Virginia Lemme
Un’onda di cambiamento: la rivoluzione silenziosa dei diritti LGBTQ+ in Giappone
Con una pronuncia di portata storica, il 30 ottobre 2024 l'Alta Corte di Tokyo ha sancito l'incostituzionalità della normativa che consente matrimoni esclusivamente tra persone di sesso diverso, individuando la presenza di una “discriminazione ingiustificata” fondata sull’orientamento sessuale, in violazione dei principi costituzionali di eguaglianza e dignità individuale.
Per comprendere appieno la portata di tale pronuncia, è necessario inquadrare la stessa all’interno del contesto storico, giuridico e giurisprudenziale. Ad oggi, il Giappone si distingue come l’unico tra i paesi del G7 a non riconoscere alcuna forma di unione legale per coppie dello stesso sesso. Tale situazione appare particolarmente sorprendente, considerando che, storicamente, le minoranze sessuali non sono state oggetto di discriminazione esplicita, poiché le religioni predominanti (shintoismo e buddismo) hanno mostrato atteggiamenti di tolleranza nei loro confronti. L’inizio dell’era Meiji (1868-1912), con il suo impulso di “modernizzazione”, segna una svolta in tale atteggiamento. I giuristi dell'epoca Meiji, nell'analizzare i codici e le disposizioni giuridiche di derivazione occidentale, in particolare quelli di matrice tedesca e francese, incorporarono altresì gli influssi dei principi cristiani, che stigmatizzavano le minoranze sessuali, considerandole peccaminose. Un ulteriore mutamento nel trattamento delle minoranze sessuali, risalente anch'esso al periodo Meiji, si concretizzò nell'introduzione del koseki, ovvero il registro di famiglia, ancora in vigore. Tale istituto, fondato su un modello di heteronormative family, sancisce una struttura familiare rigidamente tradizionale, che esclude la possibilità di riconoscere unioni omosessuali, creando una marcata dissonanza con le realtà sociali contemporanee.
Sebbene la Costituzione del 1947 abbia introdotto i principi dell’eguaglianza (art. 14), della dignità individuale (art. 13) e della libertà matrimoniale (art. 24), il legislatore non ha ancora introdotto alcuna forma di unione per le coppie omosessuali. Il principale ostacolo a una riforma in tal senso è costituito dal Partito Liberal Democratico (PLD), forza politica storicamente dominante, la cui visione è radicata in un concetto tradizionale della famiglia. Il partito, noto per il suo conservatorismo, ha spesso contrastato i tentativi delle forze di opposizione di introdurre disposizioni a tutela della minoranza LGBTQ+, come dimostra l’approvazione, il 16 giugno 2023, del “LGBT Understanding and Enhancement Act”, una normativa considerata da molti come insufficiente. Ne deriva, quindi, un sistema politico incapace di recepire appieno l’evoluzione socioculturale del Paese.
A livello locale, tuttavia, si osserva un processo di graduale evoluzione iniziato nel 2015. A partire da tale anno, diverse amministrazioni locali (pioniere in tal senso è stato il Ward di Shibuya) hanno istituito sistemi di registrazione per coppie omosessuali, rilasciando certificati di partnership. Tali strumenti si sono largamente diffusi sul territorio (per un elenco esaustivo si veda: https://minnano-partnership.com/partnership/all). È tuttavia opportuno precisare che tali certificazioni non conferiscono gli stessi diritti e benefici connessi al matrimonio. Essi, infatti, si limitano a riconoscere “pubblicamente” le unioni tra coppie di sesso differente, salva la possibilità di introdurre anche specifici benefici legali (ad esempio per l’accesso ad alloggi pubblici). La proliferazione di iniziative locali, inoltre, in assenza di una disciplina nazionale, ha generato una marcata frammentazione sul piano territoriale.
Nonostante i limiti dei certificati di partnership, questi hanno giocato un ruolo significativo nell’accrescere la consapevolezza sociale. Da un lato, infatti, è stato osservato che le persone residenti in comuni che hanno introdotto tali strumenti mostrano un maggiore grado di accettazione verso le coppie omosessuali. Dall’altro, a partire dal 2016, a livello nazionale si è assistito alla diffusione di un dialogo più aperto e di una sensibilizzazione crescente sui diritti delle minoranze LGBTQ+ (un fenomeno che gli osservatori hanno definito come “LGBTQ Boom”). Di conseguenza, le istanze della comunità LGBTQ+ hanno iniziato a guadagnare spazio anche nelle aule di giustizia. Questo processo è stato ulteriormente facilitato dalla creazione della piattaforma Call4, un’iniziativa di supporto legale e finanziario destinata ai cittadini interessati a promuovere liti strategiche per l’avanzamento dei diritti civili. Grazie a tale piattaforma, a partire dal 2019 sono stati introdotti vari ricorsi, in 5 regioni differenti, con l’obiettivo di provocare un mutamento istituzionale. In particolare, i ricorrenti hanno invocato l’incostituzionalità dell’assenza di una forma di unione legale per coppie dello stesso sesso, fondando le loro argomentazioni principalmente sugli artt. 13, 14 e 24 della Costituzione.
La prima pronuncia significativa in materia si è registrata nel 2021, quando la Corte Distrettuale di Sapporo si è affermata come prima giurisdizione a dichiarare l'incostituzionalità della normativa vigente, ritenendo che essa contrastasse con il principio di eguaglianza sancito dall'art. 14 della Costituzione. Tuttavia, non tutte le corti hanno accolto le argomentazioni dei ricorrenti: nel 2022, la Corte Distrettuale di Osaka ha sostenuto la legittimità delle disposizioni legislative, ritenendo che la Costituzione non imponga esplicitamente l'estensione del matrimonio alle coppie omosessuali, e che la presenza di certificati di partnership fornisse comunque un riconoscimento per le coppie dello stesso sesso. Sempre nel 2022, la Corte Distrettuale di Tokyo ha emesso una sentenza dal tono più sfumato, riconoscendo l’importanza di una riforma legislativa, ma senza dichiarare direttamente l’incostituzionalità della normativa. La Corte ha, infatti, parlato di uno “stato di incostituzionalità”, sollecitando l'intervento del legislatore, poiché l'esclusione delle coppie omosessuali dal matrimonio sembrava contraddire i valori sociali contemporanei. Nel 2023, la Corte Distrettuale di Nagoya ha assunto una posizione più decisa, dichiarando il contrasto tra la normativa vigente e gli articoli 14 e 24 della Costituzione. Parallelamente, la Corte Distrettuale di Fukuoka, allineandosi alla posizione di Tokyo, ha qualificato le leggi sul matrimonio giapponese come versanti in uno “stato di incostituzionalità”, pur ribadendo che eventuali modifiche dovrebbero essere adottate dal Parlamento e non dalla magistratura.
Gli esiti giurisprudenziali emersi dai ricorsi presentati sono dunque eterogenei, riflettendo una pluralità di interpretazioni all’interno della magistratura. In ciascuno di tali casi, i ricorrenti hanno altresì avanzato richieste di risarcimento nei confronti dello Stato, sostenendo che la mancata previsione, da parte del legislatore nazionale, di un riconoscimento legale per le coppie dello stesso sesso configurasse una violazione tale da giustificare un indennizzo ai sensi della Legge sul risarcimento statale. Tuttavia, anche laddove le Corti hanno rilevato l’incostituzionalità delle norme vigenti, le domande risarcitorie non sono state accolte, principalmente a causa della mancanza di una pronuncia definitiva da parte della Corte Suprema, organo apicale della magistratura (per una ricostruzione del sistema giudiziario giapponese si veda: https://www.courts.go.jp/english/vc-files/courts-en/file/2020_Courts_in_Japan.pdf).
Pertanto, i ricorrenti hanno proseguito la via dell’appello, sperando di ottenere il riconoscimento delle loro pretese risarcitorie. Tale percorso ha portato, in primo luogo, alla sentenza dell’Alta Corte di Sapporo del marzo 2024, che ha confermato la statuizione della corte di grado inferiore, dichiarando l’incostituzionalità della normativa ma respingendo le richieste di risarcimento dei ricorrenti. In parallelo, anche la sentenza della Corte Distrettuale di Tokyo del 2022 è stata appellata, dando origine alla pronuncia del 30 ottobre 2024. L’Alta Corte di Tokyo ha assunto una posizione più decisa rispetto alla sentenza del 2022, che si era limitata a rilevare uno “stato di incostituzionalità”. I giudici hanno infatti riconosciuto che l’attuale normativa viola il principio di eguaglianza (art. 14) ed il principio di dignità individuale nella contrazione del vincolo matrimoniale (art. 24, 2 paragrafo). L’Alta Corte ha altresì evidenziato che le questioni relative al matrimonio e alla famiglia dovrebbero tenere conto di vari fattori, tra cui le tradizioni statali e il sentimento pubblico. Tuttavia, l’Alta Corte ha proseguito affermando che, pur considerando tali elementi, non esiste una spiegazione razionale che giustifichi la distinzione nell’accesso ai benefici legali del matrimonio in base all’orientamento sessuale.
La sentenza dell’Alta Corte di Tokyo del 30 ottobre 2024 rappresenta dunque un ulteriore e rilevante passo verso il riconoscimento dell’eguaglianza matrimoniale in Giappone. Sebbene il cammino resti incerto ed in continuo mutamento (la decisione è stata appellata dai ricorrenti dinnanzi alla Corte Suprema, così come avvenuto con la sentenza dell’Alta Corte di Sapporo), l’impulso proveniente dalla magistratura costituisce un chiaro segnale dell’evoluzione in atto, dimostrando come il potere giudiziario possa fungere da catalizzatore per il progresso dei diritti umani anche in contesti giuridici tradizionalmente conservatori. In un ordinamento giuridico come quello giapponese, ove i giudici tendono a rispettare il mandato legislativo, la presa di posizione dell’Alta Corte con dichiarazioni così esplicite rappresenta un passo straordinario, e forse decisivo, verso l’inclusione e la parità di diritti.
Queste pronunce costituiscono altresì un segnale tangibile dell’attenzione che la magistratura giapponese, di recente, riserva all’evoluzione sociale e alle istanze delle minoranze (emblematico, in tal senso, è il recente intervento della Corte Suprema sui diritti delle persone transgender). Infatti, la decisione dell'Alta Corte di Tokyo si inserisce in un contesto di crescente sostegno sociale per i diritti delle persone LGBTQ+. Un sondaggio condotto nel 2023 ha rivelato che circa il 63% della popolazione giapponese si dichiara favorevole al matrimonio tra persone dello stesso sesso, con un sostegno che raggiunge l'80% tra le generazioni più giovani. Tale pressione sociale per una riforma legislativa è stata altresì alimentata da eventi internazionali di rilievo, come le Olimpiadi di Tokyo del 2021, che hanno attirato l'attenzione mondiale sulla necessità di un’apertura giuridica nei confronti dei diritti LGBTQ+ in Giappone. Sempre a livello internazionale, inoltre, la Commissione CEDAW ha recentemente esortato il Giappone a introdurre un riconoscimento giuridico per le coppie dello stesso sesso.
Il Giappone si trova ora dinanzi a un bivio storico: il Parlamento potrebbe scegliere di aderire ai principi di uguaglianza sanciti dalla Costituzione e ribaditi dalla magistratura, oppure mantenere lo status quo, rischiando di restare isolato nel panorama internazionale. I recenti sviluppi politici, con l’indebolimento del PLD e l’incremento dei seggi ottenuti dai partiti di opposizione nelle elezioni dell’ottobre 2024, potrebbero favorire una configurazione parlamentare più aperta a compromessi legislativi. Inoltre, il neoletto premier, Shigeru Ishiba, sebbene appartenente al PLD, ha manifestato in un recente libro (“Conservative Politician: My Policies, My Destiny”, pubblicato nell’agosto 2024) la necessità di discutere il tema del matrimonio tra persone dello stesso sesso alla luce dei diritti fondamentali come sanciti dalla Costituzione giapponese. Si segnala altresì che l’ultima tornata elettorale ha registrato un numero record di donne elette, il che potrebbe introdurre un ulteriore elemento di rinnovamento e sensibilità verso tematiche di inclusione e diritti civili.
In conclusione, emerge con chiarezza come le controversie giuridiche possano fungere da potente catalizzatore per il cambiamento sociale e politico, sollecitando non solo una riflessione giuridica, ma anche un più ampio dibattito sociale e politico. A partire dal caso di Sapporo del 2021, i ricorsi hanno costituito un terreno fertile per il riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso. Con l’incremento delle pronunce favorevoli, il movimento per i diritti LGBTQ+ ha guadagnato visibilità e sostegno, contribuendo a plasmare un dialogo pubblico sempre più incline al riconoscimento dei diritti delle coppie dello stesso sesso. Tali evoluzioni confermano che la magistratura può assumere un ruolo fondamentale nell’avanzamento dei diritti umani, fungendo da baluardo contro l’inerzia legislativa e stimolando l’adeguamento dell’ordinamento giuridico ai valori di una società in continua evoluzione.
14 Novembre 2024
Finalmente giustizia: la Corte suprema nipponica riconosce dignità alle vittime della disciplina eugenetica
Il 3 luglio 2024, la Corte suprema giapponese ha emesso una sentenza storica, dichiarando l’incostituzionalità di una legge per la tredicesima volta dalla sua istituzione e riconoscendo finalmente le violazioni dei diritti umani intercorse per quasi cinquanta anni a causa della disciplina censurata. La pronuncia riguarda la ormai abolita Eugenic Protection Law, in vigore dal 1948 al 1996, che prevedeva la sterilizzazione forzata di persone con disabilità, coinvolgendo oltre 25.000 individui. Tali dati hanno portato i commentatori a definirla come la più grande violazione dei diritti umani nella storia del Dopoguerra giapponese.
Per meglio contestualizzare la pronuncia, è opportuno analizzare il contesto socioculturale e giuridico.
L’ideologia eugenetica ha una lunga storia nel Paese del Sol Levante, risalente alla fine del sakoku. Infatti, in seguito allo sbarco delle “Navi Nere” (1853), capitanate dal comandante Matthew Perry, si individuò la potenziale minaccia delle potenze straniere. Proprio per garantire la “qualità” della popolazione giapponese e contrastare le forze statunitensi, si diffuse l’idea di favorire i matrimoni tra persone “selezionate”. Con questo substrato socioculturale, le teorie eugenetiche di Galton, volte a migliorare la “razza” umana, trovarono terreno fertile.
Nel 1940 venne approvato il National Eugenic Act, che introdusse una forma di sterilizzazione volontaria mirata alle persone con disabilità intellettive e genetiche. Tale legge, a ben vedere, aveva lo scopo di incrementare la popolazione, incentivando le unioni tra persone con “geni di qualità”. Tuttavia, ebbe scarsa applicazione nella pratica, stante la volontarietà delle misure.
In seguito al Secondo conflitto mondiale, il Governo, scontrandosi con la sovrappopolazione e la scarsità di risorse, decise di varare nel 1948 una nuova legge: Eugenic Protection Law. L’obiettivo della disciplina, come esplicitato nell’art. 1, era quello di prevenire l’incremento di “inferior descendant” dal punto di vista eugenetico e proteggere la vita e la salute della madre. Infatti, sempre per contrastare la sovrappopolazione, e quindi in un’ottica pubblicistica e non individuale, la legge introdusse anche la disciplina dell’aborto. In aggiunta alle forme di sterilizzazione volontaria, vennero introdotte forme di sterilizzazione coattiva (artt. 4 e 12), previo parere di una Commissione ad hoc.
Nel 1949, il Ministero della Salute nipponico sollevò dubbi sulla compatibilità della legge con i diritti umani proclamati nella neo-approvata Costituzione (1947). Un dubbio legittimo se consideriamo che solo quattro anni prima iniziò il processo di Norimberga che portò all’elaborazione degli omonimi principi (1950), responsabilizzando i funzionari nell’esecuzione degli ordini impartiti. Il Ministero della giustizia, tuttavia, rassicurò che la sterilizzazione, tutelando l’interesse pubblico, non contrastava con lo spirito della Costituzione.
Seguirono diversi emendamenti alla legge: il primo nel 1952, atto a estendere le operazioni anche a disabilità non ereditarie; il secondo nel 1957, volto a prevedere la sterilizzazione anche per i criminali.
Inoltre, nel 1953 il Ministero della salute emise una circolare autorizzando l’uso di metodi quali l’anestesia, la costrizione fisica e l’inganno nel caso di opposizione del paziente.
Durante la vigenza di questa disciplina, in Giappone furono eseguite oltre 25.0000 sterilizzazioni, con un picco negli anni Cinquanta. Le disposizioni eugenetiche rimasero in vigore fino alla revisione della legge nel 1996, avvenuta anche grazie alle critiche della comunità internazionale in seguito alla denuncia dell’attivista Asaka Yūko durante la Conferenza del Cairo sulla popolazione e lo sviluppo (1994). L’anno seguente, inoltre, alcune attiviste sollevarono la questione durante la Quarta Conferenza Internazionale delle donne di Pechino.
Con l’emendamento del 1996, approvato all’unanimità, tutti i riferimenti eugenetici vennero rimossi e la legge venne rinominata Maternal Health Protection Law. Sebbene diverse associazioni della società civile, a partire dal 1997, richiesero scuse ufficiali e risarcimenti, lo Stato si rifiutò, sostenendo che le operazioni, poiché effettuate secondo disposizioni di legge, erano di per sé legittime.
Nel 2016, in seguito alla strage di Sagamihara, la società civile si rese conto di quanto i valori eugenetici fossero stati interiorizzati dalla popolazione. Pertanto, nel 2018 due donne della prefettura di Miyagi, sterilizzate rispettivamente nel 1963 e nel 1972, intentarono un ricorso contro lo Stato al fine di conseguire un risarcimento per i danni subiti. Inoltre, esse speravano di ottenere un mutamento nella percezione sociale dei disabili.
Nel 2019, la Corte distrettuale di Sendai riconobbe l’incostituzionalità della legge poiché contrastante con l’art. 13 della Costituzione, ossia il diritto alla ricerca della felicità e il rispetto dell’individuo. Tuttavia, i giudici respinsero le richieste di risarcimento, applicando il termine prescrizionale di 20 anni previsto all’art. 724 del Codice civile. Le due ricorrenti, vedendo insoddisfatte le loro pretese, proposero appello. La loro battaglia innescò un mutamento sociale ed istituzionale.
Da un lato, la loro azione sollecitò altre vittime a proporre a loro volta ricorsi. Dall’altro lato, la Dieta emanò ad aprile del 2019 una legge per risarcire le vittime, accordando una cifra forfettaria di 3.2 milioni di yen (circa 18.500 euro), da richiedersi entro 5 anni dall’emanazione della legge. Il testo legislativo fu oggetto di critiche poiché non chiariva le responsabilità politiche della disciplina eugenetica. Pertanto, molte vittime preferirono intentare ricorsi per ottenere un risarcimento effettivo e maggiore chiarezza sulle atrocità avvenute.
Nel 2020, il Parlamento iniziò un’inchiesta per rilevare dati e statistiche sull’applicazione della legge. Il rapporto, di 14.000 pagine, vide la luce nel 2023. I dati contenuti in esso provocarono una forte riprovazione sociale: delle 25.000 vittime, alcune di soli 9 anni, ben 16.500 furono sterilizzate con la forza. Inoltre, molte persone non comparirebbero nelle statistiche poiché alcune operazioni sarebbero state condotte al di fuori dell’applicazione della legge.
In parallelo, l’iter giurisdizionale avviato dagli ormai 39 ricorrenti proseguì. Il susseguirsi di ricorsi ed appelli portò a esiti parzialmente discordanti: sebbene tutti i giudici riconoscessero l’incostituzionalità della ormai defunta disciplina, non tutti garantirono il risarcimento. Peraltro, alcuni ricorrenti, a causa dell’età avanzata, morirono in attesa del giudizio.
Nel 2024 erano rimaste pendenti cinque cause (decise delle Alte Corti di Sapporo, Sendai, Osaka, Kyoto e Tokyo), che sono state riunite e rimesse alla Corte suprema. Quest’ultima è stata chiamata a pronunciarsi sia sulla costituzionalità della disciplina, sia sull’eventuale applicazione della prescrizione ventennale. Infatti, sebbene la giustizia costituzionale giapponese adotti un modello di carattere diffuso, la Corte suprema rimane giudice di ultima istanza sulle questioni di costituzionalità.
L’udienza, in cui i 15 giudici hanno sentito le testimonianze delle vittime, si è tenuta il 30 maggio 2023.
In quattro dei casi trattati (Sapporo, Tokyo, Kobe e Osaka) la Corte suprema ha confermato la decisione delle Alte Corti, dichiarando la legge incostituzionale e confermando il risarcimento. Riguardo alla decisione dell’Alta Corte di Sendai, l’unica che aveva negato la compensazione, la Corte suprema ha accolto il ricorso delle vittime e rinviato la questione alla Corte inferiore, affinché questa proceda con la definizione del risarcimento.
Nella decisione della Corte suprema, i giudici hanno statuito all’unanimità che la legge comportava serie violazioni dei diritti umani, infrangendo i principi costituzionali della dignità personale (art. 13) e dell’uguaglianza (art. 14). La Corte suprema ha inoltre osservato che gli organismi internazionali, come il Comitato per i Diritti Umani, e gli organismi nazionali, come la Federazione degli avvocati giapponesi, avessero più volte criticato la mancata compensazione per le vittime. Infatti, la Corte ha riconosciuto il risarcimento previsto dalla legge del 2019 come non sufficiente e non idoneo a riconoscere la responsabilità del Governo. Infine, secondo i 15 giudici, poiché la legge era incostituzionale, l’applicazione della prescrizione ventennale perpetuava l’ingiustizia e le violazioni dei diritti umani causate dalla disciplina eugenetica.
Possiamo adesso chiederci perché tale sentenza costituisce un mutamento storico.
Poiché la disciplina eugenetica era già stata abolita, la sentenza ha primariamente lo scopo di illustrare che le violazioni dei diritti umani non saranno tollerate neanche se giustificate da testi legislativi. In secondo luogo, la decisione ha finalmente portato chiarezza sulle responsabilità: successivamente al deposito della sentenza, il primo ministro Kishida ha annunciato che incontrerà i ricorrenti per porgere personalmente le sue scuse.
Inoltre, in questo caso, la Corte suprema ha mostrato un volto nuovo, più vicino alle persone. Non solo è stato ammesso a numerosi uditori di partecipare all’udienza (l’affluenza è stata talmente alta che le persone ammesse a partecipare sono state sorteggiate), ma per la prima volta le spese degli interpreti della lingua dei segni sono state pagate con fondi pubblici. Sembrerebbe altresì che i giudici, in continuità con la sentenza del 25 ottobre 2023 inerente al procedimento per la transizione di genere, mostrino un maggiore attivismo, non applicando più in maniera stringente la dottrina dell’atto politico e intervenendo di fronte a violazioni dei diritti umani. Inoltre, in questo caso la Corte suprema si è posta in aperto contrasto con il Governo, criticando la legge del 2019.
In conclusione, possiamo riconoscere anche l’importanza della mobilitazione sociale, coadiuvata dalla comunità internazionale, nel favorire il mutamento istituzionale. Le vittime, utilizzando la strategic litigation hanno combattuto per ottenere giustizia: il loro obiettivo principe non era il denaro, ma la rimozione del velo di omertà che per lungo tempo ha precluso l’assunzione della responsabilità politica.
23 Luglio 2024