C’è un giudice ad Arusha: il tentativo della Corte africana di ristabilire la democrazia costituzionale tunisina
Il 22 settembre la Corte africana dei diritti dell’uomo e dei popoli (d’ora in avanti Corte africana) ha emesso una importante pronuncia in merito ai recenti sviluppi costituzionali tunisini.
Pronunciandosi in merito al ricorso individuale presentato il 21 ottobre 2021 dall’avvocato, Ibrahim Ben Mohamed Ben Ibrahim Belghuith, l’organo giurisdizionale internazionale ha condannato la deriva autoritaria del Paese. Dall’agosto del 2021 il Presidente della Repubblica Kaïs Saïed ha infatti promosso una serie di misure che hanno lentamente eroso la democrazia costituzionale tunisina. Basti in questa sede ricordare le tappe principali dell’involuzione in senso illiberale del Paese: il 25 luglio 2021 il Presidente della Repubblica ha destituito il Primo ministro e sospeso l’attività del Parlamento, invocando l’art. 80 della Costituzione che consente al Capo dello Stato di adottare misure eccezionali dinnanzi ad un pericolo imminente per le istituzioni nazionali, la sicurezza e l’indipendenza dello Stato; il 22 settembre 2021 il Presidente della Repubblica ha emanato il decreto presidenziale n. 117 che ha istituito una nuova costituzione dei poteri, per cui l’attività legislativa viene esercitata tramite decreti presidenziali e la Costituzione del 2014 viene sospesa, ad eccezione del preambolo e dei Capitoli I e II dedicati ai diritti e alle libertà e di tutte le disposizioni che non sono in contrasto con il predetto decreto; il 25 luglio 2022 il popolo tunisino è stato chiamato a votare tramite referendum un nuovo testo costituzionale, elaborato da un comitato ad hoc, di nomina presidenziale, che ha consolidato ulteriormente l’involuzione in senso illiberale.
In virtù della dichiarazione sottoscritta dalla Tunisia nel 2017 ex art. 34(6) del Protocollo istitutivo della Corte africana che consente l’accesso diretto all’organo giurisdizionale da parte di individui e ONG, l’avvocato Ibrahim Ben Mohamed Ben Ibrahim Belghuith ha sottoposto i decreti presidenziali emanati nel 2021 al vaglio della Corte africana ed è significativo che il Giudice di Arusha si sia pronunciato a riguardo, emanando così una importante sentenza politica il cui impatto si propaga ben al di là dei confini tunisini.
Alla base del ricorso, vi è una asserita violazione da parte dello Stato tunisino di numerosi diritti sanciti dalla Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, nonché da altri trattati internazionali, quali il Patto internazionale sui diritti civili e politici, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e la Carta africana per la democrazia, le elezioni e la governance. Ad avviso del ricorrente, infatti, l’emanazione dei decreti presidenziali n. 117, 69, 80, 109, 137 e 138 del 2021 ha comportato una violazione del principio di autodeterminazione dei popoli (art. 20 della Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli), del diritto di partecipare agli affari pubblici del Paese (art. 13 della Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli), del diritto a sviluppare i valori democratici e i diritti umani (artt. 2, 3, 4, 5, 10, 11, 14 e 15 della Carta africana per la democrazia, le elezioni e la governance), del diritto di beneficiare delle garanzie dei diritti dell’uomo (art. 1 della Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli) e del diritto di accesso alla giustizia (art. 7 della Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli).
Rivolgendosi alla Corte, il ricorrente chiede l’emanazione di misure provvisorie che consentano il ritorno alla democrazia costituzionale.
Prima di pronunciarsi sul merito del ricorso, la Corte rigetta le argomentazioni dello Stato convenuto circa l’irricevibilità del ricorso. Lo Stato tunisino aveva infatti avanzato le seguenti tre motivazioni a riguardo: 1) il mancato esperimento delle vie di ricorso interno da parte del ricorrente; 2) il fatto che l’oggetto del ricorso riguardasse il principio di autodeterminazione dei popoli; 3) il fatto che la competenza della Corte si limiterebbe ad asserite violazioni riguardanti la pace e la sicurezza internazionale ai sensi del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.
Circa le asserite violazioni della Carta africana per la democrazia, le elezioni e la governance, la Corte africana dichiara la sua incompetenza a pronunciarsi nel merito, sulla base del fatto che la Tunisia non ha ratificato tale trattato.
La Corte afferma però la sua competenza a pronunciarsi su ricorsi inerenti ad asserite violazioni di diritti previsti dalla Carta africana e qualunque altro trattato internazionale inerente ai diritti umani ratificato dallo Stato convenuto e rigetta l’argomentazione del mancato esperimento delle vie di ricorso interne constatando che la Corte costituzionale tunisina, prevista dall’art. 118 della Costituzione del 2014, non è stata istituita e conseguentemente non vi sono valide vie di ricorso interne.
Nelle parole dei giudici: «La Cour relève qu’il n’existait pas non plus, dans l’État défendeur, d’autre juridiction ou autorité susceptible de statuer sur les litiges constitutionnels relatifs aux compétences du Président. L’absence de la Cour constitutionnelle a donc créé un vide dans le système judiciaire de l’État défendeur en ce qui concerne le règlement des différends constitutionnels, en particulier ceux mettant en cause la constitutionnalité des décrets pris par le Président».
La Corte conclude dunque che la mancata istituzione della Corte costituzionale nell’ordinamento tunisino costituisce una lacuna nel sistema giurisdizionale interno e conseguentemente la Tunisia ha violato l’art. 7(1)(a) della Carta africana, che garantisce l’accesso alla giustizia, in combinato disposto con l’art. 26 della predetta Carta, che sancisce il principio di indipendenza della funzione giurisdizionale.
Per quanto riguarda la asserita violazione del diritto all’autodeterminazione dei popoli, la Corte si sottrae al rischio di entrare in un pericoloso campo minato dichiarando laconicamente di non ritenere necessario pronunciarsi a riguardo. Essa si concentra invece sull’asserita violazione del diritto dei cittadini a partecipare agli affari pubblici, affermando che gli Stati possono legittimamente adottare misure restrittive di tale diritto in nome dell’interesse pubblico, fermo restando il rispetto dei diritti fondamentali e la proporzionalità delle misure adottate. Nel caso di specie i decreti presidenziali sottoposti al vaglio della Corte sono stati adottati conformemente a quanto previsto dall’art. 80 della Costituzione del 2014, il quale prevedeva però una serie di condizioni, che non sono state attuate. In particolare, la mancata istituzione della Corte costituzionale ha impedito il controllo giurisdizionale delle misure eccezionali e conseguentemente la Corte africana constata che lo Stato convenuto avrebbe dovuto mettere in atto misure meno restrittive per affrontare la situazione prima di adottare provvedimenti così drastici come la sospensione dei poteri del Parlamento e la limitazione dell’immunità dei suoi membri. Ad avviso dei giudici di Arusha, le misure adottate dalla Tunisia si sono rivelate non solo sproporzionate rispetto agli obiettivi dichiarati, ma anche rispetto al quadro normativo in vigore.
Il Giudice di Arusha ordina dunque alla Tunisia di abrogare i decreti presidenziali oggetto del ricorso e di ristabilire la democrazia costituzionale, anche per mezzo dell’istituzione della Corte costituzionale, in un termine massimo di due anni. In aggiunta a tali obblighi, la Tunisia è tenuta a presentare alla Corte un rapporto sulla messa in atto delle misure attuate ogni sei mesi fintanto che il Giudice non ritenga eseguita la sua decisione.
La pronuncia della Corte africana ricopre dunque un’importanza particolare, non solo dal punto di vista della discesa in campo dell’organo internazionale negli affari interni di un Paese membro, ma anche applicativo dal momento che fissa un determinato periodo di tempo per ristabilire la democraticità dell’ordinamento. Si segnala tuttavia, che l’unica misura prevista dal Protocollo istitutivo della Corte in materia di esecuzione delle sentenze è la previsione della sottomissione di un resoconto annuale della sua attività alla Assemblea dell’Unione africana; tale rapporto deve specificare, i casi di inadempienza degli Stati nel dare esecuzione alle sentenze (art. 31 del Protocollo istitutivo della Corte); il Consiglio esecutivo dell’Unione africana, dal canto suo, è chiamato a monitorare l’esecuzione delle sentenze per conto dell’Assemblea (art. 29 c. 2 del Protocollo istitutivo della Corte).
Il brevissimo lasso di tempo intercorso dalla pronuncia non permette di valutare l’impatto della sentenza, tuttavia è indubbio che essa possa essere considerata come un coraggioso tentativo della Corte africana di salvare la democrazia costituzionale tunisina.