Alessandro Mario Amoroso
Il contributo delle misure restrittive UE contro la Russia allo sviluppo del diritto internazionale delle sanzioni
A partire dal 23 febbraio 2022, l’Unione Europea ha approvato cinque pacchetti di sanzioni (o “misure restrittive” nel linguaggio del legislatore UE) in risposta all’aggressione “non provocata e ingiustificata” della Federazione Russa ai danni dell’Ucraina. Un accordo sull’adozione di un sesto pacchetto di sanzioni, che includerà un bando progressivo alle importazioni di petrolio greggio e prodotti petroliferi dalla Russia, è stato raggiunto al Consiglio Europeo del 30-31 maggio, superando l’iniziale veto opposto dall’Ungheria. Come si può dedurre dalla data, il primo pacchetto ha preceduto di un giorno l’inizio dell’invasione ed è stato adottato in seguito al riconoscimento, da parte della Russia, delle due repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk e all’invio di truppe russe in quei territori. L’allargamento dell’offensiva a tutto il territorio dell’Ucraina dal 24 febbraio ha poi spinto le istituzioni UE ad approvare in rapida successione altri quattro pacchetti di sanzioni e a negoziare un complesso ma necessario compromesso per le sanzioni sul greggio, oggetto del sesto pacchetto.
Nel solco del ricco dibattito giuridico stimolato dagli avvenimenti degli ultimi mesi, anche in merito alla portata e ai limiti delle sanzioni UE, questo breve contributo prova a offrire alcuni spunti sul tema della legalità delle sanzioni nel diritto internazionale. In particolare, dopo rapidi cenni alle sanzioni adottate, i paragrafi che seguono mettono a fuoco tre ragioni per ritenere che le misure restrittive UE contro la Russia possano far avanzare il dibattito sui limiti posti dal diritto internazionale all’adozione di misure coercitive unilaterali.
La portata inedita delle sanzioni UE contro la Russia
Le sanzioni in vigore contro la Russia costituiscono le più dure mai attuate dall’UE e coinvolgono l’intera gamma di misure restrittive a disposizione delle istituzioni europee. Sono state approvate sanzioni individuali (congelamento dei beni e divieti di ingresso) nei confronti di oltre 1000 individui e 80 entità; sanzioni finanziarie (tra cui l’esclusione di diverse banche russe dal circuito SWIFT e il congelamento delle riserve in valuta estera della Banca centrale russa), sanzioni economiche (restrizioni al commercio e agli investimenti) e sanzioni settoriali (nei comparti della difesa, dell’energia, dei trasporti, delle materie prime e dei beni di lusso). A queste si è aggiunta l’innovativa sospensione delle attività in Europa dei media Sputnik e Russia Today, ritenuti megafono della propaganda russa funzionale a giustificare l’aggressione. Sono state infine attuate misure diplomatiche, come la sospensione delle facilitazioni al rilascio dei visti.
Sul piano legislativo, è interessante notare che tutte le misure approvate si pongono in continuità con le sanzioni introdotte dell’UE contro la Russia già nel 2014. I cinque pacchetti di misure sono stati infatti adottati modificando a più riprese la Decisione (PESC) 2014/145, votata all’indomani dell’annessione russa della Crimea, e la Decisione (PESC) 2014/512, approvata per l’intensificarsi del conflitto in Donbass a causa del sostegno russo alle repubbliche separatiste. Entrambe le Decisioni introducevano misure restrittive “autonome”, adottate cioè in assenza di un’iniziativa del Consiglio di Sicurezza ONU, e sono state periodicamente rinnovate. Ciò sottolinea anche la continuità nella qualificazione giuridica data dalle istituzioni UE alle azioni russe in Ucraina, che dal 2014 sono considerate un attentato all’integrità territoriale, alla sovranità e all’indipendenza del Paese.
In ossequio a quanto previsto dagli Orientamenti del Consiglio UE sulle sanzioni, le istituzioni europee hanno enunciato gli obiettivi delle misure, identificandone due: indebolire la capacità del Cremlino di finanziare la guerra; infliggere costi economici e politici all'élite politica russa responsabile dell'invasione. Il primo dei due obiettivi dovrebbe preludere nel medio termine a un blocco anche alle importazioni di gas dalla Russia, che costituiscono, insieme alle importazioni di petrolio, di gran lunga la prima componente dell’export russo verso l’UE.
Il contributo dell’azione esterna UE al dibattito sulle sanzioni
La sanzioni alla Russia si collocano nella scia dell’ampliamento, avvenuto nell’ultimo decennio, tanto del numero di regimi sanzionatori autonomi introdotti dall’UE quanto della portata soggettiva delle misure restrittive. Anche per questo sono state presentate come una prova della definitiva presa di coscienza del proprio ruolo geopolitico da parte dell’Unione Europea. Il dibattito europeo sulle sanzioni ha però spesso trascurato un aspetto: l’esistenza di una dialettica tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo sul tema della legalità e dei limiti delle sanzioni, qualora ammontino a misure coercitive unilaterali adottate in assenza di provvedimenti del Consiglio di Sicurezza ONU.
La disputa risale almeno agli inizi degli anni ’90, quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in parte contraddicendo i propri precedenti orientamenti, ha iniziato ad approvare risoluzioni periodiche di condanna delle sanzioni come misure di coercizione economica. Più di recente, la discussione ha portato all’istituzione di uno/a Special Rapporteur sull’impatto negativo delle misure coercitive unilaterali sul godimento dei diritti umani, con una decisione del Consiglio ONU dei Diritti Umani approvata a maggioranza dai Paesi in via di sviluppo, dalla Russia e dalla Cina, con l’opposizione degli Stati europei e degli USA. Le ragioni del dissenso sono note e vertono, oltre che sulle conseguenze delle sanzioni per i diritti umani dei destinatari, soprattutto sull’interpretazione del principio di non-ingerenza: la possibilità che forme di coercizione economica superino le lecite pressioni politiche e costituiscano un’ingerenza illecita negli affari interni di altri Stati, come sostenuto da molti Paesi in via di sviluppo, dalla Russia e dalla Cina, è in realtà controversa.
Le misure restrittive UE contro la Russia, che per effetto del TUE (art. 21) e degli Orientamenti del Consiglio (no. 9) devono conformarsi al diritto internazionale e rispettare i diritti umani, si collocano all’interno di questo dibattito con tre profili di interesse.
L’obbligo di cooperare
L’aggressione russa all’Ucraina integra senza dubbio una violazione del divieto di uso della forza, sancito dall’articolo 2(4) della Carta ONU e dal diritto internazionale consuetudinario. Una peculiarità delle sanzioni adottate in risposta all’aggressione russa, dunque, è che esse possono essere inquadrate tra le azioni che gli Stati sono tenuti ad intraprendere a fronte di violazioni gravi di una norma imperativa del diritto internazionale (jus cogens). Tra tali azioni, il Progetto di articoli sulla responsabilità statale della Commissione del Diritto Internazionale include l’obbligo di cooperare per porre fine con mezzi leciti alla violazione (art. 41(1)). Questa disposizione, sebbene limitata all’impiego di mezzi leciti, giustificherebbe quelle misure restrittive che non violano obblighi internazionali dell’UE o degli Stati membri (nemmeno il principio di non-ingerenza nella sua accezione tradizionale) e che sono quindi qualificabili come ritorsioni: vi rientrano le misure diplomatiche, ma anche le restrizioni commerciali compatibili con l’eccezione di sicurezza del GATT (si veda 3.1 qui). Purtroppo, molti Stati continuano a negare che l’art. 41(1) del Progetto di articoli rifletta una norma di diritto consuetudinario vigente. Esiste però un consenso sulla vigenza dell’obbligo di cooperare almeno nel quadro delle Nazioni Unite (qui p. 194).
Le misure restrittive UE contro la Russia potrebbero rientrare proprio in questa ipotesi: è possibile ritenere che l’Unione Europea agisca in funzione strumentale all’obbligo di cooperare, coordinando la risposta degli Stati a un evento riconosciuto come violazione di una norma perentoria dall’Assemblea Generale ONU (Risoluzione ES-11/1). La politica dell’UE sulle misure restrittive, peraltro, è orientata ad ampliare la cooperazione al di fuori del perimetro dell’Unione, promuovendo (spesso con successo) l’allineamento alle misure UE da parte dei Paesi candidati e di altri Paesi (Orientamenti no. 22). Il ruolo svolto dall’UE in questa circostanza testimonierebbe della capacità del sistema del diritto internazionale di operare anche a fronte di uno stallo nel Consiglio di Sicurezza, causato dal veto di un membro permanente.
Le sanzioni a titolo di contromisura
La maggior parte delle misure restrittive UE, tuttavia, non rientra nel campo di applicazione dell’obbligo di cooperare, perché comporta la violazione di altre norme internazionali: ne è un esempio il congelamento delle riserve in valuta estera della Banca centrale russa. Per giustificare questo tipo di sanzioni si fa sovente ricorso alla nozione di contromisure: atti normalmente illeciti, che sono però consentiti se posti in essere per reagire a una violazione commessa da un altro Stato e indurlo a adempiere ai propri obblighi. Come noto, le contromisure sono uno strumento a disposizione dello Stato leso dalla violazione; la possibilità che Stati terzi diversi dallo Stato leso adottino contromisure è invece controversa (vedi Ronzitti, Ruys, Hofer e O'Connell per alcuni contributi). Sebbene il Progetto di articoli della CDI, approvato oltre venti anni fa, non abbia assunto una posizione al riguardo (art. 54), la prassi statale degli ultimi anni in materia di sanzioni indica un vasto uso delle contromisure da parte di Stati terzi. Anche in ragione di ciò, nel 2005 una risoluzione dell’Istituto del Diritto Internazionale ha espresso parere favorevole all’adozione di contromisure non implicanti l’uso della forza in risposta a “gravi violazioni ampiamente riconosciute di obblighi erga omnes” (art. 5).
Le misure restrittive UE contro la Russia reagiscono proprio a una violazione grave e riconosciuta di una norma erga omnes, il divieto di uso della forza. L’azione esterna dell’UE potrebbe allora contribuire, per il tramite delle misure restrittive, a consolidare la prassi di un gruppo di 27 Stati (più i Paesi candidati e i Paesi terzi che si allineano) e favorire l’emersione di una norma consuetudinaria sulle contromisure assunte dagli Stati terzi in reazione a violazioni di obblighi erga omnes. Perché ciò avvenga, però, è necessario che la prassi sia accompagnata dalla convinzione di conformarsi a un obbligo vigente (opinio iuris): c’è da augurarsi che in futuro l’Unione Europea espliciti la propria posizione sulla base giuridica nel diritto internazionale del suo potere di sanzionare.
Il controllo giurisdizionale sulle misure restrittive
Più di recente, le critiche all’adozione di misure coercitive unilaterali hanno coinvolto anche l’impatto delle sanzioni mirate sui diritti umani dei destinatari, spesso indeterminatamente soggetti alla discrezionalità delle autorità di uno Stato cui non appartengono. A tal proposito, la giurisprudenza UE rappresenta un punto di arrivo più avanzato di altri nella tutela dei diritti degli individui colpiti da sanzioni e si è consolidata anche in antitesi ad altri regimi sanzionatori, notoriamente quello ONU, maggiormente carenti sotto questo profilo (per una sintesi della saga Kadi si veda qui). Il controllo di legittimità delle Decisioni PESC che introducono misure restrittive individuali, garantito dall’art. 275(2) TFUE, si è negli anni rafforzato, seguendo la progressiva espansione della portata soggettiva dei destinatari delle sanzioni UE e la necessità di rispettare il principio della tutela giurisdizionale effettiva (per una panoramica si veda Poli, cap. 3). Proprio da uno dei due regimi sanzionatori in vigore dal 2014 contro la Russia, ad esempio, è scaturita la sentenza Rosneft, che ha riconosciuto ai destinatari di sanzioni l’accesso al rinvio pregiudiziale sulla legittimità delle Decisioni PESC. La portata del sindacato giurisdizionale è tuttavia rimasta limitata nel merito e non ha sostanzialmente intaccato la discrezionalità di cui gode il Consiglio UE nel valutare i motivi dell’inserimento di individui ed entità in un elenco di sanzioni (Poli, p. 94 ss). Il numero senza precedenti di cittadini ed entità russe colpiti delle nuove sanzioni e l’assenza di gradualità nell’estensione dell’elenco a cerchie di soggetti sempre più ampie lasciano presupporre che le misure restrittive adottate dall’Unione Europea in risposta all’aggressione russa diverranno un banco di prova per valutare l’efficacia della tutela giurisdizionale garantita dal giudice UE.
Conclusioni
Le sanzioni sono uno strumento fondamentale per l’attuazione decentrata di un ordinamento frammentato e privo di autorità centrale quale quello internazionale. Le perplessità che circondano la loro applicazione, tuttavia, non possono essere ignorate. Per le ragioni accennate sopra, le misure restrittive adottate nei confronti della Russia nel 2022 rappresentano un’occasione per compiere passi in avanti su questioni circoscritte ma cruciali per lo Stato di diritto. Affinché ciò avvenga, sarà necessaria l’iniziativa delle istituzioni europee per assicurare che l’azione esterna resti conforme al diritto internazionale e ai migliori standard dei diritti umani.
31 Maggio 2022