Le norme fondamentali dei Trattati prevalgono sul regime proprietario degli Stati membri

Il 22 ottobre scorso la Grande Sezione della Corte di giustizia dell’Unione europea ha emesso la sentenza concernente le cause riunite Staat der Nederlanden c. Essent NV (C-105/12), c. Essent Nederland BV (C-105/12), c. Eneco Holding NV (C-106/12) e c. Delta NV (C-107/12).

Presupposto delle controversie è rappresentato dal c.d. ‘unbundling’ delle reti energetiche imposto dalla dir. 2003/54/CE e dalla dir. 2009/72/CE che hanno disposto in ambito europeo la separazione della proprietà e gestione della rete distributiva di energia elettrica dalla prestazione del servizio di fornitura della medesima.

Nello specifico le controversie sono sorte in ragione delle previsioni in forza delle quali in Olanda sono – in estrema sintesi – vietati la proprietà privata delle e l’investimento privato nelle reti distributive dell’energia (c.d. ‘divieto di privatizzazione’). Rispetto a tali previsioni alcune società private (anche non olandesi) prestatrici dei servizi di fornitura di energia elettrica hanno lamentato la violazione dell’art. 63 del TFUE in materia di libera circolazione dei capitali.

La rilevanza della sentenza in questione nasce dalla circostanza che il governo olandese ha difeso la scelta legislativa nazionale invocando l’art. 345 del TFUE in cui è affermato che «i Trattati lasciano del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri».

Questo articolo del TFUE (da sempre presente nei Trattati) è stato oggetto di lunghi dibattiti in ambito accademico e la recente sentenza arreca importanti chiarimenti al riguardo.

In via preliminare i giudici di Lussemburgo affermano che l’art. 345 del TFUE è espressione del ‘principio di neutralità’ dei Trattati in relazione ai regimi di proprietà negli Stati membri (par. 29), sicchè gli stessi non impediscono né operazioni di nazionalizzazione, né operazioni di privatizzazione delle imprese (par. 30).

Tuttavia, con passaggio fondamentale rispetto al passato, la Corte europea afferma che il ‘principio di neutralità’ di cui all’art. 345 del TFUE non sottrae i regimi di proprietà degli Stati membri alle norme fondamentali dei Trattati, fra cui il divieto di discriminazione, la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei capitali (par. 36).

La Corte di giustizia ha così valutato il ‘divieto di privatizzazione’ previsto nell’ordinamento olandese alla luce dell’art. 63 del TFUE e ne ha sancito la contrarietà rispetto a tale ultima disposizione, pur non escludendo che gli obiettivi sottesi alla scelta del legislatore nazionale rispetto al regime di proprietà adottato possano essere presi in considerazione quali motivi imperativi di interesse generale per giustificare la restrizione alla libera circolazione dei capitali.

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La Corte di giustizia dell'Unione europea assimila (per i benefici matrimoniali ai dipendenti) il Pacs al matrimonio

Mentre l’Australia segna un “passo indietro” nella protezione della parità di diritti delle persone omosessuali e della loro vita familiare negando l’ingresso al matrimonio fra persone del medesimo sesso nel proprio ordinamento, la Corte di giustizia dell’Unione europea assimila gli istituti familiari aperti alle coppie del medesimo sesso al matrimonio, contrastando una discriminazione diretta fondata sull’orientamento sessuale.

Con la sentenza resa nella causa C-267/12 (Frédéric Hay c. Crédit agricole mutuel de Charente-Maritime et des Deux-Sèvres) i giudici della corte europea (Pres. von Danwitz, rel. Šváby) hanno stabilito la sussistenza di una violazione del ‘principio di parità di trattamento’ di cui alla dir. 2000/78/CE in materia di occupazione e condizioni di lavoro in occasione dell’applicazione della disposizione di un contratto collettivo nazionale francese in forza della quale i c.d. ‘benefici matrimoniali’ concessi ai dipendenti in occasione del loro matrimonio (giorni di congedo straordinario e premio stipendiale) erano stati negati a un lavoratore dipendente unito in un PACS (pacte civile de solidarité) con una persona del medesimo sesso.

La decisione viene assunta sulla base della comparabilità e analogia di situazione (in relazione alla finalità e ai presupposti di concessione dei benefici matrimoniali) fra persone che possono unirsi in matrimonio e persone che, essendo del medesimo sesso, non possono invece accedere al matrimonio, ma a un diverso istituto che formalizza la loro unione familiare.

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La corte suprema indiana salva il reato di omosessualità

La Corte Suprema indiana ha confermato il giudizio della High Court di Delhi (Bench Division) in merito alla ritenuta legittimità costituzionale dell’art. 377 del Codice penale indiano che punisce gli atti sessuali  "penile non-vaginal” fra adulti e fra adulti e minori.
Peraltro, la Corte suprema invita il Parlamento indiano ad intervenire per rimuovere la confusione in materia sulla base di quanto osservato dal 172 Report della Law Commission of India, che ha proposto l’abolizione dell’art. 377 del Codice penale indiano.

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Diálogo institucional y matrimonio igualitario

Il matrimonio fra persone del medesimo sesso rappresenta  un formidabile "banco di prova" dell'auspicabile dialogo istituzionale fra corti (supreme) e parlamento.

http://www.ambitojuridico.com/BancoConocimiento/N/noti-130612-16dialogo_institucional_y_matrimonio_igualitario/noti-130612-16dialogo_institucional_y_matrimonio_igualitario.asp


Advisory Opinions: More Cases for the Already Overburdened Strasbourg Court

Lo scorso 2 ottobre, a Strasburgo, è stato aperto alla firma il Protocollo 16 alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo a norma del cui art. 1 :"Le più alte giurisdizioni di un’Alta Parte contraente, designate conformemente all’articolo 10, possono presentare alla Corte delle richieste di pareri consultivi su questioni di principio relative all’interpretazione o all’applicazione dei diritti e delle libertà definiti dalla Convenzione o dai suoi protocolli". Un canale di dialogo istituzionale anche per l'asse Corti (supreme) nazionali e Corte europea dei diritti dell'uomo? L'articolo 5 dello stesso protocollo sembra spegnere sul nascere gli entusiasmi prevedendo che: "I pareri consultivi non sono vincolanti". Basterà l'assenza di un vincolo formale a frenare l'attitudine cooperativa tra giudici nazionali e Corte di Strasburgo? E che tipo di implicazioni la nuova procedura può avere sull'attività della stessa Corte? Il guest post di seguito prova a ragionare proprio su questi quesiti

http://www.verfassungsblog.de/en/advisory-opinions-more-cases-for-the-already-overburdened-strasbourg-court/#.UonZXcRyGSq


Torreggiani, un monito non basta...

La sentenza della Corte costituzionale sul caso Torreggiani: la Corte si limita al monito, ma intanto si avvicina il termine per adottare misure idonee a limitare il sovraffollamento carcerario...

http://www.cortecostituzionale.it/schedaUltimoDeposito.do;jsessionid=58A89965B43E2BDE3A710B3C02BA5223

 


CONTRO IL REATO DI NEGAZIONISMO. L'appello dell'Unione delle Camere Penali

Il dramma della Shoah e' ben presente nella memoria del popolo italiano, così come i crimini contro l' umanità che hanno contraddistinto la storia contemporanea fino ai nostri giorni. Occorre tenere sempre desta l’attenzione, affinando la capacità di lettura degli accadimenti ed operando affinchè su questi temi vi sia sempre sensibilità culturale e trasmissione della memoria alle giovani generazioni.
Il problema del negazionismo, con particolare riguardo alla Shoah, è antico e va contrastato con forza, ma con la forza delle idee. Invece, riportato all’attenzione dalla morte di un criminale nazista, a tambur battente è stato approvato in Commissione Giustizia del Senato l’inserimento nel codice penale di una fattispecie di reato per chi “nega l’esistenza di crimini di genocidio o contro l’umanità o di guerra”, estendendo inoltre il reato di apologia ai casi in cui essa riguardi i crimini di cui sopra.
Gia nel 2007, quando il reato di negazionismo era stato proposto dal Guardasigilli Mastella, gli storici italiani denunciarono la pericolosità delle verità di Stato, stabilite nei tribunali penali, evidenziando il paradossale effetto di far diventare i negazionisti paladini della libertà di espressione. A queste obiezioni è opportuno aggiungere oggi quelle degli studiosi del diritto.
La reattiva risposta a fenomeni che turbano l’opinione pubblica attribuisce un valore eminentemente simbolico al diritto penale e perpetua, in questo modo, la deprecabile prassi di legiferare su spinte emotive, quando non per calcolo demagogico, spesso ignorando la coerenza complessiva del sistema. E’ esattamente quello che si sta cercando di fare adesso.
Il ricorso simbolico alla sanzione criminale è talmente eccentrico rispetto ai limiti costituzionali della tutela penale e agli scopi razionali suscettibili di essere assegnati alla pena, da non meritare che un moto di sconcerto. Le fattispecie incriminatrici di valenza simbolica costituiscono ormai una flotta pirata tanto sciaguratamente estesa da non richiedere davvero il varo di un’ammiraglia come quella che si va architettando.

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Un nuovo Warning dei Parlamenti nazionali: ne fa le spese il Pubblico Ministero Europeo...

Dopo quello relativo alla proposta di Regolamento in materia di sciopero, arriva un nuovo "warning" sulla violazione del principio di sussidiarietà. Stavoltà, un nutrito gruppo di Parlamenti nazionali affossa la proposta della Commissione che intendeva istituire l'Ufficio del Pubblico Ministero Europeo.

Lo strumento del "warning" - che all'indomani del Trattato di Lisbona era stato prevalentemente criticato e ritenuto debole e di difficile attuazione - sta dunque prendendo piede. In particolare, alcuni Paesi membri sembrano averne compreso il valore e l'uso. E l'efficacia, che in termini formali può apparire meramente dilatoria rispetto alla prosecuzione dell'iter legislativo, è in realtà molto vincolante in termini politici.

Invitiamo alla lettura del bel commento pubblicato sul blog "European Law", che trovate al seguente link:

http://europeanlawblog.eu/?p=2025

 

 


Il diritto dei cittadini dell’Unione di avere un governo

Pubblichiamo l’editoriale di Luigi Moccia del n. 1 del 2013 della rivista ‘La cittadinanza europea’.

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