Orlando Scarcello
Planned Parenthood South Atlantic v South Carolina (2023): il federalismo americano dopo Dobbs v. Jackson
In this essay, I comment upon the Planned Parenthood South Atlantic v. South Carolina judgement by the Supreme Court of South Carolina. Decided in January 2023, the judgement establishes the right to abortion under the privacy clause of the South Carolina Constitution. It must be contextualized within the broader legal and political dispute on abortion in the USA, which led in 2022 to the Supreme Court’s Dobbs judgement and to the overruling of Roe v. Wade. As such, the judgement under examination must be understood as a form of contestation at the state level of federal constitutional law, a phenomenon known under American law as “New Judicial Federalism”.
5 Luglio 2023
Georgiou c Grecia: l'obbligo di giustificazione del mancato rinvio pregiudiziale nel sistema CEDU
Lo scorso 14 marzo la Terza Sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo ha pubblicato la propria decisione nella causa Georgiou contro Grecia. La sentenza è di particolare interesse sotto due profili: la qualificazione del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea come rimedio giurisdizionale interno ai sensi dell’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e le modalità di esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo. Il secondo tema, ampiamente trattato nell’opinione concorrente del giudice Serghides, non sarà esaminato in questo breve contributo. Ci concentreremo, invece, sul ragionamento della Corte in relazione allo status del rinvio pregiudiziale nel sistema della Convenzione.
Ricapitolando brevemente i fatti, il caso oppone Andreas Georgiou alla Repubblica ellenica. Georgiou, economista greco e a lungo funzionario del Fondo monetario internazionale (FMI), è Presidente dell’Autorità statistica greca (Elstat) tra il 2010 e il 2015. Il 10 novembre 2010, Georgiou trasmette all’autorità europea per la statistica (Eurostat) i dati corretti relativi al disavanzo greco per il 2009, senza passare per l’approvazione del comitato direttivo dell’Elstat. Rivelando una situazione di finanza pubblica assai peggiore di quanto inizialmente noto, le comunicazioni di Georgiou contribuiscono a mettere in moto la crisi del debito greco. Le rivelazioni a Eurostat portano Georgiou ad essere oggetto di un procedimento penale sulla base di tre capi d’accusa: l’aver violato i suoi doveri di impiego professionale esclusivo con Elstat (poiché Georgiou aveva comunque mantenuto un impiego presso l’FMI), il non aver convocato come dovuto il comitato direttivo di Elstat tra il November 2010 e il Settembre 2011, l’aver rilasciato le informazioni sul deficit a Eurostat senza avvisare il direttivo Elstat. Assolto nel dicembre 2016 da tutte le accuse dal Tribunale di Atene, Georgiou è condannato per l’ultimo reato ascrittogli in appello (agosto 2017). La Corte d’appello ritiene che Georgiou abbia inviato le comunicazioni a Eurostat illegalmente e in piena coscienza delle proprie azioni, con l’obiettivo di ricavarne un “beneficio morale”, ossia esautorare il direttivo e trasformare Elstat in un’istituzione di fatto monocratica. Condannato a due anni con pena sospesa, Georgiou impugna la sentenza d’appello per cassazione. Nel marzo 2018, Georgiou domanda alla Corte di Cassazione greca di sollevare una questione pregiudiziale di fronte alla Corte di giustizia dell’Unione europea ai sensi dell’articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell’UE. Il caso di Georgiou è, in effetti, regolato dal diritto dell’Unione e, più nello specifico, dal c.d. Codice delle statistiche europee, uno strumento di autoregolazione adottato dal Comitato consultivo europeo per la governance statistica, ossia l’organo che comprende l’Eurostat e le autorità statistiche degli stati membri, secondo un modello “a rete” molto tipico dell’UE. Il codice, adottato nel 2005 e riformato nel 2017, è articolato in 16 principi e dispone al principio 1.4 che i presidenti dell’Eurostat e delle autorità statistiche nazionali abbiano responsabilità esclusiva per, tra le altre cose, le decisioni sul contenuto e i tempi di pubblicazione dei propri report. Nel domandare alla Cassazione un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, Georgiou e i suoi legali specificano che l’interpretazione del principio 1.4 non è ovvia e, pertanto, necessita di un chiarimento da parte della Corte UE. In caso di mancato chiarimento, il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva di Georgiou, garantita all’articolo 6 CEDU, sarebbe leso. Nel giugno 2018, la Cassazione greca respinge il ricorso di Georgiou senza menzionare la questione del rinvio pregiudiziale. Quest’ultimo decide di ricorrere alla Corte di Strasburgo per violazione dell’articolo 6 CEDU da parte della Grecia.
Le parti presentano alla Corte di Strasburgo i seguenti argomenti. A detta di Georgiou, l’interpretazione del principio 1.4 è essenziale alla risoluzione del caso e richiede una pronuncia della Corte di giustizia. Il governo greco, d’altra parte, ritiene il ricorso alla Corte di giustizia non necessario, poiché il concetto di “responsabilità esclusiva” non è in realtà particolarmente oscuro, né essenziale alla risoluzione della controversia.
La posizione della Corte di Strasburgo, espressa in brevi paragrafi, è favorevole a Georgiou. A detta della Corte, l’articolo 6 della Convenzione, cui Georgiou aveva fatto riferimento, non impone ai giudici nazionali di utilizzare sistematicamente il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, ma implica un dovere di specificare le ragioni del mancato rinvio. Più nello specifico, un giudice nazionale di ultima istanza, per non violare l’articolo 6 CEDU, deve chiarire alternativamente (a) perché la questione non è rilevante per il caso in esame, (b) che la questione è già stata in realtà chiarita dalla Corte di giustizia o (c) che l’interpretazione del diritto dell’Unione risulta talmente ovvia da non richiedere un rinvio pregiudiziale. In sostanza, la Corte di Strasburgo, pur senza mai indicarlo esplicitamente, ricalca qui indicazioni date sul punto dalla stessa Corte di giustizia in casi quali Cilfit, quando si era trattato di chiarire in quali casi i giudici nazionali di ultima istanza avrebbero potuto evitare di sollevare un rinvio pregiudiziale. In Georgiou, la Corte di Cassazione greca non può che qualificarsi come giudice di ultima istanza e, di conseguenza, sfugge al dovere di sollevare una questione pregiudiziale solo nei limitati casi appena ricordati. Poiché non si trova alcuna risposta nella sentenza della corte greca all’istanza rinvio pregiudiziale di Georgiou, la Corte di Strasburgo ritiene l’articolo 6 CEDU evidentemente violato dalla Repubblica greca.
La sentenza si chiude con alcuni paragrafi relativi all’esecuzione del giudizio. Come precedentemente accennato, questo aspetto non verrà analizzato qui, fatta salva la breve sintesi che segue. Georgiou non richiede, al momento della presentazione del ricorso, un equo indennizzo a seguito dell’eventuale esito favorevole del giudizio, avendo come solo obiettivo una revisione della sentenza interna di ultima istanza. La Corte chiarisce come, benché sia normalmente rimesso agli Stati di decidere come eseguire una sentenza di condanna a Strasburgo, nel caso di specie non vi sia altro mezzo idoneo a riparare al torto subito dal ricorrente se non riaprire il procedimento per Cassazione e rimettere la questione pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’UE. Un’indicazione particolarmente specifica che, come accennato, è supportata da un’apposita opinione concorrente.
Georgiou c. Grecia merita una certa attenzione per almeno due ragioni relative al ruolo del rinvio pregiudiziale nel sistema della Convenzione.
In primo luogo, è da notare come la norma di diritto dell’Unione europea sulla quale si basano il ricorso e la richiesta di un rinvio pregiudiziale di Georgiou sia in effetti un principio contenuto in un atto di autoregolazione adottato dalle autorità statistiche nazionali. Come chiarito dalla Corte di giustizia anche in casi recenti come Fédération bancaire française (C-911/19), il rinvio pregiudiziale ha come oggetto l’interpretazione e la validità degli atti, in senso generale, delle istituzioni, degli organi e degli organismi dell’Unione, senza distinzioni di vincolatività. Ne segue che un atto di soft law risulterà parte delle disposizioni di cui la Corte è abilitata a chiarire il significato. Naturalmente la questione non è discussa dalla Corte di Strasburgo, la quale avrebbe altrimenti dovuto giudicare di un tema interno al diritto dell’Unione, ma data per scontata. Vale però la pena di sottolineare il crescente ruolo degli strumenti soft law nell’ordinamento europeo e, in particolare, della c.d. autoregolazione.
In secondo luogo, Georgiou c. Grecia evidenzia l’emersione del dovere di giustificazione da parte delle corti apicali degli Stati membri quando queste decidano di non sollevare una questione pregiudiziale. È impossibile non notare una certa somiglianza tra la sentenza qui esaminata e il caso Consorzio Italian Management (C‑561/19) deciso dalla Corte di giustizia un anno e mezzo fa. In Consorzio Italian Management, la Grande Sezione della Corte ha ricordato come, in linea di principio, un giudice di ultima istanza sia tenuto a richiedere un chiarimento del diritto dell’Unione, esclusi i casi già citati di irrilevanza, chiarimento già occorso o evidente chiarezza della disposizione impugnata. L’evidente chiarezza della disposizione, prosegue la grande sezione della Corte di giustizia, richiede che non vi siano contrasti giurisprudenziali all’interno dello Stato membro o anche tra giudici di Stati diversi portati all’attenzione del giudice di ultima istanza. È dunque necessario che non vi siano ragionevoli dubbi sull’interpretazione del diritto UE, né a livello nazionale, né tra i vari ordinamenti interni all’Unione, perché il giudice di ultima istanza possa legittimamente evitare il rinvio. Infine, Consorzio Italian Management specifica come l’irrilevanza della questione proposta dalle parti, il chiarimento già occorso o l’evidente chiarezza della disposizione debbano essere adeguatamente spiegati dal giudice di ultima istanza nella decisione finale, pena la violazione del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva (articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, disposizione “gemella” dell’articolo 6 CEDU). In altre parole, la Corte di Strasburgo sembra replicare nel proprio ordinamento e sulla base delle disposizioni della CEDU lo stesso approccio adottato dalla Corte di giustizia: il chiarimento di una questione di diritto per mezzo di rinvio pregiudiziale è un diritto individuale quando il giudice nazionale sia di ultima istanza (articoli 47 della Carta e, simmetricamente, 6 CEDU). Il giudice nazionale deve adeguatamente spiegare come mai, in determinati casi, il mancato rinvio sia giustificabile senza ledere le prerogative “costituzionali” (in senso ampio) delle parti. Il risultato è una sorta di armonizzazione giurisprudenziale delle condizioni in base alle quali il rinvio può essere evitato in sede di ultima istanza, con una notevole differenza: poiché il sistema CEDU consente i ricorsi individuali, e assumendo che casi come Georgiou diventino la norma a Strasburgo, le parti che si vedano private di un rinvio pregiudiziale senza adeguata giustificazione potranno sistematicamente ottenere la condanna dello Stato membro alla riapertura del processo o anche, qualora ciò sia domandato, un equo indennizzo monetario.
17 Maggio 2023
Diritti Comparati Vlog:
Orlando Scarcello - Radical Constitutional Pluralism in Europe
Orlando Scarcello, Radical Constitutional Pluralism in Europe, Routledge, 2022, https://is.gd/fofHLG.
7 Febbraio 2023
Book Review: Giorgio Pino, Teoria analitica del diritto I – La norma giuridica (ETS, 2016)
“Dall’ordinamento al ragionamento”: la via per dirsi ancora normativisti nel diritto contemporaneo. Potrebbe riassumersi così il senso profondo di “Teoria analitica del diritto I – La norma giuridica”, libro snello, ma ambizioso, del prof. Giorgio Pino.
Il testo tocca molti dei temi centrali della teoria del diritto contemporanea: dalla distinzione regole/principi alle gerarchie normative, dal dibattito sulla regola di riconoscimento alla tassonomia delle norme.
Il trait d’union nella relativa eterogeneità dei temi affrontati, e ciò che conferisce sistematicità al lavoro, è proprio questo: il concetto di norma giuridica come “unità fondamentale” su cui costruire gran parte della comprensione (e autocomprensione) dell’attività dei giuristi. Ma come restituire un ruolo veramente esplicativo ad una nozione più volte sottoposta ad attacchi assai pesanti, dalle “demistificazioni” della famiglia dei realismi giuridici, alle rivendicazioni di superiorità per il concetto di “istituzione”, tipica delle correnti (neo)istituzionaliste?
La forza del libro sta in questo, nell’aver risposto al quesito spostando l’attenzione “dall’ordinamento al ragionamento”: si può ancora trovare un ruolo centrale per il concetto di “norma” inquadrandola come tassello di base delle complesse pratiche di “dare e avere” ragioni tipiche delle attività dei giuristi. In tal modo, il lavoro si pone all’interno di una linea di ricerca pienamente analitica, vista l’enfasi sul carattere principalmente linguistico, anche se non esclusivamente tale, del diritto, e pienamente positivista, se è vero che alcuni dei più noti esponenti di questa linea sono certamente tali (si pensi a Frederick Schauer e Joseph Raz, ad esempio).
Sempre in quest'ottica si comprende la centralità che nell’architettura del libro assume la nozione, già in passato accortamente indagata dall’autore, di applicabilità delle norme, distinta dalla più tradizionale nozione di validità. Anche in questo caso, si tratta di una nozione teorica costruita per rendere più chiare e comprensibili le operazioni concretamente effettuate dai giuristi nella pratica del diritto, ossia nei complessi (e più o meno solidi) ragionamenti di giudici, avvocati, funzionari, e via dicendo.
Per molti versi questo è il maggior pregio del libro: tentare di riformulare molti dei concetti teorici elaborati in un dibattito ormai decennale alla luce della funzione che essi assumono nel ragionamento giuridico. Si pensi, ad esempio, alla posizione che l’autore assume in merito alla distinzione regole/principi: la differenza meramente quantitativa, e non qualitativa, è sposata alla luce degli usi che queste categorie hanno in ciò che i giuristi fanno con le une e con gli altri (bilanciare, specificare, giustificare, rendere defettibili altre prescrizioni…).
In ragione di questo approccio il testo fornisce un armamentario concettuale assai chiaro anche a chi il diritto concretamente lo pratica, e talvolta certe operazioni le compie (anche se magari senza una piena consapevolezza) o magari le vorrebbe compiere (ad esempio, si pensi alla ricognizione dei metodi per “scavalcare” una norma superiore contenuta nel capitolo VII). Proprio in questo senso il libro può diventare qualcosa di più e di diverso rispetto a un semplice libro per specialisti di jurisprudence.
A voler insistere sull’attenzione per le operazioni argomentative dei giuristi, si potrebbe trovare anche il pelo nell’uovo, anzi se ne troverebbero due. Dal punto di vista teorico, infatti, il libro colloca la nozione di norma all’interno del ragionamento, ma non esplicita in modo ampio le relazioni tra la nozione di norma e quella di “ragione”, tema che forse avrebbe meritato uno spazio a sé. Dal punto di vista pratico, sebbene il libro abbondi di esempi tratti dalla pratica giuridica, forse alcuni concetti sarebbero potuti emergere con maggior forza dedicando più spazio all’analisi dettagliata di casi concreti, seguendo un modello di analisi teorica che ha fatto scuola tra i giuristi (un titolo per tutti, Legal Reasoning and Legal Theory di Neil MacCormick). Queste sono, ad ogni modo, più possibili direttive per un ulteriore approfondimento che vere e proprie critiche.
In definitiva, il lavoro merita un’attenzione particolare ed un plauso per la chiarezza e l’equilibrio con cui temi assai complessi e spinosi sono trattati con rigore, ma anche resi accessibili ai non specialisti.
27 Marzo 2017