Riforma elettorale in Germania: il BVerfG approva il numero fisso dei membri ma modifica la soglia di sbarramento

Il 30 luglio scorso, il secondo Senato del BVerfG si è pronunciato sulla riforma elettorale del 2023, ritenendola parzialmente (e prevalentemente) compatibile con la Legge fondamentale. Il profilo di illegittimità costituzionale rilevato riguarda la soglia di sbarramento del 5%, ritenuta non necessaria nella sua interezza. Sono state invece rigettate le censure concernenti gli aspetti procedurali dell’approvazione della riforma – avvenuta con i soli voti dei partiti di maggioranza, SPD, FDP e Verdi – nonché il nucleo della stessa, ossia il nuovo sistema di assegnazione dei seggi che prevede la stabilità del numero dei deputati, fissato in 630. La decisione è stata resa all’esito della riunione di diversi ricorsi, due richieste di controllo astratto di legittimità (Normenkontrolle), uno del governo della Baviera e l’altro di 195 deputati dell’Unione, tre conflitti interorganici (Organklage), sollevati dai due partiti dell’Unione in congiunto, dalla Linke e dal gruppo parlamentare di quest’ultima, e due ricorsi costituzionali individuali (Verfassungsbeschwerde), uno firmato da 212 iscritti alla Linke e uno presentato dall’associazione per la democrazia diretta Mehr Demokratie e. V., che aveva raccolto più di quattromila firme.

Come noto, la Legge fondamentale, così come faceva la Costituzione di Weimar, rimette alla legge ordinaria la definizione del numero di membri del Bundestag. Fino ad ora, il legislatore aveva fissato un numero minimo, lasciando che la composizione esatta risultasse dall’interazione tra il sistema elettorale e il voto. In seguito a una maggiore dispersione dei voti, combinata con gli effetti della riforma elettorale del 2013, che aveva introdotto i seggi compensativi (Ausgleichsmandate) in risposta a una censura costituzionale, il numero di deputati è aumentato fino a diventare causa di rallentamenti per l’operatività del Bundestag. Già nel 2020 CDU, CSU e SPD avevano tentato di risolvere il problema, da un lato mediante una lieve modifica del sistema di attribuzione dei seggi compensativi, applicata nelle elezioni generali del 2021, dall’altro con una riduzione dei seggi uninominali (da 299 a 280), che avrebbe avuto efficacia dalla tornata successiva. Quel tentativo – anch’esso oggetto dello scrutinio del BVerfG (2 BvF 1/21), che non aveva ravvisato vizi di incostituzionalità – aveva avuto un’efficacia limitata, tanto che, nell'ultima tornata, il Bundestag ha raggiunto il suo massimo storico di membri. La riforma oggetto del contenzioso, invece, ha risposto a questa esigenza di contenimento con l’eliminazione di Überhangmandate e Ausgleichsmandate, così interrompendo la storica tradizione della variabilità del numero di deputati. Viene mantenuta la struttura consolidatasi a partire dal 1953, basata sul sistema dei due voti, che mescola seggi uninominali, ripristinati a 299, e plurinominali, aumentati a 331, ma si introduce un nuovo sistema di attribuzione dei seggi, detto copertura del secondo voto (Zweitstimmendeckung). In breve, i seggi verranno assegnati esclusivamente mediante lo scrutinio proporzionale su base federale dei secondi voti (Zweitstimmen), riducendo i primi voti (Erststimmen) a espressioni di preferenza atti a “personalizzare” i listini bloccati presentati dai partiti a livello statale.  I candidati vincitori degli uninominali, quindi, potrebbero non essere eletti, poiché il nuovo sistema si limita a inserirli, ordinati secondo le migliori percentuali ottenute, in cima alla lista statale del partito a cui sono associati. Solamente nel caso in cui il più votato in un uninominale dovesse essere un candidato indipendente, evento ad oggi mai verificatosi, si assegnerebbe direttamente il mandato, al di fuori del sistema della copertura dei secondi voti. Questa alternativa, finalizzata a rispettare l'obbligo, di derivazione giurisprudenziale, di garantire l'accesso ai candidati esterni ai circuiti di legittimazione già consolidati, viene compensata escludendo dal computo federale i secondi voti ad essi associati, sia per coerenza con il nuovo sistema, che attribuisce efficacia a solo uno dei due voti, sia per disincentivare eventuali candidature "civetta", sostenute da un partito ma formalmente scollegate da esso.

Come anticipato, ha contribuito all’approvazione della riforma la sola maggioranza semaforo, in un clima di conflittualità con le opposizioni tanto aspro da portare il segretario generale della CSU Martin Huber a definire la legge in questione una “truffa elettorale” ("organisierte Wahlfälschung").  Questa opposizione a livello politico si è trasformata in ricorsi sul piano formale, con la denuncia di una violazione del diritto dei parlamentari alla partecipazione paritaria (Chancengleichheit). Questa, però, è stata ritenuta priva di fondamento da parte dei giudici di Karlsruhe, i quali hanno osservato che, pur essendo auspicabile una riforma consensuale della materia, la Legge fondamentale non prevede un irrigidimento della procedura di approvazione (§ 126 ss.). Sul punto, si era espressa peraltro anche la Commissione di Venezia – su sollecitazione del presidente dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa Tiny Cox – che, similmente, aveva stigmatizzato l’approvazione a maggioranza della riforma, comunque escludendo che gli standard internazionali potessero impedire la modifica delle norme elettorali in ragione della contrarietà di qualche partito. L’altro aspetto controverso da un punto di vista formale era la repentina eliminazione della clausola dei mandati di base (Grundmandatsklausel), che consentiva l’accesso alla distribuzione proporzionale dei seggi ai partiti che avevano ottenuto tre collegi uninominali, in alternativa al conseguimento del 5% dei voti su base federale. Inizialmente, il progetto di riforma prevedeva il suo sostanziale mantenimento sotto la nuova definizione di “clausola di circoscrizione” (Wahlkreisklausel) ma, in sede di audizione in commissione, alcuni esperti (prof. P. Austermann, prof. B. Grzeszick, prof.ssa S. Schmahl) avevano avallato la possibile incostituzionalità della clausola poiché, traendo il proprio senso dell’impostazione maggioritaria degli uninominali, dopo la riforma, si sarebbe configurata come un’eccezione al nuovo sistema (Systemausnahme). In passato, l’incoerenza sistemica aveva giustificato l’intervento del BVerfG (si vedano le decisioni del 2008 e del 2012; cfr. J. Nebel, 2024), perciò, nel corso della terza e ultima lettura in commissione, la maggioranza aveva deciso di abrogare completamente la clausola, inducendo i partiti che godono di un forte radicamento territoriale a lamentare una violazione della pubblicità dei lavori. Anche a riguardo, però, il Tribunale, ha escluso l’incostituzionalità della procedura, giacché l’approvazione era avvenuta nel rispetto di quanto stabilito dai regolamenti parlamentari (§ 134).

Invece, sul piano sostanziale, il Tribunale, muovendo dal presupposto che la Legge fondamentale non prefigura sistemi specifici da adottare, ha rigettato le presunte violazioni da parte della nuova procedura del principio di uguaglianza e del principio di maggioranza, derivato da quello democratico. Secondo i giudici di Karlsruhe, la nuova formula consiste in un mero riequilibrio di quella precedentemente in vigore (§ 170), all’interno dell’ampio margine di scelta di cui gode il legislatore. Non si rilevano violazioni del Grundgesetz nella mancata elezione diretta nei collegi uninominali (§ 198), come neppure nel rovescio della questione, ossia il vuoto rappresentativo derivato dalla non assegnazione degli stessi collegi, in quanto dai principi dell’art. 38 GG non derivano l’obbligo di garantire un’eguale rappresentanza territoriale né un vincolo tra la circoscrizione e l’eletto, essendo egli rappresentante dell’intero popolo (§ 182). Invece, la differenziazione di trattamento tra candidati partitici e indipendenti, pur configurandosi come una contraddizione dell’uguaglianza del voto, è legittima poiché contrappeso al pericolo di eccessivo rafforzamento dei partiti (§ 202), in continuità con la giurisprudenza in materia precedentemente citata. Nel complesso, dal momento che la riduzione del numero di seggi potrà colpire tutti gli schieramenti in eguale misura (§ 216), il BVerfG non rileva violazioni delle pari opportunità nei confronti dell’opposizione e, alla luce delle difficoltà organizzative emerse dall’aumento del numero dei deputati, riconosce l’adozione della copertura del secondo voto come persecuzione di un fine legittimo.

Dunque, il secondo Senato è dovuto tornare a esaminare la legittimità della soglia di sbarramento (Sperrklausel) del 5% in congiunto con il nuovo sistema e con l’abrogazione della clausola dei mandati di base. Il Tribunale ha proseguito nel solco dei precedenti, che, sin dalla prima pronuncia in materia, classificano la soglia di sbarramento come compressione dell’uguaglianza del voto, legittimamente introducibile per limitare la frammentazione interna alle assemblee elettive investite della responsabilità di governo. Questo nesso, all’origine dell’approccio sfavorevole alla soglia del BVerfG nel caso di elezioni europee (2 BvC 4/10 e 2 BvE 2/13, recentemente superate grazie alla decisione del Consiglio Europeo 2018/994, che ha richiesto ai Paesi membri di inserire una soglia compresa tra il 2% e il 5%), così come della sua posizione tendenzialmente deferente nei casi di elezioni statali e federali (G. Delledonne, 2019; A. Romano, 2015), ha portato al riconoscimento della legittimità del correttivo, al quale è seguita la valutazione della sua proporzionalità in assenza di clausole che ne temperino gli effetti. Il test condotto dalla Corte ha concretizzato la connessione tra la Sperrklausel e la capacità di funzionamento del Parlamento, finora mai specificata in via giurisprudenziale, individuandola nei gruppi parlamentari, unità organizzative che consentono “la divisione del lavoro – nelle commissioni – e un processo decisionale strutturato in base all'appartenenza partitica” (§ 233 ss.). Di conseguenza, interpretando la soglia come un filtro che assicuri una dimensione minima per la formazione dei gruppi, il ragionamento del Tribunale si rivolge alla disciplina della loro formazione contenuta nel Regolamento (GO-BT) che, all’articolo 10 c. 1, stabilisce il requisito di riunire almeno il 5% dei membri. Da questa corrispondenza viene dedotta la legittimità della soglia come riflessione, nel corpo elettorale, della grandezza minima di un partito affinché sia operativo in Parlamento. Dunque, la Corte analizza il resto della disciplina regolamentare che, come seconda condizione, richiede l’appartenenza dei membri allo stesso partito, oppure a più partiti che “per comunanza di obiettivi politici, non competono tra di loro in nessun Land”. Qui, il secondo Senato, muovendo sulla base di una presunta esigenza di corrispondenza di contenuto tra le due discipline, dichiara la soglia non necessaria nella sua interezza, poiché non conteggia insieme i voti di quei partiti che già ad ora formano un gruppo parlamentare sulla base di questo presupposto e che sono intenzionati a proseguire nella stessa direzione (§ 249). Così, sulla base della storica cooperazione parlamentare nella Unionsfraktion, che rende i partiti che la compongono “fratelli” agli occhi della Corte (§ 239), viene ritagliata un’eccezione valevole esclusivamente per CDU e CSU, dando alla pronuncia una caratterizzazione specifica e pragmatica. Non diversamente era avvenuto nell’unico precedente intervento nei confronti del Bundestag, quando, in occasione delle prime elezioni pantedesche, il Tribunale aveva richiesto una compartimentazione della soglia di sbarramento nelle due macroregioni (Est e Ovest) per consentire l’ingresso ai partiti radicati nell’ex DDR.

A questa declaratoria, segue l’apertura del Tribunale a diverse opzioni percorribili dal legislatore, ossia la rimodulazione della soglia stessa oppure la previsione di una clausola alternativa. Nel secondo caso, si ritengono accettabili anche clausole fondate sui primi voti, contraddicendo i pareri sopracitati che le interpretavano come contraddizione del nuovo sistema (criticamente sul punto, J. Nebel, 2024), in quanto, secondo i giudici, le maggioranze relative nei collegi uninominali possono essere interpretate come dimostrazione di rilevanza rappresentativa del partito (§ 282). Dunque, il Tribunale provvede a fornire un rimedio all’altro ricorrente i cui diritti verrebbero intaccati dall’applicazione secca della soglia, ossia la Linke, che nel 2021 aveva potuto avere accesso alla quota proporzionale dei seggi grazie alla clausola dei mandati di base. Per la prossima tornata, costituzionalmente prevista tra il 27 agosto e il 26 ottobre 2025, al fine di evitare un intervento legislativo nell’anno precedente le elezioni, come raccomandato dalla Commissione di Venezia nel Codice di buona condotta in materia elettorale (§ 290), viene ordinata l’applicazione della Wahlkreisklausel inizialmente prevista dal progetto di legge. Poiché assimilabile alla Grundmandatsklausel, ampiamente nota sia ai partiti che agli elettori, la sua attuazione potrà infondere maggiore fiducia nella correttezza del processo elettorale, soprattutto in presenza di un nuovo sistema di attribuzione dei seggi.


La riforma elettorale tedesca del 2020 al vaglio della Corte Costituzionale Federale

Il 29 novembre 2023 la Corte Costituzionale Federale tedesca è intervenuta nuovamente in materia elettorale, riconoscendo la conformità con la Legge Fondamentale della venticinquesima legge di modifica della legge elettorale federale (BWahlGÄndG) del 14 novembre 2020. Il ricorso, promosso da 216 deputati dei partiti – in quel periodo all’opposizione – DIE GRÜNEN, DIE LINKE e FDP, si fondava sulla presunta violazione, ad opera dell’art. 1, nn. 3-5 della legge di riforma, dei principi di chiarezza normativa (Normenklarheit), di eguaglianza del voto in uscita (Erfolgswertgleichheit) e di pari opportunità dei partiti politici (Chancengleichheit). Su questa base, i ricorrenti avevano dapprima richiesto un provvedimento cautelare, con il quale si richiedeva la sospensione provvisoria dell’applicazione dell’articolo contestato: con ordinanza del 20 luglio 2021, il Tribunale ha respinto l’istanza cautelare, consentendo così l’applicazione della nuova disciplina nelle elezioni tenutesi il 26 settembre 2021. L’articolo in oggetto escludeva, per ogni partito beneficiario, i primi tre mandati in eccesso (Überhangmandate) dal pareggiamento in senso proporzionale ottenuto attraverso l’attribuzione dei seggi compensativi (Ausgleichsmandate) agli altri partiti.  La riforma –  che prevedeva inoltre, a decorrere dal 2024, la riduzione dei collegi uninominali da 299 a 280 (Art 1, n. 2) – era stata approvata da CDU, CSU e SPD, che allora sostenevano un esecutivo di grande coalizione, allo scopo di contenere le dimensioni del Bundestag. Il numero di membri di questa camera, nella diciannovesima legislatura, aveva raggiunto la quota di 709, a fronte dei 598 minimi previsti dalla legge, e si prevedeva, al momento della discussione delle modifiche in oggetto, che sarebbe aumentato fino 800 membri nella ventesima (T. Gschwend e M. Neunhoeffer, 2020). Il numero di deputati, notoriamente variabile per via del sistema elettorale fondato sull’espressione di un voto uninominale e di uno di lista, era andato incontro a una crescita costante in funzione dell’incremento del voto disgiunto (Stimmensplitting) e, ancor di più, in seguito all’introduzione degli Ausgleichsmandate, ad opera della ventiduesima legge di revisione della legge elettorale federale, entrata in vigore il 9 maggio 2013 in reazione a una sentenza – meglio citata successivamente – di Karlsruhe. Tuttavia, il modesto impatto del correttivo adoperato, pur contenendo il numero dei membri rispetto alle previsioni, non ha impedito il raggiungimento del massimo storico di 736 deputati, inducendo la nuova maggioranza, costituita da SPD, DIE GRÜNEN, e FDP, a elaborare una riforma più incisiva. Questa, entrata in vigore il 17 marzo 2023, per la prima volta nella storia repubblicana tedesca, ha fissato un numero esatto (630) di membri del Bundestag, abrogando la disposizione che prevedeva la riduzione dei collegi uninominali ma eliminando la Grundmandatsklausel, la possibilità di ottenere seggi in eccedenza e, di conseguenza, anche i seggi di compensazione. Alla luce della più recente modifica, i ricorrenti hanno presentato richiesta di estinzione del contenzioso, rigettata con ordinanza del 22 marzo 2023 dal Tribunale, il quale, nonostante il superamento della legislazione, ha riconosciuto l’esistenza di un interesse pubblico alla prosecuzione del processo.
La decisione del secondo Senato del Tribunale è stata approvata con cinque voti favorevoli e tre contrari, del vicepresidente König e dei giudici Maidowski e Müller, quest’ultimo relatore dell’opinione dissenziente (Sondervotum). Il profilo sul quale il collegio si è diviso riguarda la compatibilità tra l‘elemento di complessità introdotto dalla clausola dei tre mandati in eccedenza non compensati con il principio di chiarezza normativa, derivato dal principio dello stato di diritto (art. 20(1.3) GG) e concretizzato nell'ambito del diritto di voto dal principio democratico (art. 20(2) GG). Secondo la maggioranza del BverfG lo stesso non risulterebbe violato: la legislazione in questione, pur aggiungendo un ulteriore passaggio a una procedura di già difficile comprensione, mantiene infatti un significato univoco e permette la ricostruzione dell’assegnazione e della distribuzione territoriale dei seggi. Il ragionamento del secondo Senato si concentra sulle cause di questa complessità, preesistente alla riforma in questione e legata alla volontà del legislatore di combinare il sistema proporzionale con un alto grado di collegamento tra suffragio e territorio, attraverso il voto in collegi uninominali e quello di lista su base federale. Ugualmente, il fine della riduzione del numero dei parlamentari, accresciutosi accidentalmente per effetto combinato di tali fattori, risulta legittimo e sufficiente a giustificare un ulteriore procedimento per la designazione degli eletti. Nell’argomentazione, la decisione descrive la legge elettorale come norma i cui destinatari sarebbero gli uffici elettorali, ritenendo pacifico un margine di approssimazione nella comprensione da parte dell’elettore, la cui consapevolezza del voto non risulterebbe lesa dall’incompleta conoscenza dei meccanismi per la trasformazione in seggi. Viceversa, secondo l’opinione dissenziente, la conoscenza “a grandi linee” (in groben Zügen) (par. 154) non soddisfa l’obbligo, in capo al legislatore, di dare attuazione ai principi costituzionali citati dai ricorrenti attraverso una legislazione che renda l’elettore consapevole del peso e delle conseguenze del proprio voto nel processo democratico. In particolare, ritenere che la completa comprensione delle norme elettorali si riferisca ai soli “addetti ai lavori” e che il cittadino possa invece avvalersi di fonti di informazione alternative rispetto alla legge, appare svilente nei confronti di un diritto fondamentale quale è quello di voto. Al contrario, la sua posizione cardine all’interno di uno Stato democratico dovrebbe imporre una chiarezza e una pubblicità tali da rendere la legislazione intellegibile non solo ai giuristi specializzati ma, soprattutto, al cittadino medio, in quanto soggetto centrale del processo elettorale stesso.
La presunta violazione dei principi di eguaglianza del voto e di elezioni dirette (art. 38(1) GG) e del principio delle pari opportunità dei partiti politici (art. 21(1) GG), invece, non è stata ritenuta sussistente. La nuova clausola, infatti, viene vista come un’interferenza nei principi costituzionali sopra richiamati. Tuttavia, questa interferenza è considerata giustificata dalle finalità alla base del disegno del sistema proporzionale personalizzato (personalisiertes Verhältniswahlrecht). È possibile, dunque, ricondurre la decisione nel solco della giurisprudenza consolidata in materia, caratterizzata da una posizione tendenzialmente deferente del Tribunale. Infatti, l’elezione immediata con la Erststimme rendeva necessaria l’assegnazione degli Überhangmandate, ossia dei seggi uninominali vinti in sovrannumero rispetto alla quota prevista con lo scrutinio di lista: essi sono stati oggetto nel tempo di diverse decisioni del BVerfG, che hanno affrontato il profilo della loro compatibilità con gli stessi principi assunti a parametro della decisione in commento. È opportuno rammentare i due overruling, del 2008 e del 2012, con i quali si dichiarava l’incostituzionalità parziale di questo istituto, in quanto concausa del paradossale effetto della “ponderazione negativa del voto” (negatives Stimmgewicht) ossia l’eventualità che il superamento di una certa soglia di suffragi per un partito producesse non l’aumento bensì la diminuzione dei propri seggi, nonché in quanto elemento di alterazione della regola proporzionale, che può mutarsi, secondo parte della dottrina, in premio di maggioranza nascosto (A. ROMANO, 2015). Tale cornice risulta utile a contestualizzare l’origine degli Ausgleichsmandate, seggi attribuiti ai partiti non beneficiari dei mandati in eccesso, in misura tale da ripristinare le proporzioni tra le forze rappresentate nel Bundestag. Si può altresì osservare come, pur giungendo a esiti differenti, le decisioni del Bundesverfassungsgericht in materia conservino la differenziazione tra uguaglianza del voto in entrata ed in uscita, legando l’interpretazione della seconda alla scelta compiuta dal legislatore e contestualizzandola nella realtà politica in cui la legge elettorale si trova immersa (G. DELLEDONNE, 2019). Questa stessa “immersione” si scorgeva nella censura parziale dei mandati in eccesso del decennio scorso, così come può essere riconosciuta nell’argomentazione qui in esame, che pondera la deviazione dall’uguaglianza del voto in uscita con l’esigenza organizzativa del Parlamento di contenere il numero dei membri e propende, dunque, a favore della discrezionalità del legislatore.
Infine, l’ultimo nodo sciolto dal Tribunale concerne l’interazione tra l’aspetto cronologico della riforma – ossia la sua approvazione nell’anno precedente le elezioni – e i principi sovranazionali in materia elettorale, con riferimento al Codice di Buona Condotta in Materia Elettorale elaborato dalla Commissione di Venezia.  Il codice, definito come “distillato del patrimonio elettorale europeo” (C. FASONE, G. PICCIRILLI, 2017), nel dare risalto all’importanza della stabilità delle norme elettorali, individuava le riforme frequenti, o avvenute nel corso dell’anno precedente al voto, come fonti di possibile manipolazione o quantomeno, anche supponendo la buona fede del legislatore, di delegittimazione del processo democratico. I precedenti esaminati nell’argomentazione sono le sentenze della Corte EDU Ekoglasnot c. Bulgaria e Partito Laburista Georgiano c. Georgia, , dalle quali emerge il rischio che la modifica frequente o “a ridosso” delle elezioni possa inficiare la veridicità del processo democratico, veridicità, però, che non può essere valutata in riferimento a una data precisa, ma valutando la legislazione elettorale alla luce dello sviluppo politico del Paese interessato (im Lichte der politischen Entwicklung des betreffenden Landes zu beurteilen). Pertanto, data l’assenza di alterazione delle composizioni delle liste e della campagna elettorale in seguito alla riforma, il semplice dato cronologico non risulta sufficiente a determinare l’illegittimità costituzionale della disciplina. Con questa decisione, il Bundesverfassungsgericht riafferma la rilevanza costituzionale della CEDU e dei protocolli annessi, in quanto supporti interpretativi utili alla determinazione dei contenuti e della portata delle garanzie della Legge fondamentale (par. 233) e, contemporaneamente, ribadisce l’importanza di un’interpretazione della materia elettorale fondata sull’osservazione della legislazione non in astratto ma, piuttosto, citando la sentenza apripista in tema di soglia di sbarramento (Sperrklausel), “in un certo Paese e in un certo periodo storico”.