Giulia Santomauro
Riconoscimento dello status di rifugiato e richiesta di estradizione: la Corte di Giustizia rafforza gli effetti vincolanti tra Stati membri derivanti dal Sistema europeo comune di asilo
1. Con la sentenza C-352/22, la Corte di Giustizia si è espressa il 18 giugno 2024 sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale superiore di Hamm (Oberlandesgericht Hamm), nella quale si chiede di chiarire se la decisione di riconoscimento dello status di rifugiato da parte di uno Stato membro vincoli la procedura di estradizione di un cittadino di un Paese terzo (A.) condotta in un altro Stato membro destinatario della richiesta. Nello specifico, la causa verte sul significato di due disposizioni: l’art. 9, par. 2, dir. 2013/32/UE (c.d. direttiva procedure), relativo alle deroghe al diritto dei richiedenti asilo a rimanere nello Stato membro durante l’esame della domanda di protezione internazionale; e l’art. 21, par. 1, dir. 2011/95/UE (c.d. direttiva qualifiche), inerente all’obbligo degli Stati membri di rispettare il principio di non refoulement diretto o indiretto in conformità dei propri obblighi internazionali, nell’ambito dell’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale.
2. La vicenda prende le mosse dal riconoscimento dell’Italia, con decisione nel 2010, dello status di rifugiato di A., un cittadino turco di etnia curda ritenuto a rischio di persecuzione politica da parte delle autorità statali del Paese di origine a causa della sua attività di supporto al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK). Dal 2019, A. ha spostato la sua residenza in Germania, dove nel novembre del 2020 è stato arrestato e sottoposto a custodia cautelare in attesa di estradizione per un mandato di arresto richiesto da un giudice turco ai fini dell’azione penale di un omicidio volontario. Nel novembre del 2021, il Tribunale superiore di Hamm ha emesso un’ordinanza in cui dichiarava ammissibile l’estradizione di A. verso la Turchia, a seguito di un esame autonomo sia della possibilità di revocare lo status di rifugiato, che della osservanza delle garanzie fornite dalle autorità turche nel processo di estradizione. Nel marzo del 2022, il Bundesverfassungsgericht, a seguito di un ricorso costituzionale (Verfassungsbeschwerde) proposto da A., ha annullato la suddetta ordinanza per violazione del diritto a non essere distolti dal giudice naturale precostituito per legge, ai sensi dell’101, par. 1, del Grundgesetz. Segnatamente, il tribunale tedesco ha omesso di sottoporre alla Corte di Giustizia una richiesta di rinvio pregiudiziale, essenziale per la risoluzione del caso e relativa agli effetti del riconoscimento dello status di rifugiato in Italia di A. sulla sua procedura di estradizione in Germania.
3. In via preliminare, la domanda pregiudiziale deve essere letta in considerazione di una cornice normativa composita che inevitabilmente lega le norme del diritto dell’Ue in materia di protezione internazionale e di estradizione, ma al contempo conferisce una propria autonomia normativa ai due ambiti. A tale proposito, il giudice del rinvio ricostruisce i principali orientamenti dottrinali relativi alla questione in oggetto. Secondo un primo filone, il diritto di rimanere nello Stato membro durante l’esame della domanda di protezione internazionale verrebbe inteso in senso espansivo nella misura in cui, qualora a un cittadino di Stato terzo sia stato riconosciuto con decisione lo status di rifugiato in uno Stato membro, l’estradizione verso il Paese di origine non possa essere più ammissibile. In caso contrario, sarebbero violate norme e procedure relative alla cessazione, all’esclusione e alla revoca dello status di rifugiato, come stabilito dagli articoli 11, 12 e 14 della direttiva qualifiche nonché dagli articoli 44 e 45 della direttiva procedure. In base a un secondo filone di ordine più restrittivo, a cui il tribunale regionale tedesco aderisce, le procedure di asilo e estradizione sarebbero indipendenti l’una dall’altra, purché non venga pregiudicato il divieto di refoulement. Si tratta, infatti, di un obbligo in termini assoluti, tutelato nel contesto dell’attribuzione della qualifica di beneficiario di protezione internazionale dall’articolo 21, par. 1, della direttiva qualifiche, in accordo con l’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 e la giurisprudenza della Corte di Strasburgo sull’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
La Corte di Giustizia sembra muoversi in maniera equilibrata tra questi due estremi interpretativi. In primo luogo, il Giudice di Lussemburgo precisa che, sebbene la materia dell’estradizione rientri nella sovranità nazionale in assenza di una convenzione internazionale tra l’Unione e il Paese terzo interessato, come nel caso di specie, tale competenza debba essere esercitata in accordo con diritto dell’Ue. In secondo luogo, viene rammentato che nel Seca non è stato ancora raggiunto definitivamente l’obiettivo di uno status uniforme di asilo, così come disposto dall’art. 78, par. 2, lett. a, del Trattato sul funzionamento dell’Ue (Tfue). Ciò comporta, tra l’altro, che attualmente non vige alcun principio per cui gli Stati membri debbano accogliere automaticamente le decisioni di riconoscimento dello status di rifugiato di altri Stati membri. Al contrario, questi sono liberi di richiedere una nuova decisione da parte delle loro autorità competenti per subordinare l’attribuzione dell’insieme dei diritti relativi a tale status nel loro territorio (cfr. CGUE 8 giugno 2024, QY contro Bundesrepublik Deutschland, C-753/22, punto 69). In terzo luogo, la Corte evidenzia l’impatto che l’accoglimento della domanda di estradizione rivolta allo Stato membro di residenza di un rifugiato potrebbe determinare sui diritti connessi allo status precedentemente riconosciuto da un altro Stato membro, specialmente sul diritto di asilo e la protezione dal respingimento in caso di estradizione, tutelati, rispettivamente, ai sensi degli articoli 18 e 19, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue.
4. Alla luce di questo quadro, la Corte di Giustizia sostiene che dal tenore letterale e la struttura dell’art. 9, par. 2, della direttiva procedure, si debba dedurre che tale previsione disciplini unicamente l’ipotesi di un’estradizione nel corso della procedura di esame di una domanda di protezione internazionale, senza estendersi al procedimento di estradizione dopo il riconoscimento dello status di rifugiato. Ciononostante, l’art. 21, par. 1 della direttiva qualifiche, in combinato disposto con gli articoli 18 e 19, par. 2, della Carta di Nizza, deve essere inteso nel senso che osta all’estradizione di un cittadino di un Paese terzo beneficiario dello status di rifugiato, fintanto che siano soddisfatte le condizioni per godere di tale qualità. Invero, il timore fondato di persecuzione politica che aveva giustificato il riconoscimento dello status di A. da parte dell’Italia non viene necessariamente meno a fronte della richiesta di estradizione della Turchia rivolta alla Germania, benché fondata sull’azione penale di un delitto comune.
Quest’ultima circostanza, peraltro, inserisce un elemento di complessità ulteriore rispetto ad una precedente domanda di pronuncia pregiudiziale che si riferiva ai limiti alla revoca dello status di rifugiato per motivi politici di un cittadino turco di origine curda a causa della sua attività svolta a favore del PKK, ritenuta un’associazione terroristica dallo Stato membro del rinvio (cfr. CGUE 24 giugno 2015, H.T. contro Land Baden-Württemberg, C‑373/13). In quell’occasione la Corte aveva stabilito che non vi è automatismo tra sostegno a una associazione terroristica e revoca del permesso di soggiorno o esclusione dal riconoscimento dello status di rifugiato, ma risulta necessario un esame caso per caso dell’autorità competente, da una parte circa i rischi connessi alla sicurezza nazionale e l’ordine pubblico, e dall’altra con riferimento al divieto di respingimento (cfr. F. Biondi Dal Monte, 2015). Nella causa in esame, la possibilità di revocare il permesso di soggiorno per accordare l’estradizione di A. potrebbe, allora, apparire di più immediata interpretazione, poiché il mandato di arresto non è in alcun modo correlato al motivo di persecuzione per cui gli era stato riconosciuto lo status di rifugiato. Tuttavia, la perdita del predetto status non potrebbe essere giustificata in base alla clausola di “imperiosi motivi di sicurezza nazionale e ordine pubblico” ai sensi dell’art. 24, par. 1, della direttiva qualifiche e, soprattutto, il fatto che l’azione penale per la quale è chiesta l’estradizione di A. sia fondata su fatti diversi da tali persecuzioni non è sufficiente per escluderne un rischio attuale.
5. Il Giudice di Lussemburgo conclude, pertanto, che uno Stato membro deve rifiutare la richiesta di estradizione di un rifugiato da parte del Paese terzo di origine salvo che non venga avviato uno scambio di informazioni con l’autorità dello Stato membro che aveva precedentemente concesso lo status e che tale autorità decida di revocare la protezione internazionale.
Più nel dettaglio, dal punto di vista sostanziale, assume valore decisivo l’effettiva garanzia del principio di non refoulement. Secondo le argomentazioni della Corte, l’assolvimento di tale obbligo non può essere presunto dalle mere dichiarazioni dello Stato terzo richiedente o dall’adesione formale, da parte di quest’ultimo, a trattati internazionali che garantiscono, in via di principio, il rispetto dei diritti fondamentali, ma deve imperniarsi su un esame di merito aggiornato da parte dell’autorità dello Stato membro che ha precedentemente riconosciuto la qualità di rifugiato della persona interessata.
Dal punto di vista procedurale, viene motivata la centralità del principio di leale collaborazione, il quale è sancito all’articolo 4, par. 3, co. 1, del Trattato sull’Ue (TUE), e impone all’Ue e agli Stati membri di rispettarsi e assistersi reciprocamente nell’adempimento dei compiti derivanti dai Trattati. Tale principio deve operare in una duplice direzione. Da un lato, per lo Stato membro che riceve la domanda di estradizione, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice del rinvio, nonché dalle conclusioni dell’Avvocato Generale Jean Richard De La Tour, la decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata da un altro Stato membro non può esaurirsi in un indizio, seppur rilevante, ma deve costituire un limite alla procedura di estradizione. Di conseguenza, lo Stato membro richiesto deve avviare tempestivamente lo scambio di informazioni con l’autorità competente dello Stato membro che ha riconosciuto lo status di rifugiato alla persona reclamata, fornendo a sua volta un parere sulla domanda di estradizione. Dall’altro lato, lo Stato membro che ha rilasciato il permesso di soggiorno ha il dovere di trasmettere, entro un termine ragionevole, le informazioni in suo possesso che hanno portato al riconoscimento dello status di rifugiato e la sua decisione se revocare o meno tale status.
A queste considerazioni, si può aggiungere che il diniego o l’accoglimento di una richiesta di estradizione di un rifugiato ha delle implicazioni anche in termini di relazioni internazionali tra lo Stato membro dell’Ue a cui è rivolta la domanda e il Paese terzo richiedente. In altri termini, l’obbligo di cooperazione tra lo Stato membro che ha riconosciuto lo status di rifugiato e quello in cui si svolge la procedura di estradizione indica che, secondo il diritto dell’Ue, l’esame del rischio serio e concreto di persecuzione del beneficiario della protezione internazionale deve prevalere rispetto alla cooperazione giudiziaria con i Paesi terzi. Simile punto di approdo della Corte di Giustizia appare, del resto, pienamente coerente con la garanzia assoluta del principio di non-refoulement e con la dottrina prevalente in materia di protezione internazionale (cfr. S. Kapferer, 2003; UNHCR, 2008; J. C. Hathaway, 2021; E. Guild, 2022).
La sentenza, quindi, mette in rilievo aspetti tutt’altro che scontati riguardanti l’effetto della decisione di riconoscimento dello status di rifugiato sulla procedura di estradizione e, più in generale, esplicita la natura di alcuni principi fondamentali per il funzionamento del Seca. Infine, la decisione della Corte di Giustizia, favorendo un’intensificazione dei vincoli tra Stati membri in materia di protezione internazionale e procedure di estradizione, sembra tradursi in una tutela rafforzata dei diritti sostanziali dei rifugiati.
29 Luglio 2024