Ruggero Rudoni
Ne bis in idem convenzionale e ‘doppi binari’ punitivi: una prima pronuncia di illegittimità costituzionale in materia di diritto d’autore (brevi osservazioni a margine di Corte cost., sent. n. 149/2022)
La sentenza n. 149/2022 è l’ultima di una serie di pronunce con cui la Corte costituzionale valuta la conformità alla garanzia del ne bis in idem sancita dall’art. 4 Protocollo n. 7 CEDU di sistemi punitivi di ‘doppio binario’ (per un commento più approfondito sia consentito rinviare a R. Rudoni, Ancora a proposito di giurisdizione costituzionale, cumuli punitivi eterogenei e ne bis in idem, in Nomos. Le attualità nel diritto, 2, 2022). Nella specie, la questione di legittimità costituzionale sollevata sull’art. 649 cod. proc. pen. viene accolta in ragione dei peculiari caratteri della disciplina in materia di violazioni del diritto d’autore, recata dalla legge n. 633/1941, che affianca a ipotesi delittuose previste dagli artt. 171, 171-bis e 171-ter, per le quali sono comminate anche pene detentive, omologhe figure di illecito amministrativo di cui all’art. 174-bis dal perimetro applicativo pressoché coincidente, alle quali sono associate consistenti sanzioni pecuniarie. Si tratta, infatti, di una pronuncia di incostituzionalità – la prima conseguente all’accertamento del contrasto fra un sistema sanzionatorio interno di ‘doppio binario’ e la citata garanzia fondamentale – che colpisce la disposizione processuale limitatamente alla sua operatività nell’ambito del settore ordinamentale qui di interesse.
La decisione muove dal riconoscimento dell’incompatibilità di siffatto cumulo, procedimentale e sanzionatorio, con i rinnovati contenuti del divieto di bis in idem per la mancata integrazione del criterio, di origine giurisprudenziale, della ‘connessione sufficientemente stretta’ materiale e temporale fra i due ‘binari’ punitivi. Nel percorso motivazionale si evidenzia, al riguardo, che la l. n. 633/1941 crea strutturalmente le condizioni affinché un soggetto possa essere sanzionato per una medesima condotta in entrambe le sedi, penale e amministrativa, senza che fra i due ambiti sanzionatori esistano strumenti di coordinamento. Lo stesso fatto illecito finisce, così, per essere sanzionato in esito a distinti procedimenti punitivi sia con pene in senso stretto sia con sanzioni formalmente amministrative, da ritenersi anch’esse penali su di un piano sostanziale alla luce dei celebri criteri Engel elaborati dalla Corte EDU.
Nell’escludere l’integrazione del criterio della ‘connessione’ secondo i relativi indici sintomatici – come individuati nella giurisprudenza convenzionale a partire dalla sentenza A e B c. Norvegia della Grande Chambre – il Giudice delle Leggi, seppure riconosca che il cumulo procedimentale e sanzionatorio è, per l’autore della condotta, prevedibile in base al modello legislativo, nondimeno riscontra che i due procedimenti sanzionatori non perseguono scopi complementari, né concernono diversi aspetti del comportamento illecito, ma sono volti a soddisfare esigenze di mera efficienza repressiva (come dimostrato dai lavori preparatori della legge di riforma n. 248/2000, introduttiva della fattispecie extrapenale, e dalle particolari modalità impiegate per descrivere le ipotesi di illecito amministrativo, le quali si limitano a fare rinvio alle fattispecie penali già esistenti). Sul piano strettamente processuale, inoltre, si rileva la mancata previsione di meccanismi di raccordo atti a evitare duplicazioni nella raccolta e valutazione delle prove, e ad assicurare un legame temporale tra i procedimenti, stante la pacifica esclusione, da parte della consolidata giurisprudenza di legittimità, di quel rapporto di pregiudizialità tra illecito penale e amministrativo richiesto dall’art. 24 della legge n. 689/1981 per attrarre in capo al giudice penale la competenza a irrogare la sanzione amministrativa. Si valorizza, da ultimo, anche la mancata istituzione di raccordi sul piano sanzionatorio capaci di consentire al giudice penale (o all’autorità amministrativa, nel caso sia il processo penale a concludersi per primo) di tenere conto della sanzione già precedentemente irrogata, e di soddisfare, in tal modo, l’esigenza di una complessiva proporzionalità del cumulo di sanzioni.
La rilevata assenza di ‘connessione’ conduce la Corte costituzionale all’accoglimento della questione onde impedire l’operatività di tale ‘doppio binario’ sanzionatorio in casi – come quello di cui al giudizio a quo – di previa conclusione del procedimento amministrativo sanzionatorio. A tal fine, la portata dell’art. 649 cod. proc. pen. viene estesa, attraverso una pronuncia additiva di regola, all’ipotesi in cui un soggetto, già sottoposto a un procedimento per l’illecito amministrativo di cui all’art. 174-bis l. cit., conclusosi definitivamente, sia imputato per taluno dei corrispondenti delitti previsti dall’art. 171-ter dello stesso corpo legislativo. Quindi, al cospetto di un sistema mancante di un adeguato coordinamento fra i diversi apparati sanzionatori, il Giudice delle Leggi, anziché adottare una pronuncia volta a “creare” detto coordinamento, disinnesca in radice il ‘doppio binario’ punitivo in tali situazioni, precludendo la prosecuzione del processo penale in corso di celebrazione. Il che sembra ispirarsi alla primaria ratio di garanzia del ne bis in idem, non già ordinamentale a valenza oggettiva, bensì soggettiva, di diritto fondamentale volto a tutelare un soggetto dalla prospettiva di subire un secondo processo per il medesimo fatto, ancor prima che una seconda pena, garanzia di cui è riconosciuto il fondamento, oltre che convenzionale ed europeo, anche interno (si cfr. n. 5.1. Cons. dir.).
Ora, la soluzione accolta – come risulta dalla stessa pronuncia – si rivela, per un verso, parziale dal momento che non è in grado di neutralizzare il cumulo procedimentale e sanzionatorio nell’ipotesi inversa, quando sia il processo penale a chiudersi per primo; e, per un altro verso, è comunque produttiva di un risultato irragionevole, se si considera che ora, a fronte di uno stesso fatto illecito, dovrebbero comunque essere avviati due procedimenti sanzionatori, di cui uno soltanto destinato a giungere a conclusione. Ragion per cui, il Giudice costituzionale invita il legislatore a un intervento in materia, per “rimodulare la disciplina in esame in modo da assicurare un adeguato coordinamento tra le sue previsioni procedimentali e sanzionatorie, nel quadro di un’auspicabile rimeditazione complessiva dei vigenti sistemi di doppio binario sanzionatorio” (si v. n. 7 Cons. dir.). In effetti, la neutralizzazione dell’operatività di uno dei ‘binari’ – discendente, nella specie, dall’accoglimento della questione di costituzionalità – rappresenta solo una delle opzioni idonee ad assicurare il rispetto della garanzia del ne bis in idem, atteso che la riconduzione a legittimità di un sistema sanzionatorio potrebbe essere effettuata anche attraverso l’istituzione o l’implementazione di opportuni meccanismi di raccordo processuale e sostanziale. In quest’ottica, la pronuncia in esame sembra costituire un ulteriore esempio di sentenza manipolativa non ‘a rime obbligate’.
Sotto altro profilo, la soluzione adottata, per quanto consista in un’inedita – si intende, ai limitati profili di interesse – pronuncia di incostituzionalità dell’art. 649 cod. proc. pen., si pone in una linea di sostanziale continuità rispetto ai precedenti della giurisprudenza costituzionale in tema di ne bis in idem convenzionale con riguardo alle modalità di verifica della compatibilità con tale garanzia dei sistemi di ‘doppio binario’, e presenta altresì una qualche assonanza, quanto al risultato pratico perseguito, con la pur diversa soluzione impiegata nella sentenza n. 145/2020. In entrambe le occasioni, infatti, la Corte costituzionale ha inteso neutralizzare un ‘doppio binario’ punitivo giudicato illegittimo perché privo di un’adeguata ‘connessione’ fra i diversi ambiti sanzionatori, esito cui si perviene in un caso attraverso la restrizione sul piano interpretativo della portata applicativa della norma di illecito extrapenale, nell’altro mediante l’estensione dell’area di operatività di una norma processuale generale, conseguente a una manipolazione del relativo tenore testuale. A ben vedere, i profili di novità della decisione in commento sembrano trovare spiegazione, più che altro, nelle specificità della situazione da cui originavano i dubbi di costituzionalità, in cui si era concluso per primo il procedimento amministrativo, nonché nelle peculiarità del cumulo punitivo in materia di diritto d’autore, nel cui ambito la risposta sanzionatoria penale è semplicemente duplicata da quella amministrativa con una fattispecie di illecito che ricalca sostanzialmente la corrispondente ipotesi di reato. Il che è evidentemente ritenuto preclusivo a un’operazione, interpretativa o manipolativa, volta a differenziare il perimetro delle due figure di illecito di diversa veste formale.
Pertanto, la pronuncia di incostituzionalità dell’art. 649 cod. proc. pen. “ritagliata” sul singolo ‘doppio binario’ sanzionatorio costituisce una soluzione – come si è detto, parziale e non priva di elementi di irragionevolezza – che non pare poter essere considerata (né è auspicabile possa divenire) un nuovo paradigma decisorio sulla cui base “far cadere” sic et simpliciter anche gli altri ‘doppi binari’ punitivi, ove ritenuti incompatibili con i contenuti del ne bis in idem convenzionale. L’utilizzo di un siffatto modello decisionale dovrebbe limitarsi alle ipotesi in cui sia impossibile correggere il sistema di ‘doppio binario’, istituendo un adeguato coordinamento fra i due ambiti che lo compongono, e in cui sia altresì preclusa una ridefinizione dei confini applicativi delle norme sostanziali di illecito. Mentre esso non dovrebbe riproporsi là dove, al contrario, sia prefigurabile un intervento vertente sulle specifiche norme processuali e sanzionatorie del ‘doppio binario’ interessato, teso a dare luogo a quella ‘connessione sufficientemente stretta’ richiesta dalla giurisprudenza convenzionale ai fini della tutela ex art. 4 Protocollo n. 7 CEDU (e, peraltro, valorizzata anche nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea rispetto all’art. 50 CDFUE, pur se con approdi non del tutto coincidenti), onde rendere coerente, prevedibile e integrata la multiforme risposta punitiva: in quelle ipotesi, cioè, in cui il rispetto del ne bis in idem potrebbe essere assicurato senza rinunciare al concorso di procedimenti e sanzioni di diversa natura previsto nell’originaria configurazione legislativa.
23 Marzo 2023