Massimiliano Mezzanotte
L’Unione europea tra presente e futuro. Recensione a M. Patrono, Europa. Il tempo delle scelte, Libreriauniversitaria Edizioni, 2018
Crisi economica e politica. Sono questi i due profili problematici da cui muove tutta la ricostruzione fatta da Mario Patrono, un esame analitico, scritto in modo fluido e scorrevole, che evidenzia, fin dalle prime pagine come la messa in accusa dell’euro, sfociata nel malcontento di cui la Brexit è l’espressione più evidente, sia una questione fondamentale per il futuro dell’Unione. Il rischio del ritorno al passato è allora più che concreto; ma come qualsiasi ammalato grave, è necessario fare l’anamnesi, ricostruire cioè le tappe che hanno portato l’Unione al punto in cui ci troviamo.
Fin da subito va detto che il tragitto percorso non è stato privo di insidie: una serie di avvenimenti (l’onda d’urto della politica gollista, gli shock petroliferi del 1975 e del 1979, le intemperanze della Thatcher e le difficoltà legate alla riunificazione della Germania) hanno ostacolato, ma non fermato, il cammino dell’Unione. Come sottolinea l’autore, però, i leader europei credevano nella “bontà del disegno ideativo” e nella “navigazione lungo la rotta prestabilita”. Un disegno che però, per essere compreso a pieno, necessita di essere ricostruito nelle sue tappe fondamentali, perché gli errori di progettazione possono essere individuati solo ripercorrendo le fasi che hanno portato al punto in cui siamo.
Alla base dell’idea di un’Unione vi era la volontà di neutralizzare la guerra, fondata principalmente su motivazioni di natura economica. Ed ecco allora il progetto di creare un vincolo economico, coalizzando popoli con affinità culturali e storia comune, ma in cui gli interessi economici rappresentano il collante principale. E’ questo in fin dei conti il c.d. “Metodo Monet”, ossia il tentativo di creare vincoli europei, fondati su tre elementi: integrazione economica, sovranazionalità e (neo)funzionalismo.
Le idee di Adam Smith, in base alle quali il commercio accresce la ricchezza degli Stati, aumenta l’amicizia, ostacola la guerra e favorisce la pace, costituivano i motivi fondanti l’Unione; le questioni legate alla Ruhr, poi, rappresentavano un fattore di rischio che andava sicuramente disinnescato (ed il piano Schumann ed i suoi successivi sviluppi servivano proprio a questo). Secondo passaggi ben individuati dall’Autore, si giunge quindi a un’unione doganale e a un mercato comune, il cui momento fondamentale può essere ravvisato proprio nel Trattato di Roma del 1957.
La sovranazionalità invece veniva garantita da organi, come la Commissione (il “guardiano del Trattato”) e la Corte di giustizia (si potrebbe dire, l’arbitro imparziale). Da ultimo, il neo-funzionalismo, ossia il desiderio che il processo di integrazione economica sfoci in uno di natura politica, secondo la formula “spill over” funzionale o “logica espansiva dell’integrazione settoriale”.
Ma, a questo punto, la ricostruzione utilizza le chiavi del diritto costituzionale, ossia con le categorie proprie di quest’ultimo viene ricostruita in prospettiva storica l’evoluzione dell’Unione. La problematica dell’efficacia del trattato in simbiosi con la necessità di individuare una “clausola di supremazia” all’interno degli Stati membri e di garantire l’uniformità del diritto in sede di applicazione (attraverso le teorie dell’effetto diretto e del primato del diritto dell’UE) rappresentano il primo momento di una parabola evolutiva che ha visto la contrapposizione, a volte anche aspra, del diritto della Comunità con quella degli Stati membri.
Ed ancora, seguendo sempre gli strumenti concettuali sopra richiamati, si ricostruiscono sia le problematiche connesse alla form of government sia quelle inerenti l’esistenza di un Bill of rights; sotto questo aspetto, l’analisi si arricchisce con riferimenti alla dialettica tra Corte di giustizia e giudici nazionali (in particolare con la Corte costituzionale tedesca), passando attraverso i momenti fondamentali della scrittura dei cataloghi dei diritti (come la Carta di Nizza); sul tappeto vengono messe quindi una serie di problematiche, che vanno dalla cittadinanza (istituita formalmente a Maastricht nel 1992) al potenziamento dei poteri della Commissione, dall’insufficiente crescita del Parlamento europeo sino alla carenza di partiti di carattere effettivamente europeo.
Dall’analisi deriva quindi un difetto che sembra essere genetico, ossia la mancanza di un popolo europeo consapevole del ruolo che può assumere e delle novità che l’istituzione dell’Unione garantisce a tutti i cittadini europei. Ancora una volta quindi le categorie del diritto costituzionale appaiono un punto di riferimento fisso, così la carenza di consapevolezza dell’essere popolo europeo, da un lato, e l’esistenza di scarsa funzionalità decisionale nell’UE, dall’altro.
Ma questi difetti originari, che il tempo avrebbe dovuto risolvere, invece portano i popoli degli Stati a rifiutare il Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa; Francia e Olanda esprimono il proprio no; l’Inghilterra congela il referendum, alla luce di questi avvenimenti. Resta da chiedersi quali siano le cause di questo dissenso. In realtà, non si tratta di un malcontento generico e passeggero, bensì ben radicato ancora una volta nei “peccati originari” dell’Unione, primo fra tutti la carenza di una politica unitaria; anche la volontà di far convivere Paesi con caratteristiche diverse e le problematiche connesse ai cambiamenti geopolitici (come la riunificazione della Germania) sono solo alcune questioni sul tappeto che impongono, ovviamente, una capacità di adeguamento non indifferente ma soprattutto una risposta unitaria, la capacità di intessere linee comuni e non isolate o egoistiche. Questo sforzo comune deve esprimersi in tutti i campi problematici, dalla lotta alla criminalità fino all’immigrazione, questione europea quest’ultima di grande attualità.
Un altro aspetto critico è l’euro; nato come compromesso con la Germania post-unificazione, esso è frutto, per l’Italia, di una forzatura, in quanto l’economia era evidentemente non all’altezza di quella degli altri Paesi. A ciò si accompagnò lo smembramento della politica economica e l’imposizione di limiti al debito e all’indebitamento degli Stati membri.
Ma ancora una volta tornano in auge i principi del diritto costituzionale: l’euro veniva gestito senza uno Stato di riferimento, l’esercizio della sovranità monetaria veniva sganciato da qualsiasi contesto di sovranità politica ma, soprattutto, depoliticizzato. Nel contempo, l’aspetto fiscale e tributario restava in mano agli Stati, creando un instabile equilibrio, messo in discussione dalla crisi del 2008. L’Unione, a differenza degli Stati Uniti, non riuscì a intervenire adeguatamente, proprio a causa delle scarse risorse.
Ma qual è allora lo stato di salute dell’Unione dopo il periodo in esame? Dell’UE abbiamo pregi e difetti; tra i primi, la pace, la concorrenza sostenibile e la tutela dei diritti. Tra i difetti vi è la mancata convergenza, ossia la difficoltà a creare un Unione sempre più stretta di popoli e Stati, volta a condurre verso il traguardo dell’unificazione politica.
Nel testo si evidenziano i tratti fondamentali della politica europea e statale; la prospettiva non è solo dall’alto verso il basso, ma anche dal basso verso l’alto. La storia appare un modello da tenere in considerazione per migliorare il futuro e per trarre da questa i programmi per risolvere le questioni che presentano ancora profili problematici, come la fallita convergenza o anche la difficoltà di attuare in alcuni Paesi (come l’Italia), a causa dell’estrema rigidità del principio europeo, le regole del Fiscal compact, che necessariamente hanno effetti su welfare state. A tali difficoltà, se ne aggiungo altre, di natura soggettiva, come ad esempio il crescente rigetto sociale dell’altro (atteggiamento tenuto soprattutto contro gli immigrati) o, in modo più grave, la carenza di una coscienza pubblica europea.
Il malcontento sfocia in movimenti turbolenti, nazionalismi e partiti nazionalisti, che cavalcano le promesse non mantenute dell’Unione e i tanti problemi esistenti (non da ultimo la disoccupazione). L’Europa appare allora sempre più come un malato, al cui capezzale sono accorsi medici di ogni tipo (economisti, politici, ecc.), senza trovare una soluzione; lasciarla alla deriva, ne comporterebbe l’implosione. Da qui nascono una serie di ulteriori prospettive, che impongono tutte la necessità di cambiare rotta. Ce ne sono alcune che partono all’interno degli Stati (come la possibilità dell’uscita dell’Italia dall’Unione o la nascita di confederazioni di Stati/Nazione) e altre che invece si sviluppano dentro l’UE. Sotto quest’ultimo profilo, emerge il contrastante desiderio di procedere alla creazione di un’Europa a due velocità, ossia non fare altro che utilizzare gli strumenti esistenti, come la cooperazione rafforzata, per spezzare, in sostanza, l’Europa in due tronconi.
Ma ancora una vota, l’UE prima di cambiare deve essere in grado di capire il suo ubi consistam, ossia il suo punto di stabilità, la sua dimensione all’interno del panorama globale. Quest’incertezza non le permette di assumere un ruolo chiaro (soprattutto sotto il profilo della politica estera), limitandosi per lo più ad atteggiamento sintomo di un “modo di fare estemporaneo e occasionale”.
Il percorso verso il rafforzamento appare però come una tappa obbligata; essa potrebbe rappresentare uno strumento di difesa verso i profili negativi della gobalizzazione (riuscendo a contrastare i mercati globali, “facendone transitare i benefici e riducendone i costi”), ad esempio. Nel contempo, però, sarà necessario “ripensare l’Europa”, incrementando il livello di democrazia nel funzionamento dell’UE, intervenendo sull’architettura macroeconomica (creando uno fiscalità europea), elaborando una seria politica estera (anche in tema di immigrazione e di difesa europea), solo per citare alcuni punti problematici.
Ma nella parte finale del lavoro, le prospettive di riforma passano attraverso un progetto affidato a un infallibile mago, un rabdomante, che in un lascito all’autore (un papiro) indica il percorso da intraprendere per la costruzione dell’Unione del 2040. Essa non potrà che mirare a un federalismo leggero, in cui gli Stati metteranno in comune ciò che non riescono a fare da soli. Questo ovviamente presuppone che le competenze statali non si sovrappongano a quelle dell’Unione e sarà quini necessario creare una netta suddivisione di compiti. Ancora, sarà necessario agire sulla politica estera, sugli strumenti e sui finanziamenti della difesa. Il mutamento di competenze inciderà anche sull’assetto istituzionale dell’UE. La Commissione potrà ampliare le sue attribuzioni, rimanendo comunque un organo di natura tecnica con competenze che potranno anche essere implementate ma che dovranno, in ogni caso, rispettare le scelte politiche dei Parlamenti nazionali; per dirla in altri termini, “in Europa la politica…non può essere commissariata”. La nuova connotazione dell’Unione porta a ragionare quindi, anche di un mutato ruolo che assumerà il Presidente europeo, come rappresentante dei cittadini e simbolo dell’unità dell’Unione.
La ricostruzione effettuata utilizza la chiave storica come trampolino verso il futuro, guarda all’indietro al fine di individuare un percorso per la nuova traiettoria che dovrà seguire l’Unione europea. In tutto questo, però, non si sottovalutano i compiti della politica, cui compete spiegare all’opinione pubblica il perché delle scelte che devono essere, soprattutto sui temi nodali, sicuramente condivise.
L’analisi, però, fa trasparire sullo sfondo un problema di grande importanza, di natura culturale e politica, incarnato nell’incapacità di interpretare i cambiamenti in atto, da un lato, nella difficoltà di farsi capire dal popolo da parte delle istituzioni europee, dall’altro. E in questa prospettiva, allora, il rabdomante assume anche un’altra veste; oltre ad essere chi indica il cammino da intraprendere per far sopravvivere ed implementare l’Unione europea, è forse anche chi riesce a spiegare all’opinione pubblica, in questo periodo di euroscetticismo e di forte critica verso l’UE, il vero significato delle politiche europee, partendo proprio, come viene fatto nel testo in esame, dal passato, utile (se non necessario) per comprendere gli errori compiuti e gettare un ponte verso il futuro.
9 Luglio 2018
Il caso Evenwel v. Abbott ed il principio “one person, one vote”
Vivo interesse sta suscitando negli Stati Uniti la decisione della Corte Suprema di volersi pronunciare nel 2016 sul caso Evenwel v. Abbott, ossia sulla legittimità di come il Texas individua i distretti per l’elezione al Senato. In questo Stato, infatti, in ognuno dei 31 districts ci sono 811.000 persone, ma mentre nel distretto rurale della ricorrente vi sono 584.000 individui che hanno il diritto di voto, in uno urbano vicino, invece, solo 372.000. Ciò comporta, ovviamente, che il peso dei voti di quest’ultimo sia maggiore del primo.
27 Luglio 2015