“Fotografando” la responsabilità sociale dell’impresa. La disciplina della direttiva n. 2264/2022 UE nel decreto legislativo n. 125 del 2024

La recente approvazione del decreto legislativo 6 settembre 2024 n. 125, di recepimento della direttiva n. 2264/2022 UE, offre l’occasione di tornare a riflettere sulla Corporate Sustainability Directive - CSRD, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il 16 dicembre 2022. Rispetto al contenuto materiale, la direttiva CSRD interviene modificando precedenti fonti europee relative alla rendicontazione societaria di sostenibilità e, in particolar modo, per quanto rileva maggiormente a questi fini, le direttive nn. 34/2013 e 95/2014 UE (Non-Financial Reporting Directive - NFRD).
A sua volta, infatti, quest’ultimo testo normativo era intervenuto modificando la precedente direttiva n. 34/2013 UE (approvata in materia di bilancio di esercizio), la quale aveva già previsto un generico rinvio alle c.d. informazioni attinenti all’«ambiente e al personale» da inserire nella relazione di gestione dell’attività di impresa (art. 19 direttiva n. 34/2013 UE); nel 2014, ovvero solo un anno dopo, la direttiva n. 95/2014 UE ha poi avuto il merito di introdurre il concetto unitario di «dichiarazioni di carattere non finanziario» (artt. 19 bis e 29 bis direttiva n. 95/2014 UE), espressione che ricomprende tutte quelle informazioni, ritenute non rilevanti dal punto di vista economico-finanziario, riguardanti l’impatto ambientale e sociale, nonché le possibili conseguenze che l’attività di impresa determina con riferimento, per esempio, alla tutela dei diritti umani e alla lotta contro condotte corruttive; il relativo obbligo si rivolgeva ad imprese di grandi dimensioni che costituivano enti di interesse pubblico e che, alla data di chiusura del bilancio, presentavano almeno 500 dipendenti occupati in media durante l’esercizio considerato.
A distanza di otto anni, in un contesto politico e normativo profondamente mutato dalla progressiva e sempre maggiore consapevolezza del ruolo strategico degli investimenti sostenibili (si vedano, almeno, i regolamenti europei nn. 575/2013, 2088/2019 e 852/2020), nella cornice del Green Deal, le istituzioni europee hanno approvato la direttiva n. 2264/2022 UE, con l’obiettivo di sviluppare ulteriormente e, in un certo senso, mettere a regime gli obblighi di rendicontazione delle informazioni di carattere (solo apparentemente) non finanziario, ampliando il novero dei soggetti coinvolti e introducendo l’obbligo di certificazione da parte di un soggetto terzo qualificato e abilitato. Anche se «la pandemia di Covid-19 ha accelerato […] l’aumento delle esigenze di informazione degli utenti» (direttiva n. 2264/2022 UE, considerando n. 11), l’intenzione di aggiornare la precedente normativa era già emersa nel 2018 quando il Parlamento europeo aveva accolto con favore l’impegno della Commissione di rivedere la direttiva n. 34/2013 UE, al fine di poter disporre di informazioni affidabili, comparabili e pertinenti in materia di rischi, opportunità e impatto in termini di sostenibilità. Nel medesimo contesto politico e normativo, si inserisce il conseguente regolamento delegato UE n. 2772/2023 (European Sustainability Reporting Standard - ESRS), approvato nel luglio dello scorso anno e operativo dal 1° gennaio 2024, con il quale la Commissione europea ha stabilito una prima serie di principi (ESRS trasversali, tematici e settoriali) che specificano le informazioni che le imprese devono comunicare a norma dell’articolo 19 bis, paragrafi 1 e 2, e dell’articolo 29 bis direttiva n. 34/2013 UE, come emendata dalle direttive europee successive in materia.
Quanto al contesto italiano, occorrerà ovviamente avvicinarsi allo studio della direttiva in commento, tenendo conto anche del recepimento nell’ordinamento interno, avvenuto – come già anticipato – con il d.lgs. n. 125/2024.
Ciò che emerge prime face dalla normativa europea è la volontà di estendere, con una soluzione di progressione temporale dell’obbligo, la platea dei destinatari dei doveri di informazioni societarie sulla sostenibilità; difatti, oltre alle grandi imprese di interesse pubblico (come banche, imprese di assicurazioni, società quotate…) con più di 500 dipendenti (anche su base consolidata), già obbligate ai sensi della precedente direttiva n. 95/2014 UE e che dovranno conformarsi ai nuovi obblighi di rendicontazione entro il 2025 rispetto all’anno fiscale 2024, sono attualmente coinvolte:
a) nel 2026 grandi imprese e imprese madri di un grande gruppo, che alla data di chiusura del bilancio superano almeno due dei seguenti limiti numerici: 250 dipendenti, 25 milioni di euro di stato patrimoniale, 50 milioni di euro di ricavi netti;
b) nel 2027 piccole e medie imprese quotate (ad eccezione delle microimprese) e società extra-europee con fatturato netto di oltre 150 milioni di euro all’interno dell’Unione europea per due esercizi consecutivi;
c) nel 2029 imprese extracomunitarie oltre 150 milioni di euro di ricavi netti all’interno dell’Unione europea per due esercizi consecutivi e imprese extracomunitarie con filiali che si qualificano come piccole o medie imprese quotate o succursali, con ricavi netti superiori a 40 milioni di euro per l’esercizio precedente.
Con riguardo ai limiti dimensionali previsti dalla direttiva n. 2264/2022 UE, che rinvia alla direttiva n. 34/2013 UE, il d.lgs. 125/2024 tiene conto dell’aumento delle soglie dimensionali stabilite per micro, piccole, medie e grandi imprese, ai sensi della direttiva delegata n. 2775/2023 UE. Inoltre, l’art. 3, co. 8, 9 e 10 d.lgs. 125/2024 consente alle PMI quotate di elaborare una rendicontazione di sostenibilità più snella di quella ordinaria prevista dalla direttiva CSRD per le altre imprese coinvolte, peraltro posticipando l’obbligo dal 2026 al 2028.
Diversamente dalla normativa previgente, con la direttiva n. 2264/2022 UE si è giunti ad una nuova consapevolezza, che si potrebbe definire di liquidità concettuale fra le informazioni finanziarie e quelle non finanziarie e che impedirebbe di parlare di “dichiarazioni non finanziarie”, ma, semmai, di “dichiarazioni di sostenibilità”, in quanto le stesse, essendo in ogni caso connesse all’attività di impresa, in senso genericamente inteso, hanno sempre un impatto anche finanziario. In questo contesto si inserisce il concetto di c.d. “doppia rilevanza” o “doppia matrice di materialità”, si cui si dà ampiamente rilievo nel regolamento delegato (UE) n. 2772/2023 (e, soprattutto, nell’ESRS 1) e che si riferisce al processo che consente di individuare le aree tematiche di interesse, oggetto, appunto, di successiva rendicontazione. La “doppia rilevanza” richiede quindi alle imprese di considerare sia l’impatto delle proprie attività sulla sostenibilità (materialità dell’impatto), sia come le questioni di sostenibilità possano influenzare la loro performance finanziaria (materialità finanziaria), peraltro prendendo in considerazione l’intera catena del valore e coinvolgendo i portatori di interessi, sia interni, che esterni. Circoscritta la matrice di materialità, la rendicontazione di sostenibilità, che confluirà poi nella relazione sulla gestione – quanto al contesto italiano –, ai sensi dell’art. 2428 c.c., obbligatoriamente redatta nel formato elettronico unico europeo (ESEF), per garantire la reperibilità e la fruibilità delle informazioni comunicate, dovrà essere elaborata secondo gli standard ESRS, il cui sviluppo è stato demandato all’EFRAG (Gruppo consultivo europeo sull’informativa finanziaria). I nuovi standard, che intenzionalmente costituiscono un unico modello di rendicontazione, al fine di garantire una maggiore comparabilità fra le disclosure e la competitività sul mercato basata sul modello di gestione della sostenibilità, si distinguono in tre categorie: a. gli ESRS trasversali (due standard, applicabili a tutti i soggetti coinvolti); b. gli ESRS tematici (dieci standard, operativi all’esito della valutazione della rilevanza della singola realtà aziendale); c. gli ESRS settoriali (la cui individuazione, inizialmente prevista per il 2026, è stata posticipata di due anni). L’elaborazione di principi comuni obbligatori di rendicontazione di sostenibilità si è resa necessaria affinché le informazioni sulla sostenibilità acquistino gradualmente uno stato comparabile a quello delle informazioni di carattere finanziario e l’adozione dei principi di rendicontazione di sostenibilità mediante atti delegati (con regolamento delegato (ESRS) assicuri la qualità delle informazioni comunicate relative ai fattori ERS (Environmental, Social, Governance), richiedendo che esse siano «comprensibili, pertinenti, verificabili, comparabili e rappresentate fedelmente» (art. 29 ter).
La normativa in commento s’inserisce in un reticolato giuridico alquanto complesso ed eterogeneo, le cui prescrizioni si pongono in continuità e in strettissima interdipendenza con quanto stabilito in altre fonti normative ad essa coeve, soprattutto nei regolamenti sulla tassonomia finanziaria, nelle direttive in materia di greenwashing (direttiva n. 825/2024 UE) e green claim (attualmente ancora in fase di approvazione) e, in particolare, nella direttiva n. 1760/2024 UE (Corporate Sustainability Due Diligence Directive – CSDDD). Infatti, se la direttiva CSRD richiede ai soggetti coinvolti di fotografare l’esistente, dando conto delle attività svolte in termini di responsabilità sociale dell’impresa, con tutte le conseguenze economiche e strategiche che derivano dalla possibilità di attestare il raggiungimento di obiettivi virtuosi, e ai revisori certificatori di verificare che quella fotografia corrisponda fedelmente alla realtà, la direttiva CSDDD, invece, individua, da un punto di vista sostanziale, il contenuto degli obblighi di due diligence, ciò che cioè deve esserci nella fotografia, per utilizzare la medesima metafora, ovvero quelle prescrizioni, attinenti l’intera catena di valore e relative alla tutela dei diritti umani, alla protezione dell’ambiente, a garanzie di adeguate condizioni lavorative e così via.
L’ultima fondamentale, novità della normativa in commento, che si pone in linea con la volontà di far coincidere, quanto a regime regolatorio, le dichiarazioni di sostenibilità con quelle finanziarie, è l’obbligo di sottoporre la rendicontazione di sostenibilità ad una specifica attestazione, rilasciata da prestatori indipendenti di servizi (revisore o impresa di revisione), debitamente abilitati a fornire detta certificazione, ai sensi della direttiva stessa e degli atti normativi interni di recepimento. Quanto al contenuto materiale, entro il 1° ottobre 2026, la Commissione europea, con propri atti delegati, dovrà adottare i principi di attestazione uniformi; medio tempore, i singoli Stati membri saranno chiamati ad applicare propri principi, procedure e requisiti nazionali di attestazione della conformità della rendicontazione di sostenibilità.
Infine, con riferimento al profilo sanzionatorio, la direttiva ha sostanzialmente rimesso agli Stati membri il compito di prevedere sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive nei confronti delle imprese obbligate e dei soggetti revisori, oltre che l’individuazione delle autorità di vigilanza competenti. A tal proposito, il d.lgs. 125/2024 riconosce al Ministero dell’Economia e delle Finanze e alla Consob poteri di vigilanza, di indagine e di sanzione, in base alle rispettive competenze (art. 11). In merito a quest’ultimo profilo, l’art. 10 stabilisce che, per i primi due anni, le sanzioni amministrative pecuniarie non potranno superare i 2 milioni e 500 mila euro per le società quotate e 150 mila euro, per le persone fisiche, quali soggetti apicali delle stesse; per il medesimo periodo di tempo considerato, le sanzioni applicabili alla successiva fase di certificazione della rendicontazione di sostenibilità non potranno essere superiori a 125.000 euro per le società di revisione e 50.000 euro per i revisori quali persone fisiche.
Utilizzando, ancora una volta, la medesima immagine figurata ed avviandosi alle conclusioni di queste brevi note, occorre provare ad offrire qualche pennellata interpretativa, di quella fotografia, che ha provato a descrivere, per brevi cenni, il quadro normativo che deriva dalla direttiva UE n. 2264/2022 e dalla fonte domestica di recepimento, il d.lgs. n. 125/2024.
Il più significativo punto di intersezione con la prospettiva costituzionalistica è certamente l’art. 41 Cost., secondo e terzo comma, nella formulazione derivante dalla legge di revisione costituzionale n. 1/2022. Concordando con quell’orientamento dottrinale (almeno, M. Benvenuti, 2023) che riconosce una funzione direttiva ai nuovi limiti in tema di “ambiente” e di “salute” nell’art. 41 Cost., la normativa di derivazione europea, che ci siamo trovati a commentare, ha preparato quel “terreno” di intervento giuridico – il d.lgs. 125/2024 – ove le nuove disposizioni costituzionali, riempiendosi di contenuto prescrittivo, si pongono in stretta continuità con le tendenze sovrannazionali di politica economica e industriale (C. Buzzacchi, 2023). All’interno dell’inquadramento appena accennato sarà quindi necessario monitorare con cura la concreta attuazione della disciplina della responsabilità sociale dell’impresa in Italia, auspicando che la relativa portata giuridica rafforzata, che – a parere di chi scrive – deriva dallo stesso art. 41 Cost., come novellato, possa divenire un “fattore di accelerazione” della transizione verde del Paese, potendo così aprire una nuova stagione per il diritto costituzionale italiano, che guarda all’ambiente e alla salute come beni primari da tutelare e come limiti e obiettivi programmatici dello Stato (ancora, M. Benvenuti, 2023).
Infine, – ma non può che essere solo un’annotazione finale – la disciplina della responsabilità sociale dell’impresa, per quel che riguarda le componenti Social e di Governance del c.d. bilancio di sostenibilità, si interseca, sempre in una prospettiva costituzionalistica, con il diritto al lavoro (anche riferito alla parità di genere), con il diritto alla privacy e riservatezza e, in generale, con il principio di uguaglianza, specie sostanziale.