. 53 sia della CEDU che della Carta di Nizza-Strasburgo; quanto poi alla nostra Carta costituzionale, allo stesso esito essa sembra voler pervenire, perlomeno a stare ad una certa ricostruzione del punto di vista adottato dalla stessa (su di che, a breve).
[11] Si daranno più avanti alcuni esempi al fine di dare un minimo di concretezza al discorso che si viene ora sommariamente facendo, ricercando in essi quelle conferme di cui la ricostruzione teorica ha comunque bisogno.
[12] Per altro verso, la comune opinione, condivisa – come si sa – dalla giurisprudenza, secondo cui il diritto convenzionale sarebbe maggiormente gravato rispetto al diritto dell’Unione in relazione al parametro costituzionale, in quanto soggetto all’osservanza di ogni norma e non dei soli principi fondamentali della Carta, appare essa pure viziata da palese astrattismo, trascurando il dato elementare, di tutta evidenza, per cui la CEDU, a motivo dei suoi contenuti e del linguaggio a maglie larghe o larghissime con cui essi sono espressi, sembra potersi naturalmente confrontare unicamente con gli enunciati costituzionali ad essa omologhi e perciò, in buona sostanza, coi soli principi. Come si vede, la prospettiva assiologico-sostanziale porta, in molti casi e sotto più aspetti, a rovesciare l’esito teorico-ricostruttivo cui invece fa pervenire la prospettiva formale-astratta d’inquadramento sistematico.
[13] … o, per dir meglio, verso di esse “orientata”: come ci rammenta opportunamente, ancora da ultimo, E. Lamarque, nel suo scritto sopra cit., è prescritto infatti unicamente il verso del percorso interpretativo, mentre – com’è chiaro – non può esserne garantito l’esito.
[14] … le norme self-executing dell’Unione potendo comportare l’immediata “non applicazione” delle norme interne con esse incompatibili, diversamente – ci dice la giurisprudenza costituzionale – delle norme convenzionali, dal contrasto con esse discendendo l’obbligatorio ricorso alla Consulta avverso le statuizioni di legge che se ne rendano responsabili perché siano sanzionate con la tecnica usuale dell’annullamento. È pure da prendere astrattamente in conto l’eventualità che ad esser portate alla cognizione della Corte siano proprio le norme convenzionali, ove si dubiti della loro conformità a Costituzione, come pure è possibile che l’incompatibilità in parola sia motu proprio rilevata dal giudice delle leggi. In ogni caso, come si accennava poc’anzi, sarebbe preclusa al giudice comune la “non applicazione” delle leggi anticonvenzionali, accompagnata dalla contestuale applicazione di queste ultime, a favore della quale si è invece dichiarata certa giurisprudenza comune, col benevolo apprezzamento di alcuni studiosi.
Con riserva di ulteriori precisazioni sul punto che si faranno più avanti, segnalo al momento quanto sia singolare il fatto che la Corte non si sia finora mai interrogata a riguardo della sostanziale coincidenza di norme CEDU e di norme della Carta di Nizza-Strasburgo, le quali ultime, una volta qualificate come self-executing, potrebbero richiedere di essere portate subito ad applicazione (sempre che, ovviamente, il caso ricada in ambito materiale dell’Unione), portando seco dunque anche le corrispondenti norme convenzionali.
[15] Ovvio il riferimento allo scritto di P. Barile apparso su Giur. cost. del 1973, 2406 ss.
[16] … specificamente valevole per risolvere le antinomie tra leggi nazionali sopravvenienti ed incompatibili col diritto sovranazionale; nel caso inverso, di sopravvenienza del secondo rispetto alle prime, si è – come si sa – ammessa l’abrogazione di queste da parte di quello, sempre che materialmente possibile, il sindacato accentrato restando comunque riservato alle antinomie con norme sovranazionali prive dell’attitudine all’immediata applicazione.
[17] Si pensi solo a quante norme di legge sono invece ogni anno caducate per violazione di questo o quel principio, a partire da quello di eguaglianza.
Un’applicazione della dottrina dei “controlimiti” – ma nei rapporti con la CEDU, non già nei riguardi del diritto dell’Unione – si è vista (G. Scaccia, “Rottamare” la teoria dei controlimiti?, in Quad. cost., 1/2013, 145) in Corte cost. n. 264 del 2012 (su cui infra). Come si è tentato di mostrare in altri luoghi e qui pure si viene dicendo, ciò che non persuade della dottrina in discorso è la configurazione teorica dei “controlimiti” quali… limiti per sistema valevoli all’affermazione in ambito interno del diritto eurounitario, la quale può, invece, ora ugualmente aversi, malgrado la violazione dei limiti in parola, ed ora invece non aversi, all’esito pur sempre di operazioni di ponderazione assiologica volte alla ricerca dell’ottimale salvaguardia, alle condizioni oggettive di contesto, dei diritti (e, più in genere, dei beni) costituzionali in gioco.
[18] Per questo verso, l’Italia si è, nei fatti, dimostrata tra i più “europeisti” Stati dell’Unione, diversamente da altri che ora hanno posto condizioni gravose all’ingresso in ambito interno degli atti dell’Unione stessa ed ora l’hanno talora impedito, non facendosi cura degli effetti di sistema, di ordine istituzionale e normativo assieme, derivanti da siffatta opzione.
[19] In questi termini se ne discorre nel mio Trattato costituzionale, europeizzazione dei “controlimiti” e tecniche di risoluzione delle antinomie tra diritto comunitario e diritto interno (profili problematici), in AA.VV., Giurisprudenza costituzionale e principî fondamentali, cit., 827 ss.
[20] Resta nondimeno non chiarito se, in caso di denunzia della violazione dell’art. 4, cit., il riconoscimento della supposta violazione dei principi di struttura degli Stati membri resti sostanzialmente riservato agli Stati stessi (e, in tal caso, a quale dei suoi organi) ovvero se il finale apprezzamento competa alla Corte dell’Unione. Non è, ad ogni buon conto, senza significato che non si dia alcun meccanismo formale di collegamento tra Corti attivabile in ambito sovranazionale, una sorta – per dir così – di rinvio pregiudiziale discendente. Tutto ciò posto, è fuor di dubbio che la Corte di giustizia non possa comunque non tenere nel dovuto conto gli orientamenti della giurisprudenza nazionale, pur potendone variamente operare le selezioni più opportune in ragione dei casi (in argomento, ora l’ampio saggio di B. Guastaferro, Beyond the Exceptionalism of Constitutional Conflicts: The Ordinary Functions of the Identity Clause, in Yearbook of European Law, 1/2012, 263 ss.).
[21] Su Il patrimonio costituzionale europeo, ricordo qui solo, con questo titolo, il noto saggio monografico di A. Pizzorusso (Bologna 2002).
[22] Mi sono più volte dichiarato (di recente, ne Il futuro dei diritti fondamentali: viaggio avventuroso nell’ignoto o ritorno al passato?, in www.federalismi.it, 4/2013) nel senso appena indicato nel testo, ritenendo essere la dignità l’autentico valore fondante l’intero ordinamento, anche nelle sue proiezioni interordinamentali, il punto fermo dal quale tutti i valori si tengono ed al quale fa pertanto capo ogni operazione di ponderazione assiologica.
[23] Si pensi solo ai diktat imposti dall’Unione agli Stati (specie ad alcuni, in stato di palese sofferenza ed a rischio default) e volti a mettere finalmente ordine nei conti pubblici.
[24] Da tempo si discorre al riguardo di una “sovranità condivisa” tra Unione e Stati (così, di recente, F. Paterniti, Legislatori regionali e legislazione europea. Le prospettive delle Regioni italiane nella fase ascendente di formazione del diritto dell’Unione europea dopo il Trattato di Lisbona, Milano 2012, 241 ss.), sulla base di un riparto materiale di competenze che ha nei trattati la sua prima e sia pur approssimativa definizione ma che poi riceve ogni giorno nell’esperienza (e per le sue più salienti esigenze) la sua concreta messa a punto. La qual cosa mostra quanto sia arduo stabilire, ancorché in modo largamente approssimativo, la consistenza effettiva del riparto in parola, soggetto ad un’accentuata fluidità nella quale si specchia e risolve la mobile combinazione degli interessi nazionali e sovranazionali nella loro storicizzazione complessiva.
[25] Il punto ha animato un fitto e ad oggi non finito dibattito; poco approfondita, tuttavia, appare la questione relativa al criterio in applicazione del quale si possa, ancorché in modo approssimativo, misurare il grado (l’“intensità”, appunto) della tutela data da questa o quella norma (o da questo o quel sistema di norme) ai diritti [indicazioni in O. Pollicino, Margini di apprezzamento, art. 10, c. 1, Cost. e bilanciamento “bidirezionale”: evoluzione o svolta nei rapporti tra diritto interno e diritto convenzionale nelle due decisioni nn. 311 e 317 del 2009 della Corte costituzionale?, in www.forumcostituzionale.it; AA.VV., Corti costituzionali e Corti europee dopo il Trattato di Lisbona, a cura di M. Pedrazza Gorlero, Napoli 2010; AA.VV., The National Judicial Treatment of the ECHR and EU Laws. A Comparative Constitutional Perspective, a cura di G. Martinico e O. Pollicino, Groningen 2010; AA.VV., Le garanzie giurisdizionali. Il ruolo delle giurisprudenze nell’evoluzione degli ordinamenti. Scritti degli allievi di Roberto Romboli, a cura di G. Campanelli-F. Dal Canto-E. Malfatti-S. Panizza-P. Passaglia-A. Pertici, Torino 2010; R. Conti, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il ruolo del giudice, Roma 2011, e, dello stesso, da ultimo, Gerarchia fra Corte di Giustizia e Carta di Nizza-Strasburgo? Il giudice nazionale (doganiere e ariete) alla ricerca dei “confini” fra le Carte dei diritti dopo la sentenza Åklagaren (Corte Giust., Grande Sezione, 26 febbraio 2013, causa C-617-10), in www.diritticomparati.it,, 5 marzo 2013; G. Repetto, Argomenti comparativi e diritti fondamentali in Europa. Teorie dell’interpretazione e giurisprudenza sovranazionale, Napoli 2011; AA.VV., Lo strumento costituzionale dell’ordine pubblico europeo. Nei sessant’anni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (1950-2010), a cura di L. Mezzetti e A. Morrone, Torino 2011; A. Randazzo, Alla ricerca della tutela più intensa dei diritti fondamentali, attraverso il “dialogo” tra le Corti, in AA.VV., Corte costituzionale e sistema istituzionale, a cura di F. Dal Canto-E. Rossi, Torino 2011, 313 ss.; L. Cappuccio, Differenti orientamenti giurisprudenziali tra Corte EDU e Corte costituzionale nella tutela dei diritti, in AA.VV., La “manutenzione” della giustizia costituzionale. Il giudizio sulle leggi in Italia, Spagna e Francia, a cura di C. Decaro-N. Lupo-G. Rivosecchi, Torino 2012, 65 ss.; G. Martinico-O. Pollicino, The Interaction between Europe’s Legal Systems. Judicial Dialogue and the Creation of Supranational Laws, Cheltenham (Gran Bretagna) – Northampton (Stati Uniti d’America) 2012; V. Manes, I principi penalistici nel network multilivello: trapianto, palingenesi, cross-fertilization, in Riv. it. dir. proc. pen., 3/2012, 839 ss., spec. 866 ss.; AA.VV., Diritti, principi e garanzie sotto la lente dei giudici di Strasburgo, a cura di L. Cassetti, Napoli 2012; D. Tega, I diritti in crisi, cit.; A. Cardone, La tutela multilivello dei diritti fondamentali, Milano 2012; A. Guazzarotti, I diritti sociali nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1/2013, 9 ss.; P. Caretti, I diritti e le garanzie, relaz. al Convegno dell’AIC su Costituzionalismo e globalizzazione, Salerno 23-24 novembre 2012, in www.rivistaaic.it e, pure ivi, 2/2013, V. Baldini, Tutela interna e tutela internazionale dei diritti umani tra sovranità democratica e Jurisdiktionstaat (i limiti della Völkerrechtsfreundlichkeit nell’ordinamento costituzionale italiano); N. Parisi, Tecniche di costruzione di uno spazio penale europeo. In tema di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie e di armonizzazione delle garanzie procedurali, in Studi sull’integrazione europea, 1/2012, 33 ss., spec. 53 ss.].
[26] Altrimenti lo stesso art. 117, I c., non avrebbe potuto essere considerato passibile di bilanciamento con norme costituzionali sostantive e, se del caso, qualificato come recessivo in una data esperienza processuale, così come invece risolutamente affermato da Corte cost. n. 317 del 2009. In realtà, come si è tentato di mostrare altrove, nessuna violazione in tesi può aversi del disposto costituzionale ora richiamato per il caso che si dia la preminenza ad una norma di legge incompatibile con la Convenzione che tuttavia faccia rispetto a questa progredire la tutela dei diritti, dal momento che è proprio la Convenzione stessa a dichiarare di non voler valere ogni qual volta in ambito interno sia offerta una più “intensa” salvaguardia ai diritti. La qual cosa tuttavia non esclude che la valutazione circa la fonte idonea ad apprestare la miglior tutela possa divergere, rispettivamente, in ambito nazionale ed in ambito sovranazionale, dal momento che in quest’ultimo l’applicazione di legge contraria a Convenzione potrebbe essere poi sanzionata, giudicandosi essere maggiormente avanzata la tutela apprestata ai diritti dalla Convenzione stessa. I punti di vista, insomma, possono, come sappiamo, essere non coincidenti. Si tratta poi di vedere quale “seguito” potrebbe avere in ambito interno una pronunzia della Corte EDU che sostanzialmente si discosti, per contenuti ed orientamento, da precedente pronunzia di Corte nazionale: una sorta di ping pong – come si vede – che potrebbe non avere mai fine, ciascuno dei giocatori in campo ribattendo colpo su colpo e rimandando dunque, senza mai sbagliare (o ritenendo di non sbagliare…), la palla nel campo avverso.
[27] … a giudizio della Consulta spendibile, come si è rammentato, a beneficio del solo diritto dell’Unione, non pure del diritto convenzionale.
[28] … quale, per espresso riconoscimento della giurisprudenza costituzionale, l’art. 10, I c., con specifico riguardo a norme convenzionali “razionalizzatrici” di norme generalmente riconosciute della Comunità internazionale; nel qual caso, le une norme verrebbero naturalmente ad innalzarsi dalla loro condizione “subcostituzionale” per assumere rango “paracostituzionale” (o costituzionale tout court). La qual cosa è poi la più lampante riprova del fatto, sul quale non mi stancherò di richiamare l’attenzione, per cui la forza non è già delle fonti ut sic bensì delle loro norme, variando in ragione del rapporto che esse intrattengono coi fini-valori fondamentali dell’ordinamento, vale a dire della “qualità” assiologica – mi piace qui nuovamente dire, rifacendomi al mio primo studio monografico in tema di fonti – di cui le norme stesse sono dotate, indipendentemente appunto dalla forma di cui si rivestono o dal grado assegnato agli atti che le contengono. Di modo che il sistema, nelle mobili combinazioni degli elementi di cui si compone, appare essere appunto sistema di norme, non già di fonti (su ciò, ancora di recente, il mio Sistema di fonti o sistema di norme? Le altalenanti risposte della giurisprudenza costituzionale, in www.diritticomparati.it, 22 novembre 2012, e www.giurcost.org, 22 novembre 2012).
[29] Non entrando, poi, le norme tra di loro in conflitto, la individuazione di quella di esse che appaia buona per il caso può, a mia opinione, considerarsi esser di spettanza del giudice comune, il giudice costituzionale dovendo, per sua stessa ammissione, essere chiamato in campo unicamente laddove si assuma esservi conflitto (ragguagli sul punto, nel mio Costituzione e CEDU, alla sofferta ricerca dei modi con cui comporsi in “sistema”, in www.europeanrights.eu, 20 aprile 2012 e in www.giurcost.org, 21 aprile 2012, spec. al § 4).
[30] Non del tutto in asse con questa indicazione teorica appare tuttavia essere la recente pronunzia della Corte di giustizia sul caso Melloni (Grande Sezione, 25 febbraio 2013, spec. ai punti 57 ss.) che, in nome del principio del primato del diritto dell’Unione (e, perciò, della sua uniforme applicazione), si è dichiarata contraria alla mancata attuazione del diritto stesso pur laddove ciò parrebbe giustificarsi con la maggiore salvaguardia dei diritti riconosciuti dalla Carta. Resta nondimeno in facoltà degli organi statali preposti all’attuazione del diritto dell’Unione – precisa la decisione de qua (60) – “applicare gli standard nazionali di tutela dei diritti fondamentali, a patto che tale applicazione non comprometta il livello di tutela previsto dalla Carta, come interpretata dalla Corte, né il primato, l’unità e l’effettività del diritto dell’Unione”. Si tratta, nondimeno, di chiedersi se (e fino a che punto) siffatta presa di posizione si concilii con la previsione di cui all’art. 4 del trattato di Lisbona, che vuole scrupolosamente osservati i principi di struttura degli Stati membri dell’Unione, con specifico riguardo alla salvaguardia (la più “intensa” possibile, appunto) dei diritti inviolabili dell’uomo, nel suo fare “sistema” col principio di eguaglianza e coi principi restanti [ulteriori precisazioni sul punto nel mio La Corte di giustizia, il primato incondizionato del diritto dell’Unione e il suo mancato bilanciamento col valore della salvaguardia dei principi di struttura degli ordinamenti nazionali nel loro fare “sistema” (nota minima a Corte giust., Grande Sez., 26 febbraio 2013, in causa C-399/11, Melloni c. Ministerio Fiscal), in www.diritticomparati.it, 2 aprile 2013; pure ivi, A. Di Martino, Mandato d’arresto europeo e primo rinvio pregiudiziale del TCE: la via solitaria della Corte di giustizia; J. Morijn, Akeberg and Melloni: what the ECJ said, did and may have left open, tratto da eutopialaw.com, 14 marzo 2013, e R. Conti, Da giudice (nazionale) a giudice (eurounitario). A cuore aperto dopo il caso Melloni, 5 aprile 2013]. Non ci si meravigli, dunque, se alcune reazioni, anche particolarmente vistose, quale quella delle Corti polacca e ceca (e, su di esse, l’accurato studio di O. Pollicino, Qualcosa è cambiato? La recente giurisprudenza delle Corti costituzionali dell’est vis-à-vis il processo di integrazione europea, in Dir. Un. Eur., 4/2012, 765 ss.), registratesi avverso talune prese di posizione della Corte dell’Unione, dovessero prima o poi contagiare anche le più caute Corti dell’Ovest.
[31] Molto chiara in tal senso è soprattutto Corte cost. n. 264 del 2012 [e, su di essa, se si vuole, la mia nota La Consulta rimette abilmente a punto la strategia dei suoi rapporti con la Corte EDU e, indossando la maschera della consonanza, cela il volto di un sostanziale, perdurante dissenso nei riguardi della giurisprudenza convenzionale (“a prima lettura” di Corte cost. n. 264 del 2012), in www.diritticomparati.it, 14 dicembre 2012, e www.giurcost.org, 17 dicembre 2012, nonché, ora, M. Massa, La sentenza n. 264 del 2012 della Corte costituzionale: dissonanze tra le corti sul tema della retroattività, in Quad. cost., 1/2013, 137 ss.].
[32] Ovviamente, può anche darsi il caso che, persino nel raffronto tra norma costituzionale e norma legislativa, si riscontri che sia proprio la seconda ad essere ancora più avanzata della prima al piano della tutela. La Corte costituzionale, per ragioni che pure è agevole comprendere, è invero restìa ad ammettere che una legge comune possa rendere un servizio ancora più adeguato di quello della stessa Costituzione ai diritti. Ogni evenienza è, nondimeno, possibile; semmai, ci si può chiedere (ma in sede diversa da questa) se il riconoscimento di nuovi diritti ovvero l’allestimento di garanzie ulteriori e più efficaci di quelle apprestate dalla Carta per come oggi vigente richieda l’obbligatorio ricorso alla legge costituzionale ovvero se possa aversi omisso medio con atto comune di normazione: è l’annosa questione della disciplina a prima battuta della c.d. “materia costituzionale”, la cui nozione è ad oggi oggetto di non finite discussioni (pochi dubbi nondimeno dovrebbero, a mia opinione, aversi a riguardo del fatto che la disciplina dei diritti fondamentali, specificamente per ciò che concerne il loro riconoscimento, attenga alla materia stessa, della quale anzi costituisce il cuore pulsante, secondo la magistrale, attualissima indicazione contenuta nell’art. 16 della Dichiarazione del 1789).
[33] Analogamente, il giudice sovranazionale muove dall’ordinamento (o dal sistema) di appartenenza per quindi volgersi agli ordinamenti nazionali (specie al fine della ricognizione delle loro “tradizioni costituzionali comuni”) e finalmente tornare all’ordinamento (o sistema) stesso, laddove il materiale attinto ab extra viene fatto oggetto di originale rielaborazione e combinazione coi materiali di tipica fattura sovranazionale.
[34] Un buon riscontro di questa indicazione metodica si è di recente avuto con la sent. n. 7 del 2013, annotata da V. Manes, La Corte costituzionale ribadisce l’irragionevolezza dell’art. 569 c.p. ed aggiorna la “dottrina” del “parametro interposto” (art. 117, comma primo, Cost.), in www.penalecontemporaneo.it.
[35] Una eventualità, questa, tuttavia per vero assai rara (perlomeno, così dovrebbe essere secondo modello), a motivo del linguaggio a maglie larghe (o larghissime) di cui sono fatte le Carte, che le rende estremamente malleabili e disponibili alla loro reciproca, incessante alimentazione e rigenerazione.
[36] Non importa poi se la Costituzione stessa si dichiara esser, pressoché in ogni sua parte o norma (eccezion fatta dei soli principi), “cedevole” all’impatto con talune norme di origine esterna (norme internazionali consuetudinarie, concordatarie, “eurounitarie”), riducendosi il parametro che ha da essere rispettato da tali norme unicamente al “nucleo duro” della legge fondamentale della Repubblica, ovvero se il parametro stesso si espande e distende per l’intera Carta all’incontro con altre norme ancora (e, segnatamente, con quelle internazionali pattizie). Ciò che solo conta – come si faceva poc’anzi notare – è che nella Costituzione, e solo in essa, è, dal nostro punto di vista, il fondamento delle relazioni intersistemiche e, dunque, in buona sostanza, il “luogo” in cui si fa e senza sosta rinnova il “sistema dei sistemi”.
[37] Riprendo qui, in tema di rapporti tra certezza del diritto in senso oggettivo e certezza dei diritti soggettivi, una riflessione che ho svolto a commento di Corte cost. n. 113, cit.: v., dunque, il mio Il giudicato all’impatto con la CEDU, dopo la svolta di Corte cost. n. 113 del 2011 … ovverosia quando la certezza del diritto è obbligata a cedere il passo alla certezza dei diritti, in www.rivistaaic.it, 2/2011, e in Legisl. pen., 2/2011, 481 ss. La decisione ha – come si sa – animato un fitto dibattito, i cui termini essenziali possono ora vedersi nell’ampia e documentata trattazione di V. Sciarabba, Il giudicato e la CEDU. Profili di diritto costituzionale, internazionale e comparato, Padova 2012.
[38] Ad es., in Corte cost. n. 236 del 2011 e 264 del 2012, cit.
[39] Su di che, di recente, M. Fyrnys, Expanding Competences by Judicial Lawmaking: The Pilot Judgment Procedure of the European Court of Human Rights, in German Law Journal, 2011, 1231 ss.; B. Randazzo, Giustizia costituzionale sovranazionale, cit., 123 ss.; D. Tega, I diritti in crisi, cit., 105 ss.; F. Gallo, Rapporti fra Corte costituzionale e Corte EDU. Bruxelles 24 maggio 2012, in www.rivistaaic.it, 1/2013, spec. § 3.
[40] Su ciò, per tutti, R. Conti, Convergenze (inconsapevoli o… naturali) e contaminazioni tra giudici nazionali e Corte EDU: a proposito del matrimonio di coppie omosessuali, in Corr. giur., 4/2011, 579 ss. e, dello stesso, Il diritto alla vita nella giurisprudenza delle Alte Corti, in www.europeanrights.eu. Infine, G. Raimondi, La controversa nozione di Consensus e le recenti tendenze della giurisprudenza della Corte di Strasburgo in riferimento agli articoli 8-11 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, relaz. all’incontro su La Corte europea dei diritti dell’uomo: il meccanismo di decisione della CEDU e i criteri d’interpretazione conforme, cit.
[41] Mi rifaccio qui ad una nota indicazione di O. Pollicino, che ne ha ripetutamente discorso (ad es., in Corti europee e allargamento dell’Europa: evoluzioni giurisprudenziali e riflessi ordinamentali, in Dir. Un. Eur., 2009, 1 ss., e spec. in La Corte europea dei diritti dell’uomo dopo l’allargamento del Consiglio D’Europa ad Est: forse più di qualcosa è cambiato, in AA.VV., Le scommesse dell’Europa. Diritti, Istituzioni, Politiche, a cura di G. Bronzini-F. Guarriello-V. Piccone, Roma 2009, 101 ss., e quindi, diffusamente, in Allargamento ad est dello spazio giuridico europeo e rapporto tra Corti costituzionali e Corti europee, cit.).
[42] Lo stesso Presidente della Corte Quaranta ha tenuto a rammentare nel corso della sua conferenza di fine anno relativa al 2011 che alla Corte spetta di “valutare come ed in qual misura il prodotto dell’interpretazione della Corte europea si inserisca nell’ordinamento costituzionale italiano”.
[43] Ha invitato a fermare l’attenzione sul punto, part., E. Lamarque, Gli effetti delle sentenze della Corte di Strasburgo secondo la Corte costituzionale italiana, in Corr. giur., 7/2010, 955 ss., spec. 961.
[44] V., spec., la già più volte cit. sent. n. 264 del 2012.
[45] … posto che è ormai provato che costano tutti [arg. ex art. 117, II c., lett. m)].
[46] Il dato è di comune acquisizione: di recente e per tutti, I. Ciolli, I diritti sociali, in AA.VV., Il diritto costituzionale alla prova della crisi economica, a cura di F. Angelini e M. Benvenuti, Napoli 2012, 83 ss., e lett. ivi.
[47] Il punto è diffusamente toccato nelle analisi più recenti: indicazioni di vario segno, tra gli altri, in F. Giuffrè, Unità della Repubblica e distribuzione delle competenze nell’evoluzione del regionalismo italiano, Torino 2012, nonché negli studi di S. Mangiameli ora riuniti in Le Regioni italiane tra crisi globale e neocentralismo, Milano 2013, e in F. Covino, Le autonomie territoriali, in AA.VV., Il diritto costituzionale alla prova della crisi economica, cit., 333 ss.; nell’op. coll appena cit., per una riflessione di sintesi a riguardo del modo con cui la giurisprudenza costituzionale si è posta (e si pone) davanti alla crisi, v. M. Benvenuti, La Corte costituzionale, 375 ss.
[48] Maggiori ragguagli sul punto possono, volendo, aversi dal mio Unità-indivisibilità dell’ordinamento, autonomia regionale, tutela dei diritti fondamentali, in www.giurcost.org, 26 aprile 2011, nonché in Nuove aut., 1/2011, 25 ss.
[49] … a riguardo della quale si segnala la pronunzia dell’11 febbraio di quest’anno con cui è stata respinta la richiesta di deferimento alla Grande Camera avverso la sentenza della Seconda Sezione del 28 agosto 2012 (Costa e Pavan c. Italia, n. 54270/10), che è pertanto divenuta definitiva, sentenza che ha dato modo alle coppie fertili portatrici di patologie trasmissibili ai figli di accedere alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita, in spregio del divieto al riguardo posto dalla legge 40 del 2004 (per un primo commento, A. Vallini, Diagnosi preimpianto: respinta la richiesta di rinvio alla Gran Camera CEDU avanzata dal Governo italiano nel caso Costa e Pavan contro Italia, in www.penalecontemporaneo.it, 18 febbraio 2013; sulla pronunzia della Seconda Sezione, tra i molti commenti, F. Vari, Considerazioni critiche a proposito della sentenza Costa et Pavan della II Sezione della Corte EDU, in www.rivistaaic.it, 1/2013; pure ivi, infine, C. Nardocci, La Corte di Strasburgo riporta a coerenza l’ordinamento italiano, fra procreazione artificiale e interruzione volontaria di gravidanza. Riflessioni a margine di Costa e Pavan c. Italia).
[50] Su di che, ora, la pronunzia della IV Sez. della Corte EDU (Eweida ed altri c. Regno Unito) del 15 gennaio 2013 (ricorsi nn. 48420/10, 59842/10, 51671/10 e 36516/10), relativamente all’uso dei simboli in parola nei luoghi di lavoro (e su di essa la nota di E. Sorda, Eweida and others v. The United Kingdom, ovvero quando fede e lavoro non vanno d’accordo e il “margine di apprezzamento” non aiuta a chiarire le cose, in www.diritticomparati.it, 4 marzo 2012).
[51] Una particolarmente espressiva conferma di quanto si viene dicendo nel testo ci è stata di recente offerta dalla pronunzia della Grande Camera del 19 febbraio scorso (X ed altri c. Austria, n. 19010/07, e su di essa l’accurato commento di R. Conti, Pensieri sparsi, a prima lettura, su una sentenza della Corte dei diritti umani in tema di adozione di coppie dello stesso sesso e sull’efficacia delle sentenze di Strasburgo–GC, 19 febbraio 2013, X e altri c. Austria, in corso di stampa in Quest. giust., nonché la nota di A.M. Lecis Cocco-Ortu, La Corte europea pone un altro mattone nella costruzione dello statuto delle unioni omosessuali: le coppie di persone dello stesso sesso non possono essere ritenute inidonee a crescere un figlio, in www.forumcostituzionale.it, 15 marzo 2013) con la quale, per un verso, è stato riconosciuta la contrarietà a Convenzione del divieto di adozione fatto a persona omosessuale nei riguardi dei figli del partner, mentre, per un altro verso, è stato confermato il principio, già enunciato in Gas e Dubois c. Francia, secondo cui non è imposto alle legislazioni nazionali di prevedere espressamente la facoltà di adozione per le coppie non coniugate.
[52] Maggiore, come si sa, quello degli Stati aderenti alla Convenzione rispetto a quello degli Stati membri dell’Unione. Sulle implicazioni che possono aversene, anche – per ciò che qui più da presso importa – in ordine agli sviluppi giurisprudenziali, mi parrebbe opportuno un supplemento di riflessione.
[53] Maggiori ragguagli su ciò nel mio Il futuro dei diritti fondamentali, cit., spec. al § 6.
[54] … tanto al piano delle relazioni delle Corti europee inter se, quanto a quello dei rapporti con le Corti nazionali.
[55] Di qui il cruciale rilievo della comparazione in ordine alla incessante messa a punto delle relazioni intersistemiche (su ciò, tra gli altri, G. de Vergottini, Oltre il dialogo tra le Corti. Giudici, diritto straniero, comparazione, Bologna 2010; AA.VV., The National Judicial Treatment of the ECHR and EU Laws, cit.; AA.VV., Human Rights Protection in the European Legal Order: the Interaction between the European and the National Courts, a cura di P. Popelier-C. Van De Heyning-P. Van Nuffel, Cambridge 2011; G. Repetto, Argomenti comparativi e diritti fondamentali in Europa, cit.; A.M. Lecis Cocco Ortu, La comparaison en tant que méthode de détermination du standard de protection des droits dans le système CEDH, in www.rivistaaic.it, 4/2011; P. Gori, La rilevanza del diritto comparato nelle decisioni della CEDU, relaz. all’incontro di studio su La Corte europea dei diritti dell’uomo: il meccanismo di decisione della CEDU e i criteri d’interpretazione conforme, cit. Altri riferimenti in S. Ninatti, Ai confini dell’identità costituzionale. Dinamiche familiari e integrazione europea, Torino 2012).
[56] Su ciò, con varietà di toni e di orientamento, tra gli altri, R. Conti, che vi ha insistito a più riprese (e, part., ne La Convenzione europea dei diritti dell’uomo, cit.); E. Lamarque, Corte costituzionale e giudici nell’Italia repubblicana, Roma-Bari 2012 e, ora, con specifico riguardo alla materia penale, V. Manes, Il giudice nel labirinto. Profili delle intersezioni tra diritto penale, Roma 2012.
[57] Anche per quest’aspetto, si coglie la diversa natura riconosciuta in ambito interno alle pronunzie delle due Corti europee: quelle del giudice dell’Unione ponendosi quali vere e proprie fonti del diritto (come s’è veduto, di rango “paracostituzionale”), natura di cui sono invece prive quelle della Corte di Strasburgo; eppure, non si dimentichi che anche di queste ultime s’è di recente discorso come di un “novum” quodammodo assimilabile a quello che è proprio degli atti di normazione stricto sensu (sent. n. 150 del 2012, e, su di essa, tra i molti commenti, G. Repetto, Corte costituzionale, fecondazione eterologa e precedente CEDU “superveniens”: i rischi dell’iperconcretezza della questione di legittimità costituzionale, in Giur. cost., 3/2012, 2069 ss., e R. Romboli, Lo strumento della restituzione degli atti e l’ordinanza 150/2012: il mutamento di giurisprudenza della Corte Edu come ius superveniens e la sua incidenza per la riproposizione delle questioni di costituzionalità sul divieto di inseminazione eterologa, in www.giurcost.org, 26 febbraio 2013, e lett. ivi).
[58] Tra gli altri, G.F. Ferrari, Rapporti tra giudici costituzionali d’Europa e Corti europee: dialogo o duplice monologo?, in AA.VV., Corti nazionali e Corti europee, a cura dello stesso F., Napoli 2006, VII ss.; G. de Vergottini, Oltre il dialogo tra le Corti, cit.; S. Troilo, (Non) di solo dialogo tra i giudici vivranno i diritti? Considerazioni (controcorrente?) sui rapporti tra le Corti costituzionali e le Corti europee nel presente sistema di tutela multilivello dei diritti fondamentali, in www.forumcostituzionale.it.; D. Tega, I diritti in crisi, cit.
[59] Si pensi, ad es., ai paletti eretti dalla giurisprudenza di Karlsruhe all’avanzata del processo d’integrazione europea, ben diversi dai “controlimiti” astrattamente enunciati ma – come s’è veduto – mai fatti valere da parte del nostro giudice delle leggi.
[60] Armi che, tuttavia, giudico arcaiche, per non dire che sono dei veri e propri ferri arrugginiti, a fronte di una interdipendenza economica (e non solo…) che va persino oltre le pur larghe barriere dell’Europa in costruzione. La qual cosa dovrebbe obbligare ad estendere l’analisi al senso stesso di categorie quali sovranità, Stato e, in ultima istanza, Costituzione; ciò che, tuttavia, non è evidentemente qui possibile (nella ormai nutrita lett. sul punto richiamo qui solo A. Morrone, Teologia economica v. Teologia politica? Appunti su sovranità dello Stato e “diritto costituzionale globale”, in Quad. cost., 4/2012, 829 ss., e riferimenti ivi). Mi limito solo a far notare di sfuggita che il modello, già altrove patrocinato, di un ordine costituzionale “intercostituzionale” – come mi è parso giusto chiamarlo –, qui pure ripreso, con specifico riguardo alle vicende del circolo interpretativo anche nelle sue proiezioni intersistemiche, può caricare di nuovi significati l’idea di Costituzione, rigenerarla, darvi modo di affermarsi proprio grazie al suo aprirsi alle Carte dei diritti, attingendo da esse quanto di più e di meglio sono in grado di offrire al servizio dei bisogni elementari dell’uomo.