Book Review: G. Martinico, The Tangled Complexity of the EU Constitutional Process (Routledge, 2012)
L’autore del volume è uno dei più prolifici studiosi di diritto europeo della scena accademica contemporanea. Per l’occasione, ha scelto di aggredire il nodo non sciolto della natura del processo di evoluzione costituzionale dell’Unione Europea, contestando –come peraltro aveva già iniziato a fare in precedenti articoli- le principali teorie in circolazione e provando a far progredire il dibattito.
Il libro è diviso in quattro capitoli più una sezione finale dedicata alle conclusioni. Nel primo capitolo, Martinico analizza i concetti chiave della sua opera, che gli serviranno nel resto del libro come una vera e propria “cassetta degli attrezzi”. In particolare, analizza le idee di costituzione, costituzionalismo e costituzionalizzazione insistendo sulla loro natura polisemica e descrive, con i piedi ben piantati nella sconfinata letteratura sul tema, l’evoluzione dell’idea di un’Unione Europea come “spazio costituzionale” e il passaggio dal dominio dello jus praetorium ai tentativi di formalizzazione quali la codificazione della Carta di Nizza, una sorta di Bill of Rights dell’Unione.
Nel secondo capitolo, l’autore si sofferma sulle principali teorie in voga negli anni successivi al naufragio del trattato costituzionale. Il dibattito accademico degli ultimi anni è stato infatti dominato principalmente da due teorie: il pluralismo costituzionale e il costituzionalismo multilivello. Il capitolo dedicato da Martinico all’analisi di queste due teorie rappresenta con ogni probabilità il tentativo più compiuto fino a questo momento di ricostruzione di questo dibattito. L’autore, infatti, domina la sterminata letteratura sul tema, provando (e riuscendo) a riordinare un dibattito in cui non sempre è stato chiaro il punto di rottura e distinzione tra le due diverse parrocchie: in breve, secondo Martinico, il costituzionalismo multilivello soffre di un deficit di analisi normativa e non offre soluzioni soddisfacenti ai conflitti costituzionali, mentre il pluralismo costituzionale, pur soffermandosi maggiormente sul momento giurisdizionale (invero, uno dei più celebri sostenitori della teoria, Maduro, è stato egli stesso attore protagonista dell’evoluzione del diritto europeo nelle vesti di Avvocato Generale della CGCE) non scioglie l’ambiguità delle nozioni rilevanti e non individua il punto di tenuta del sistema policentrico UE-stati membri. Inoltre, questa teoria vede nei conflitti qualcosa da neutralizzare, mentre l’autore è di altro avviso e legge nei conflitti anche un valore sistemico positivo. Martinico, seguendo una linea di progressione logica tesi-antitesi-sintesi, avanza una sua teoria in base alla quale la natura costituzionale dell’UE sarebbe quella di un sistema “complesso”. A tale scopo, prende in prestito la terminologia delle scienze naturali per spiegare le principali caratteristiche della complessità del progetto europeo: non reversibilità (non si può ritornare alla condizione iniziale), non riducibilità (il diritto europeo non può ridursi alla somma delle norme giuridiche ai vari livelli), non prevedibilità (impossibile anticipare sviluppi futuri) e non determinabilità (nel senso di non determinismo). Ed è attraverso queste lenti che Martinico, nel terzo capitolo, legge l’evoluzione del sistema giuridico europeo negli ultimi venti anni, con particolare riferimento alla giurisprudenza della CGCE. Ancora una volta, la ricostruzione è lucidissima e straordinariamente ricca. Nel quarto capitolo, l’autore espone ed analizza l’idea per cui la natura complessa del sistema europeo porti a modi diversi di articolazione dei rapporti fra livelli e centri di potere. Questi possono essere talora cooperativi, competitivi o addirittura, e recentemente assai più spesso, conflittuali. In questo contesto, il ruolo dei giudici nazionali ed europei è assolutamente centrale. In particolare, Martinico analizza in maniera molto intrigante il meccanismo della doppia pregiudizialità (dual preliminarity), vale a dire la presenza contestuale di meccanismi di rinvio pregiudiziale alla propria Corte Costituzionale per evitare conflitti con norme costituzionali e alla CGUE per dirimere possibili antinomie con norme di diritto UE. L’autore individua casi molto interessanti di quello che lui chiama dialogo nascosto (hidden dialogue) tra Corti costituzionali e CGUE, come i giudici, nell’ordinamento complesso, cercano di evitare le situazioni di conflitto costituzionale. Nelle conclusioni, Martinico preferisce provare a immaginare gli scenari futuri e le situazioni di possibile conflitto costituzionale da monitorare. In particolare, secondo l’autore saranno da tenere sotto osservazione le conseguenze dell’adesione alla CEDU, alla luce delle pulsioni “nazionaliste” di alcuni paesi (si pensi, ad esempio, alla recente riforma costituzionale ungherese).
Il libro di Martinico è ben scritto e scorrevole, nonostante l’elevato livello teorico delle questioni trattate. La sua ricostruzione della dottrina e della giurisprudenza europee è puntuale. Sicuramente è da lodare anche lo sforzo teorico che l’autore fa per provare a comprendere maggiormente le dinamiche e la natura dell’ordinamento europeo. La sua idea di Unione come ordinamento complesso è certamente affascinante e farà discutere. Questo volume rappresenta il punto di arrivo di una serie di scritti importanti che Martinico ha dedicato alla natura dell’ordinamento europeo, e vi si ritrovano più compiute idee già accennate in altri articoli e libri.
Il valore del volume è indiscutibile, e non si può non dare un giudizio positivo dell’opera. A voler cavillare, ci sono tre piccole debolezze del libro ed è forse opportuno sollevarle per evitare di essere eccessivamente elogiativi. La prima è relativa alla “densità” del libro. Martinico concentra in poco meno di 200 pagine una ricostruzione puntigliosa della dottrina e della giurisprudenza sul tema e avanza una teoria alternativa sulla natura dell’Unione. Il risultato è un libro molto ricco che forse avrebbe avuto bisogno di qualche pagina in più per divulgare meglio alcuni concetti nuovi nel dibattito e delicati da maneggiare. In secondo luogo, e questo sembra appartenere allo stile dell’autore perché ricorre negli altri suoi libri, le conclusioni sono aperte. Se è vero che l’ordinamento europeos è continuamente in evoluzione, forse uno sforzo teorico così importante come quello di Martinico avrebbe meritato una formalizzazione più netta nelle pagine finali del volume. La terza ed ultima critica è forse quella meno legata allo stile di scrittura e più rivolta alla sostanza dei problemi trattati. L’autore si concentra soprattutto sul formante dottrinale e su quello giurisprudenziale. Non è chiara la sua posizione circa il ruolo delle assemblee elettive (parlamenti nazionali e Parlamento UE) e delle istituzioni politiche dell’Unione e degli Stati Membri nell’ordinamento complesso europeo. E’ però vero che, a giudicare dalla sua ricchissima produzione scientifica, ci si può ragionevolmente aspettare che Martinico affronti anche questi problemi con la stessa dovizia di particolari e lo stesso rigore metodologico con cui ha lavorato all’opera qui recensita negli anni a venire.
Molte grazie a Carlo per la sua recensione, per le belle parole e per le critiche sempre stimolanti.
Volevo rispondere brevemente a Carlo e chiarire due punti che rendono il libro in inglese diverso e complementare rispetto allo Spirito polemico del diritto europeo (sempre qui recensito).
Circa il problema degli attori politici: come scrivo nel testo (nel capitolo IV), il fatto che mi concentri sui giudici non esclude che ci possa essere un ruolo anche per altri attori, attori a cui in realtà do ampio spazio nella parte “storica” del volume riguardante il carattere costruttivista della mega constitutional politics europea. Come scrivo infatti, tutti gli ultimi ventuno anni di constitutional politics sono leggibili alla luce del tentativo di restituire agli attori politici le chiavi del processo integrativo (menziono anche il nesso esistente fra queste dinamiche e l’influenza di quel movimento che potremmo chiamare, anche da questa parte del mondo, “political constitutionalism”). Descrivendo quella fase ho dato inevitabilmente spazio anche agli attori politici.
Vi sono due punti che vorrei richiamare e che rendono secondo me il volume in inglese complementare rispetto alle precedenti ricerche.
Nello Spirito polemico del diritto europeo avevo chiarito, fin dalle prime pagine, di non volere costruire una teoria costituzionale dell’integrazione e, nelle ultime pagine, auspicavo di sviluppare, in futuro, il collegamento fra teoria dei conflitti e teoria costituzionale.
Quello che ho cercato di fare nel nuovo libro corrisponde a questa esigenza di ricerca: nel secondo capitolo, dopo avere ricostruito il dibattito teorico, ho cercato di presentare la mia visione sul punto (andando oltre il fine del volume in italiano), proprio utilizzando la chiave di lettura della complessità (à la Morin, non à la Luhmann), mentre nel capitolo II ho anche cercato di spiegare cosa intendere per ordinamento (“order”) europeo.
Nel farlo ho dovuto sviluppare il rapporto fra “order”, “organization” e “disorder”, sulle linee di quanto detto da Morin e da altri: l’organizzazione senza “disorder” è statica omogeneità; l’organizzazione senza “order” è mera anarchia.
In tutti questo il disordine (i conflitti) aiutano l’organizzazione a evolversi (l’idea di un evolutionary order), proprio grazie ai conflitti.
Qui riprendo un contributo spesso dimenticato nella dottrina anglosassone (l’unico che la menziona è Nico Krisch), quello, fondamentale, di Delmas Marty, che proprio nei suoi scritti sul pluralismo, ha definito l’ordine come insieme di intersezioni/interazioni, secondo un’idea di ordine che non toglie spazio al pluralismo (come vorrebbero quelle ricostruzioni che appiattiscono il costituzionalismo in olismo verticistico non rispettoso delle diversità. Si tratta della ricostruzione, più che contestabile, che fanno autori come Krisch e Avbelj per esempio).
Altri punti sviluppati, di interesse teorico, sono quello relativo alla connessione fra il pensiero di Hayek e la logica/non logica dei sistemi complessi, valorizzando un legame che cerca di spiegare perché l’idea di evolutionary order non tradisca le premesse della complessità (non riducibilità, non non apriorismo, non determinismo) ed il tentativo di passare dalla struttura (complessa) dell’ordinamento europeo agli attori operanti in tale contesto.
L’idea è quella per cui un sistema complesso (complexus: intrecciato) obblighi i soggetti da interagire, ad operare in modo non isolato. Se normalmente gli studi sul dialogo sembrano essersi soffermati soprattutto sul momento cooperativo, nel testo ho cercato di evidenziare anche le dinamiche competitive o conflittuali che caratterizzano questo insieme di interazioni e intersezioni che ho definito “ordinamento complesso”.
Infine sul punto delle conclusioni aperte: ancora una volta esse sono una scelta; le conclusioni aperte non sono per forze includenti o sconclusionate; ho cercato, come in tutti il libro, di problematizzare, anche alla luce di una nuova fonte di incertezza e di conflitto (non presa in considerazione nel volume in italiano): la crisi finanziaria (e costituzionale) dell’UE.
Grazie di nuovo a Carlo e agli amici che gestiscono il nostro blog.