Carlos Closa e Dimitry Kochenov (eds.), Reinforcing Rule of Law Oversight in the European Union (Cambridge University Press, Cambridge, 2016)
Quanto avvenuto in Ungheria e Polonia (e Romania) negli ultimi anni ha riacceso la discussione sul destino del rule of law nel territorio dell’Unione europea. Il volume qui recensito offre un’esaustiva rassegna delle principali questioni e soluzioni analizzate nel dibattito e ha il pregio di proporre alternative, non limitandosi a una trattazione compilativa. Tutti gli autori sono voci autorevoli in questo ambito, ma l’ottimo coordinamento dei curatori ha scongiurato il rischio di una mera riproposizione di tesi già esposte altrove. In questo senso i contributi sono parte di un progetto comune in quanto arricchiti reciprocamente in un sapiente quadro (emblematici, in questo senso, sono i capitoli di Müller e Tuori).
Il punto di partenza è quello rappresentato dallo sconfortante scenario che ci consegna oggi l’Unione. È stato giustamente scritto in questo senso che l’UE sta affrontando, da ormai molti anni, una crisi dal “multiforme” aspetto (economica, istituzionale, finanziaria, valoriale), ma caratterizzata da alcuni elementi ricorrenti. Fra questi sicuramente spicca una generale fuga dai Trattati, che sembra caratterizzare (seppur parzialmente) anche la strategia intrapresa dagli Stati per fronteggiare la crisi economico-finanziaria, ma si pensi anche ai tentennamenti sull’art. 50 TUE o, appunto, a quel gigante dormiente che è l’art. 7 TUE. In questo senso le iniziative della Commissione e del Consiglio, a proposito dei vari meccanismi alternativi a quella che l’ex Presidente della Commissione Barroso definì la “opzione nucleare” dell’art. 7 TUE, sono particolarmente emblematiche di questa tendenza.
Basto qui ricordare come specialmente l’iniziativa della Commissione sia nata come “complementare” a quella prevista dall’art. 7 TUE, anche se forse sarebbe più utile scorgere in essa un tentativo di razionalizzare quanto previsto dalla prima parte di questa disposizione. Le critiche mosse sia dalla dottrina sia dalle ONG all’operato della Commissione in questi anni sembrano confermare un pericoloso approccio che sembra eludere i Trattati. Anche le recenti dichiarazioni di Juncker non sembrano lasciare molto spazio all’ottimismo, e fanno riflettere sulla problematicità di questo approccio. Le parole di Besselink descrivono bene questa elusione del meccanismo previsto dai Trattati:
“Even though the preventive procedure was devised as a more feasible mechanism, in practice it was still felt that the main use of Article 7 was its impossibility to use it – hence Barroso called it ‘the nuclear option’. This state of affairs has received continuous criticism by NGOs and others who felt this resulted in misplaced complacency, notably exhibited by the Commission concluding in its 2003 Communication […] By merely saying we cherish certain constitutional values, we do not automatically observe them in practice. It is in this line of thought that the Commission launched its ‘Rule of Law Initiative’ in a communication of March 2014, setting out ‘A new EU Framework to strengthen the Rule of Law’”
Pur potendosi riscontrare una tendenza in questa parziale fuga dai Trattati vanno sottolineati alcuni “passi falsi” compiuti delle istituzioni sovranazionali in questi anni. In particolare la Commissione, uno dei guardiani dei Trattati, sia sotto la presidenza Barroso sia sotto quella Juncker, ha contribuito non poco alla confusione che caratterizza l’attuale fase del processo integrativo. L’art. 7 TUE non è sicuramente privo di ambiguità, ma almeno ha il vantaggio di offrire un percorso procedurale che gli Stati membri hanno sottoscritto e che le istituzioni europee dovrebbero garantire, memori del ruolo che il diritto ha. Troppo spesso, infatti, l’impressione che questo quadro sconfortante suggerisce è quella di attori politici che sembrano concepire le norme giuridiche come la mera cristallizzazione di rapporti di forza, quando invece esse – specie se dotate di rango “costituzionale” – dovrebbero rappresentare la cornice che delimita e razionalizza il potere.
Non è un caso, allora, che proprio il riferimento alla prima sentenza in cui la Corte di giustizia ha definito i Trattati come la propria “carta costituzionale”- la famosa Les Verts- rappresenti un punto costante dei contributi inclusi in questo importante volume.
Il libro qui recensito si divide in tre parti e consta di quattordici saggi (inclusa l’introduzione congiunta dei due curatori). La prima parte (“Establishing Normative Foundations”) richiama gli argomenti normativi a supporto del coinvolgimento dell’UE nel monitoraggio sul rispetto, da parte dei suoi Stati membri, dei valori dell’art. 2 TUE (Closa):
“The EU is a community of law which depends on mutual recognition and mutual trust. Secondly, the breach of the principle of the Rule of Law affects all the members of this community. This principle can be labelled the all affected principle. The third argument refers to the consistency between the EU’s own proclaimed values and policies. Consistency demands that the same requirements apply through time and across policies” (p. 15-16).
Successivamente vengono ricostruite le caratteristiche di quel particolare modello istituzionale che è il rule of law (Palombella) e il quadro giuridico che, a Trattati inalterati, permetterebbe già adesso all’UE di intervenire per assicurare il rispetto dei valori enumerati all’art. 2 TUE (Hillion e Bugarič). Nella seconda parte del libro (“Proposing New Approaches”) si sviluppa a pieno il potenziale “propositivo” del volume (in realtà già presente in alcuni contributi della prima parte) con i contributi di Scheppele (che punta sull’introduzione di una procedura di infrazione sistemica che superi i limiti della procedura ordinaria ex art. 258 TFUE), Ballin (che offre un’interessante riflessione sui nuovi meccanismi proposti o introdotti dalle istituzioni europee, con particolare attenzione alle soluzioni avanzate dalla Commissione e dal Consiglio), Toggenburg e Grimheden (che invece suggeriscono di superare il focus sanzionatorio-punitivo del dibattito per puntare su un nuovo sistema che prevenga la violazione della clausola di omogeneità). Chiudono questa parte i contributi di Scheinin e Jakab (che insistono, con argomenti diversi, sul potenziale della Carta dei diritti fondamentali dell’UE), Müller (che già altrove aveva proposto di istituire una Commissione di Copenaghen) e Tuori (il quale, piuttosto che suggerire l’istituzione di una nuova Commissione di Copenaghen, propone di “fare perno” sulla Commissione di Venezia, che potrebbe, in questo senso, assistere l’UE in questa funzione di monitoraggio sul rispetto dei diritti fondamentali). L’ultima parte del volume si intitola “Identifying Deeper Problems” e ha come obiettivo quello di andare oltre il problema dei meccanismi possibili – esistenti, da riadattare o da inventare – per monitorare e sanzionare la violazione dei valori di cui all’art. 2 TUE. In questa sezione del volume sono inclusi contributi che tendono a legare i temi trattati nelle pagine precedenti a questioni più ampie, leggendole, appunto, come pezzi di un mosaico. Ad esempio, Blokker offre alcune considerazioni critiche sul problema della natura democratica non solo dell’UE, ma anche e soprattutto dei suoi stati membri, andando oltre una prospettiva meramente “legalistic” (p. 249). Vachudova, invece, punta su un altro aspetto, spesso trascurato dai costituzionalisti, quello della lotta alla corruzione, vista come elemento essenziale per una nuova strategia europea per la difesa della democrazia liberale.
Kochenov prende le mosse dalla considerazione per cui “values are not EU’s founding ideas” (p. 295), a dispetto dei proclami e dei documenti adottati negli anni dall’Unione, per poi fornire una generale riflessione su quello che lui chiama il “design problem” (p. 295). A questo si aggiunge un “functionality problem” dato dalla “unforceability” (p. 305) del rule of law a livello sovranazionale, a causa dei noti limiti al meccanismo delineato dall’art. 7 TUE.
Il quadro che ne risulta è quello di contesto in cui “the Rule of Law is perversely interpreted as a tool to deactivate potential contestation” (p. 311).
Weiler, nell’Epilogo al libro, sottolinea le ambiguità e le contraddizioni delle iniziative della Commissione e del Consiglio e, soprattutto, la necessità di riaffermare il nesso fra democrazia e rule of law, nella convinzione che “[t]he moral is not for the Union to shy away from taking robust action, within its competences and jurisdictional limits, to quell gross violations of the Rule of Law in and by some of its Member States. But it should simultaneously hurry up and put its own democratic house in order lest it be reminded that those living in glass houses should be careful when throwing stones” (p.326).
Si tratta di un volume importante, che sicuramente contribuirà in maniera fondamentale al dibattito, anche per la proiezione “normativa” (in termini di proposte e di commenti a soluzioni avanzate negli ultimi anni) che lo caratterizza: una lettura necessaria per costituzionalisti, comparatisti e studiosi del diritto internazionale ed europeo.