Nuove tensioni in Catalogna: tra la vittoria elettorale degli indipendentisti e la solidarietà a Pablo Hasél

1.Domenica 14 febbraio, in piena crisi pandemica, la Catalogna è stata chiamata a rinnovare la composizione del Parlament, che sarà ancora a maggioranza indipendentista.
La scadenza naturale della XII legislatura catalana sarebbe stata nel dicembre 2021, ma lo scorso settembre il Presidente della Generalitat Joaquim Torra (Junts por Catalunya) è stato inabilitato a seguito di una condanna per disobbedienza per non aver rispettato un ordine della Junta Electoral che gli intimava di rimuovere, durante il periodo elettorale, dal Palau de la Generalitat uno striscione a favore della libertà per i politici indipendentisti (Llibertat presos polítics). Dopo la decadenza di Torra le forze politiche indipendentiste hanno preferito tornare a elezioni anziché trovare un sostituto perché «no hi haurà president fins que la ciutadania esculli un. No normalitzarem la situació» (non ci sarà un presidente finché i cittadini non ne eleggeranno uno. Non normalizzeremo la situazione).
La stessa data delle elezioni è stata oggetto di una controversia giudiziaria. Il Presidente facente funzioni, Pere Aragonès (ERC), aveva tentato di posticipare il voto a maggio per ragioni di salute pubblica, vista la nuova ondata pandemica che sta interessando la Spagna (e forse anche per convenienza politica). Il Tribunal Superior de Justícia de Catalunya, però, ha confermato la data delle elezioni al 14 febbraio e la campagna elettorale si è svolta in gran velocità. Si è reso necessario, quindi, organizzare “comizi digitali” (come già avvenuto nelle elezioni in Galizia e nei Paesi Baschi la scorsa estate) e il ruolo dei social network è diventato centrale.
Alle elezioni, come noto, non hanno potuto concorrere i leader dei due principali partiti indipendentisti: Junqueras, condannato a tredici anni di carcere per sedizione e malversazione, e Puigdemont, che si trova in Belgio per sfuggire all’arresto per i fatti del referendum del 1° ottobre 2017.
L’offerta politica di questa tornata elettorale può essere analizzata seguendo il cleavage indipendentisti/unionisti.
Il fronte indipendentista si è presentato diviso in:

  • Junts per Catalunya, forza politica indipendentista di destra, è il partito di Carles Puigdemont e ha candidato alla Presidenza Laura Borras;
  • Esquerra Republicana de Calalunya (ERC) è l’altra anima dell’indipendentismo, partito repubblicano, più orientato a sinistra e guidato da Oriol Junqueras, con Pere Aragonès candidato a ricevere l’investidura come president;
  • Candidatura d’Unitat Popular (CUP), forza separatista di sinistra radicale. 

Il fronte unionista è molto più eterogeneo, con partiti che è impossibile tenere insieme in una coalizione politica. I due partiti spagnoli più tradizionali hanno in Catalogna la loro articolazione locale: il Partit dels Socialistes de Catalunya (PSC), che ha candidato alla presidenza della Generalitat il Ministro della Salute Salvador Illa (il quale ha ottenuto una grande visibilità per la gestione dell’emergenza pandemica), e il Partido Popular, da sempre poco rilevante nella comunitad autonoma.
Ciutadans, versione catalana del partito di Inés Arrimadas Ciudadanos, ha un’ispirazione liberale di centro e centralista e alle scorse elezioni ha rappresentato il principale collettore dell’elettorato anti-indipendentista. En Comù Podem, invece, è lo sviluppo catalano di Podemos, il partito di sinistra che a livello nazionale ora governa col PSOE e in Catalogna è rappresentato dalla sindaca di Barcellona, Ada Colau. Per quanto abbia una connotazione territoriale, è l’unica forza a non aver mai preso una posizione netta sull’indipendentismo, scelta che in passato le ha permesso un’interlocuzione più trasversale. Infine, si è presentato per la prima volta nella storia delle elezioni catalane il partito Vox, forza dell’ultradestra sovranista.
Le elezioni hanno visto i tre partiti indipendentisti ottenere 74 seggi su 135 (ERC con 33 scranni, Junts con 32 e CUP con 9), superando, quindi, la maggioranza assoluta dei seggi.
Il Partito Socialista ha fatto registrare un deciso balzo in avanti rispetto a quattro anni fa, quasi raddoppiando i seggi (33 rispetto ai 17 del 2017) e risultando anche la forza più votata. Tuttavia, ciò non sarà probabilmente sufficiente ad ottenere la guida della Catalogna. Infatti, tutte le forze politiche indipendentiste hanno firmato una dichiarazione confermando l’indisponibilità ad un accordo post-elettorale con i socialisti, di fatto isolandoli e rendendo difficilmente spendibile il loro risultato elettorale. Ciò ha impedito la ricomposizione dell’alleanza centrale, dove i socialisti e Podemos governano anche grazie all’astensione decisiva di ERC.
Bisogna sottolineare, inoltre, che per la prima volta entra nel Parlament (situato nel Parc de la Ciutadella) l'estrema destra di Vox, che elegge ben 11 deputati. En Comù-Podem, infine, ottiene 8 deputati, Ciuatadans passa dai 36 seggi a 6 e il Partido Popular, che si deve accontentare di soli 3 seggi.
La giornata elettorale è stata, peraltro, caratterizzata dalla scarsa partecipazione, la più bassa nella storia della democrazia catalana: il 53,5% (contro il 79% della precedente tornata). La maggioranza dei voti espressi è stata a favore dei partiti indipendentisti (50,9%) per la prima volta dal 1992. Gli indipendentisti hanno prevalso nelle province di Girona (67%), Lleida (66,8%) e Tarragona (53.5%), mentre le forze centraliste sono risultate maggioranza solo nella Provincia di Barcellona (dove il PSC è stato nettamente il primo partito).
Le elezioni hanno comportato un mutamento delle gerarchie all’interno della coalizione indipendentista e l’ERC ha ottenuto per la prima volta un risultato migliore di Junts (e dei predecessori di questa formazione politica). Al partito di Junqueras dovrebbe, quindi, spettare la presidenza della Generalitat, mentre a quello di Puigdemont lo scranno più alto del Parlament. Aragonès potrebbe diventare uno dei presidenti più giovani, con i suoi 38 anni, dando nuova linfa alla lotta indipendentista. Sarà necessario, però trovare un accordo con la CUP, e non sarà un’opera facile, e sanare le fratture che per quasi due anni hanno caratterizzato i rapporti tra ERC e Junts. Secondo lo Statuto catalano il prossimo appuntamento sarà l’elezione del presidente dell’Assemblea, momento fondamentale, visto che sarà quest’ultimo a dover individuare il candidato per l’investidura e gestire l’iter della formazione del governo della Comunitad.

2.Le elezioni hanno confermato la tensione tra la volontà dei cittadini della Catalogna e la gestione della questione catalana da parte del Governo centrale. Il dialogo appare essere l’unica strada perché la “giurisdizionalizzazione” del conflitto non ha sortito risultati. Il clima, infatti, è stato ulteriormente reso incandescente per la mobilitazione dell’opinione pubblica in favore del rapper Pablo Hasél. Infatti, pochi giorni dopo le elezioni, i Mossos d’Esquadra (la polizia catalana) hanno arrestato a Lleida Hasél, appena condannato a nove mesi di carcere per alcuni tweet nei quali insultava la monarchia e le forze dell’ordine.
Hasél si era barricato nel rettorato dell’università con studenti e attivisti con l’obiettivo di dare risonanza mediatica al suo arresto, che ha definito un “gravissimo attacco alla libertà d’espressione”. Il cantante è stato condannato per incitazione al terrorismo e oltraggio alla Corona. L’Audiencia Nacional aveva negato a Hasél la sospensione della pena, in quanto il cantante aveva già subito due condanne per resistenza a pubblico ufficiale e per violazione di domicilio). Il rapper, infatti, è stato punito per alcuni messaggi pubblicati su Twitter tra il 2014 e il 2016 nei quali insultava monarchia e le forze di polizia, accusandole di “torturare” migranti e manifestanti. Hasél si rifiuta, inoltre, di pagare la sanzione di circa 24.000 euro, con la probabilità che la condanna da scontare in carcere, quindi, superi i due anni.
Il caso ha avuto e continua ad avere una forte risonanza mediatica in Spagna. In tutta la penisola si sono svolte manifestazioni a favore di Hasél e molti artisti (tra cui Almodovar e Bardem) hanno firmato una lettera in sua difesa. In Catalogna si sono creati pesanti scontri tra manifestanti e forze dell’ordine, tanto da costringere Aragonès a ribadire la necessità di tenere un comportamento pacifico e responsabile.
Parallelamente, il governo centrale sta riflettendo su di una riforma dei reati di opinione, ma esistono difficoltà per trovare un equilibrio tra Podemos (secondo cui è necessario sanzionare solo le dichiarazioni che costituiscano un chiaro rischio per l’ordine pubblico) e i socialisti, molto più restii alla riforma del Código Penal. La vicenda potrebbe influenzare anche la formazione del nuovo governo catalano. La CUP, infatti, entrerà a far parte della maggioranza solo se sarà realizzata una riforma dei Mossos d’Esquadra, con la necessità di vietare i proiettili di foam (che hanno recentemente causato la perdita dell’occhio destro a una manifestante).
Per giunta, la questione della pena detentiva per i reati d’opinione sta creando un preoccupante disallineamento tra la Corte EDU e l’ordinamento spagnolo. La Corte di Strasburgo, con la sentenza Stern Taulatset Roura Capellera c. Spagna (13 marzo 2018), ha affermato che in materia di libertà di espressione (per come tutelata dall’art. 10 CEDU) è illegittima la condanna a pene detentive prevista dall’art. 490 del Codice penale spagnolo per il reato di ingiuria alla Corona (in quel caso realizzatosi attraverso il rogo simbolico del ritratto fotografico dei Sovrani). Tale principio è stato recentemente contrastato da una sentenza del Tribunal Constitucional, che ha confermato che “los ultrajes a la bandera de España no están amparados por la libertad de expresión”.
Ora i rapporti tra Catalogna e Madrid potrebbero implicare, oltre alla richiesta di riforma dei reati per cui sono stati condannati o accusati Junqueras, Puigdemont e gli altri presos polítics (visto la difficoltà politica e giuridica di una grazia), anche la necessità di ridisegnare i reati di vilipendio e, in generale, il sistema dei reati di opinione.


Torra inabilitato, la Catalogna torna nel caos istituzionale e si avvia a nuove elezioni

Il 28 settembre il Tribunal Supremo ha condannato Quim Torra, Presidente della Generalitat della Catalogna, per il reato di disobbedienza e ha confermato l’inabilitazione di 18 mesi dalle cariche pubbliche, facendolo decadere da capo del governo catalano.
Prima di analizzare la sentenza, è opportuno compiere un breve riepilogo dei fatti. Il 19 dicembre 2019 Torra è stato condannato ad un anno e mezzo di inabilitazione (e a una sanzione pecuniaria) per disobbedienza commessa da un’autorità o un funzionario pubblico ai sensi dell’art. 410 Codice penale spagnolo (si vedano, più ampiamente, F. BIAGI, Catalogna: alcune riflessioni intorno alla vicenda politico-giudiziaria di Quim Torra e A. MASTROMARINO, Un nuovo capitolo arricchisce la saga catalana: l’interdizione di Quim Torra, in Quaderni Costituzionali, n. 2/2020, pp. 408-411). Il Tribunal Superior de Justicia de Cataluña ha ritenuto Torra colpevole perché durante la campagna elettorale per le elezioni nazionali dell’aprile 2019 si rifiutò di rimuovere i manifesti a favore dei “presos polítics” dal balcone del Palau de la Generalitat, come aveva richiesto la Junta Electoral Central. Pochi giorni dopo, venerdì 3 gennaio la Junta Electoral Central ha deciso la decadenza di Torra dalla carica di deputato catalano. La questione, oltre ad essere politicamente delicata, è giuridicamente interessante visto che la Junta Electoral Central ha preso questa decisone nonostante la condanna inflitta a Torra non fosse definitiva. La Junta si è basata sull’art. 6, comma 2, lett. b) della Ley Orgánica del Régimen Electoral General che regola l’ineleggibilità (e viene applicato anche per quella sopravvenuta) prevedendola, altresì, per i condannati con sentenza, anche se non definitiva, per i delitti di ribellione, terrorismo, contro la Pubblica amministrazione o le istituzioni dello Stato, quando la stessa sentenza abbia stabilito la pena dell’inabilitazione dell’esercizio del diritto di voto passivo, l’inabilitazione assoluta o la sospensione da un ruolo pubblico nei termini previsti dalla legislazione penale. Al contrario, l’articolo 24 del Regolamento del Parlament prevede che le cause di perdita dello status di deputato sono la rinuncia espressa, una sentenza definitiva che annulli l’elezione, il decesso, l’incapacità dichiarata con sentenza definitiva, il termine del mandato oppure una condanna definitiva di inabilitazione.
In un primo momento, il Parlament catalano ha difeso Torra e ha approvato una risoluzione a firma delle tre forze indipendentiste (Junts por Catalunya, Esquerra Republicana e Candidatura d’Unitat Popular) che contestava la sentenza della Junta Electoral Central, ritenuto un organo amministrativo impossibilitato ad interferire sullo status di deputato. Il 27 gennaio il Presidente del Parlament, Torrent, ha dichiarato decaduto Torra. Torrent ha sottolineato l’ingiustizia della sentenza e della questione giudiziaria, ma il suo primo compito era quello di salvaguardare la funzionalità dell’organo (contro possibili ricorsi per il voto dello stesso Torra), dovendo, quindi, recepire la decisione della Junta (forse anche per non essere incriminato anche lui di disobbedienza).
La situazione ha comunque portato a grandi tensioni nella coalizione indipendentista, creando la frattura tra Junts por Catalunya (Torra) ed Esquerra Repubblicana (Torrent), crisi che era già stata anticipata nel Congreso de los Diputados a Madrid. Poche settimane prima, infatti, il partito di Torrent e Junqueras è stato decisivo, con la propria astensione, per la nascita del governo Sánchez, iniziando ad allontanarsi dall’unità indipendentista. Torra ha quindi dichiarato terminata l’esperienza di governo e ha annunciato nuove elezioni dopo l’approvazione della legge di bilancio. I pochi mesi entro cui dichiarare la data delle nuove elezioni si sono allungati per la pesante emergenza Coronavirus che ha colpito la Catalogna e Barcellona e Torra ha preferito farsi inabilitare che convocare prima le elezioni, forse anche per tirare il volano per le elezioni catalane, che saranno decisive e fondamentali per il futuro della spinta indipendentista.
Il Tribunal Supremo ha confermato, all'unanimità, che il comportamento di Torra ha violato la neutralità a cui sono tenute le pubbliche amministrazioni, soprattutto durante il periodo elettorale (recurso de casación n. 203/2020). Il Tribunal è arrivato a pronunciarsi sulla questione poiché Torra ha presentato appello contro la sentenza di condanna emessa dal Tribunal Superior de Justicia de Cataluña. Per il Supremo, però, “no es la exhibición de determinados símbolos o pancartas de una determinada opción política, sino su utilización en periodos electorales desobedeciendo lo dispuesto por la Junta Electoral Central que, en el ejercicio de sus funciones garantiza la transparencia y objetividad de los procesos electorales, prohibió su utilización, con vulneración del principio de neutralidad a que deben sujetarse las administraciones en general, contraviniendo órdenes expresas de aquella Junta Electoral”. Inoltre, il processo non va a comprimere la libertà di manifestazione del pensiero, riconosciuta espressamente anche in capo al vertice politico, ma il mancato rispetto da parte di un organo pubblico di una decisione della Junta Electoral, che mirava a ristabilire la neutralità durante la finestra elettorale. Infatti, sufragio libre andrebbe ricollegato alla necessità di “un sistema elettorale che garantisca una cornice o istituzionale di neutralità in cui il cittadino può con assoluta libertà, senza interferenze di alcun potere pubblico, decidere i termini e la portata della sua partecipazione politica”. Infine, il Supremo ha ritenuto proporzionale la sanzione dell’inabilitazione per il reato di disobbedienza, anche se riconducibile solo all’affissione di bandiere (sul valore di quest’ultime lo stesso Tribunal si è pronunciato il 1° giugno scorso, per un approfondimento sia permesso il rinvio a M. CECILI, La línia del front”. La battaglia identitaria del catalanismo si combatte per le bandiere, in Forum di Quaderni Costituzionali, 2020).
Una lettura critica della sentenza potrebbe partire dal significato attribuibile alla bandiera e se quelle esposte dal Palau de la Generalitat potessero essere riconducibili ad una fazione politica. I manifesti esposti da Torra erano in favore della libertà dei c.d. “presos politics”, cioè coloro che hanno partecipato attivamente al referendum indipendentista del 2017 e che per questo sono stati condannati (come Junqueras che dovrà scontare una pena di 13 anni in carcere) o sono fuggiti all’estero per evitare l’arresto (come Puigdemont, l’ex presidente della Generalitat).
Le bandiere esposte erano riconducibili ad una fazione politica (non erano i simboli propri dei partiti indipendentisti) oppure erano di mera vicinanza personale a politici condannati per le proprie idee? Certo si potrebbe rispondere che sono le persone a portare le bandiere e che quest’ultime sono sempre ricollegabili ad un significato ideologico. Il tema è complesso e resta il dubbio se sia proporzionata l’inabilitazione di un politico per essersi rifiutato di non esporre bandiere o effigi non esplicitamente ricollegate ad un partito.
In Catalogna ora la battaglia si sta concentrando sulla libertà di espressione del pensiero, che viene considerata violata dalla sentenza del Supremo (da qualche mese dal Palau de la Generalitat c’è un manifesto in favore della “llibertat d’opinió i d’expressió”). Pesa anche il fatto che tutti gli ultimi tre presidenti catalani siano decaduti per una decisione giudiziaria (Artur Mas, condannato dalla Corte dei conti spagnola a risarcire allo Stato la somma di 5,2 milioni di euro per malversazione, a causa dell’impiego illegittimo di fondi statali per l’organizzazione del referendum consultivo indipendentista catalano del 2014, Carles Puigdemont e, per l’appunto, Torra).
È ovviamente stata forte la vicinanza a Torra dal mondo catalano e catalanista. Puigdemont ha affermato che “uno Stato corrotto dalla Corona sotto accusa continua a decidere per conto dei catalani. Ancora una volta, lo Stato spagnolo interferisce con le nostre istituzioni democratiche”. Anche Torrent ha voluto sottolineare come “inabilitare il presidente della Generalitat per l’esercizio del diritto della libertà di espressione è inappropriato in un sistema democratico. La repressione non intaccherà la maggioranza di questo popolo”. I partiti di opposizione in Catalogna (Partito socialista, Ciudadanos e Partito popolare) invece hanno esultato e sperano di accelerare questa fase di stallo istituzionale. Bisogna segnalare che la sera del 28 settembre ci sono state proteste e scontri in tutta la Catalogna e in particolare a Barcellona (si è reso necessario l’intervento dei Mossos d’esquadra, la polizia catalana).
Ora il posto di Torra è stato preso da Pere Aragonès (ERC), ma ricopre solo la carica di facente funzioni di Presidente e pare che JxCat e ERC abbiano concordato che Aragonès non compia nessuna decisione senza l’accordo preventivo dei partiti. Il Parlament catalano ora dovrà tentare di eleggere un nuovo presidente, ma appare improbabile che ci riesca. Dopo due mesi dall’apertura delle votazioni il Parlament sarà sciolto ex lege e saranno convocate nuove elezioni, che potrebbero quindi tenersi non prima del prossimo febbraio (si parla del 7). Intanto Torra ha chiesto al Tribual Constitucional una sospensione “urgente” (che non sarà probabilmente concessa) della sua inabilitazione ed è pronto a ricorrere alla Corte EDU. I prossimi mesi saranno decisivi sia per i rapporti tra i due maggiori partiti indipendentisti sia per analizzare se le istanze catalaniste resteranno maggioritarie all’interno della società catalana.
In Spagna si sta realizzando una giurisdizionalizzazione estrema della questione catalana. Sarebbe necessario, invece, impegnarsi in un dialogo effettivamente democratico tra Estado e Catatunya, per far rientrare la lotta politica in binari strettamente pacifici. L’eccessivo uso del diritto penale per trattare i problemi politici (come sta facendo Madrid) può portare ad una situazione con effetti imprevedibili. La pacificazione deve avvenire e ciò potrebbe accadere presto, anche perché la crisi politica che ha portato alle dimissioni di Torra potrebbe spaccare definitivamente la già instabile coalizione indipendentista, con la possibilità di un’alleanza post-elettorale tra i socialisti e il partito di Junqueras, che pur essendo stato condannato a 13 anni di reclusione resta un perno per la politica catalana e nazionale.


Catalogna: Junqueras vince la battaglia alla Corte di Giustizia, mentre Torra rischia la Presidenza

La questione catalana offre ancora interessanti spunti per gli operatori del diritto. Lo scorso 19 dicembre la Corte di Giustizia, infatti, ha garantito anche a Junqueras l’immunità che spetta ai parlamentari europei, visto che questo status si ottiene al momento della proclamazione dei risultati. Lo stesso giorno, però, il presidente della Generalitat Torra è stato condannato ad un anno e mezzo di inibizione dai pubblici uffici, ponendo grandi incertezze sul futuro politico della Catalogna.

La decisione della Corte di Lussemburgo (C-502/19) ha grandi ripercussioni su tre leader dell’indipendentismo catalano: Junqueras, Puigdemont e Comín. Tutti e tre sono stati eletti europarlamentari, ma per essere immessi nella carica, secondo la disciplina spagnola, avrebbero dovuto giurare sulla Costituzione presso la Giunta elettorale nazionale in seno al Congresso dei deputati di Madrid.  Questo facile passaggio burocratico, però, era di difficile realizzazione per i tre. Se Carles Puigdemont (come Comín) fosse rientrato in territorio spagnolo sarebbe stato arrestato in quanto accusato di ribellione e sedizione per i fatti accaduti in Catalogna alla fine del 2017, culminati con la dichiarazione unilaterale di indipendenza. A Junqueras, invece, non è stato concesso dal giudice il permesso di recarsi a giurare.  All’apertura della legislatura europea, a Puigdemont è stato impedito di entrare nella sede del Parlamento europeo, in quanto sprovvisto delle necessarie credenziali, visto che le competenti autorità nazionali non avevano inviato l’elenco definitivo degli eletti, determinando la vacanza dei tre seggi. Puidgemont e Comín hanno presentato un ricorso (C- T-388/19 R), poi respinto, per sospendere l’esecuzione di varie decisioni del Parlamento europeo emanate per impedire ai richiedenti di sedere nel Parlamento in qualità di membri eletti e per ingiungere al Parlamento di adottare tutte le misure necessarie, compresa la dichiarazione dei privilegi e delle immunità dei richiedenti, per consentire loro di sedere nell’assemblea.

Il Tribunal Supremo, invece, ha sollevato rinvio pregiudiziale relativamente al caso di Junqueras, chiedendo se l’articolo 9 del Protocollo n. 7 sui privilegi e sulle immunità dell’Unione europea fosse applicabile ad un imputato di reati gravi che si trovasse in custodia cautelare per ordine del giudice, a motivo di fatti anteriori all’inizio di un processo elettorale in cui questi è stato proclamato eletto al Parlamento europeo, ma al quale, con decisione giudiziaria, è stato negato un permesso straordinario di uscita dal carcere.  La Corte di Giustizia, seguendo l’interpretazione dell’Avvocato Generale, ha dato risposta affermativa e ha ritenuto, in primo luogo, che una persona eletta al Parlamento europeo acquisisce lo status di membro del Parlamento dal fatto (e al momento) della proclamazione dei risultati elettorali, in modo tale da beneficiare delle immunità garantite dall’ articolo 9 del protocollo. Tale passaggio è di estrema importanza, visto che fa trarre la legittimazione direttamente dall’elezione (rectius dalla proclamazione dei risultati) e non da adempimenti burocratici successivi. La Corte ha osservato che le elezioni dei membri del Parlamento europeo a suffragio universale diretto, libero e segreto costituiscono l’espressione del principio costituzionale della democrazia rappresentativa. La CGUE afferma, infatti, che la composizione del Parlamento europeo deve riflettere fedelmente e integralmente la volontà dei cittadini europei, espressa liberamente con mediante il suffragio universale e diretto. E dallo stesso diritto dell’Unione risulta che la qualità di membro del Parlamento europeo deriva dalla sola elezione e viene acquisita mediante l’annuncio ufficiale dei risultati effettuati dagli Stati membri. Ne consegue che gli eletti debbano beneficiare delle immunità ex articolo 343 TFUE.

La Corte ha ricordato, a tale proposito, che la ratio delle immunità previste è quella di garantire il corretto funzionamento e l’indipendenza delle istituzioni, ridando slancio alla lettura della natura “parlamentare” dell’assemblea europea. A corollario di ciò, la Corte ha dichiarato che il beneficio dell’immunità implica l’eliminazione di qualsiasi misura di detenzione in custodia imposta prima della proclamazione della sua elezione, al fine di prendere parte alla sessione costitutiva del Parlamento europeo. Se il giudice nazionale competente dovesse ritenere necessario mantenere tale misura, sarebbe tenuto a chiedere al Parlamento europeo la revoca di tale immunità.

La sentenza riapre il tema della verifica dei poteri da parte del Parlamento europeo. Centrale è l’art 12 dell’Atto relativo all’elezione dei membri del Parlamento europeo a suffragio universale diretto, del 20 settembre 1976, secondo cui “il Parlamento europeo verifica i poteri dei membri del Parlamento europeo […] prende atto dei risultati proclamati ufficialmente dagli Stati membri, e decide sulle contestazioni che potrebbero essere eventualmente presentate in base alle disposizioni del presente atto, fatta eccezione delle disposizioni nazionali cui tale atto rinvia”. Anche l’art. 3 del Regolamento del Parlamento dà agli Stati membri un ruolo incisivo nella verifica dei poteri. Da queste premesse, la prassi è stata che il Parlamento ha preso atto della trasmissione dei nominativi degli eletti svolta dalle autorità competenti nei singoli Stati membri (A. Di Chiara, La verifica dei poteri del Parlamento europeo tra normative elettorali difformi e principio di autonomia, 2018; Idem, I deputati catalani al parlamento europeo: sulla verifica dei poteri a Strasburgo, 2019). Anche relativamente alla questione dei tre indipendentisti, il Parlamento ha ritenuto non completo l’iter di elezione e quindi che non ci fossero i titoli idonei per considerare i tre catalani come parlamentari europei. La Corte di Giustizia, legando l’acquisto dello status al momento della proclamazione dei risultati, potrebbe fornire una nuova forza al Parlamento, che potrebbe vedersi conferita maggiore autonomia nello svolgimento di questa classica funzione dei parlamenti. Non si può fare a meno di notare, però, come le prerogative degli europarlamentari siano state maggiormente “difese” dalla Corte rispetto a quanto abbia fatto il Parlamento europeo stesso.

Attraverso questa sentenza, Junqueras potrebbe richiedere di partecipare alle sedute del Parlamento europeo, e che gli siano garantiti i diritti che sono connessi allo status di euro-parlamentare. Sarà interessante la lettura che darà della sentenza il Tribunal Supremo, che potrebbe anche far riattivare il dibattito spagnolo sui controlimiti. Di questa pronuncia della CGUE hanno beneficiato anche Puigdemont e Comín, visto che il 20 dicembre hanno ottenuto un pass provvisorio che li accredita come europarlamentari. Entrambi hanno diritto di partecipare alle sessioni del Parlamento europeo e possono godere delle immunità legate allo status di parlamentari europei (e la CGUE ha deciso di annullare la decisione che negava loro tutele cautelari l’accesso al Parlamento). La sentenza della Corte di Giustizia potrebbe rendere, infine, ancora più complesso l’accoglimento della richiesta di estradizione in Spagna di Puigdemont che è stata presentata al Belgio.

Sempre il 19 dicembre Torra, il presidente della Generalitat, è stato condannato ad un anno e mezzo di inabilitazione per disobbedienza. Il Tribunal Superior de Justicia de Cataluña ha ritenuto Torra colpevole perché durante la campagna elettorale per le elezioni del novembre scorso si rifiutò di rimuovere i manifesti a favore dei “políticos presos” (i politici incarcerati o fuggiti per il referendum sull’indipendentismo catalano del 2017) dal balcone del Palau de la Generalitat. Torra ha immediatamente annunciato ricorso affermando che “No me inhabilitará un tribunal con motivación política”. L’eventuale decadenza di Torra potrebbe portare ad un nuovo caos nel già fragile equilibrio istituzionale catalano, vista la difficoltà che ci fu lo scorso anno legata all’investitura di Torra.

Nel giorno del 600 anniversario della fondazione della Generalitat, la Catalogna è ancora al centro del dibattito politico spagnolo ed europeo, in attesa di una soluzione che può essere solamente politica, che potrebbe sbloccare o far arenare anche il tentativo di Sánchez di formare il governo (ERC ha già congelato le negoziazioni fino alla decisione dell’Abogacía del Estado sul caso Junqueras).


Puigdemont candidabile per le Europee. I “rivoluzionari catalani” all’assalto delle istituzioni spagnole ed europee

Carles Puigdemont potrà candidarsi alle elezioni europee. Lo scorso 5 maggio il Tribunal Supremo (sezione del contenzioso amministrativo) ha stabilito che Carles Puigdemont, l’ex presidente della Catalogna (nonché leader indipendentista), potrà candidarsi alle prossime elezioni europee. La stessa sentenza è stata emessa per altri due importanti leader separatisti catalani, Toni Comín e Clara Ponsatí. Puigdemont sarà quindi il candidato di punta della lista indipendentista Junts per CatalunyaLliures per Europa. Dal 2017 vive latitante tra il Belgio e la Germania: in Spagna è accusato di ribellione, sedizione e malversazione per l’organizzazione del referendum sull’indipendenza della Catalogna del 1° ottobre 2017, giudicato illegale dal governo e dalla magistratura spagnola, e per la sua successiva dichiarazione di indipendenza. Il 25 marzo 2018 era stato arrestato in Germania dopo che la Spagna aveva emesso un mandato di arresto europeo, ma che non era stato inizialmente accolto dalla magistratura tedesca e aveva permesso al leader catalano di tornare in Belgio (i giudici di Madrid, inoltre, avevano ritirato il mandato d'arresto internazionale). Anche Comín vive in Belgio, mentre Ponsatí in Scozia. I parlamentari europei godono dell’insindacabilità e dell’immunità per gli atti compiuti durante l’esercizio del loro mandato politico, ma non per quanto accaduto prima: i tre quindi potrebbero essere arrestati in Spagna anche qualora dovessero venire eletti alle prossime elezioni europee.
La sentenza del Tribunal Supremo ribalta quella della commissione elettorale, che aveva escluso l’ex presidente catalano dalle prossime elezioni europee. La prima sentenza aveva dato ragione al Partito Popolare e a Ciudadanos, due partiti di centrodestra che avevano presentato ricorso contro le candidature di Puigdemont, Comín e Ponsatí, e aveva motivato la loro esclusione parlando genericamente di una non idoneità a essere candidati.
Su questo punto il Tribunal Supremo è chiarissimo. “El derecho de sufragio pasivo es un derecho fundamental que el art. 23 de la Constitucion reconoce a todos los ciudadanos españoles, por tanto, tambien a los señores Puigdemont i Casamajo y Comín Olivers, y a la sra. Ponsati i Obiols” e questo diritto può essere limitato solo se sussiste una causa di ineleggibilità prevista dall’art. 6.2 della LOREG (Ley Orgánica de Régimen Electoral General), che non ricomprende il caso di latitanza all’estero o di ribellione. Anche in Spagna c’è un orientamento granitico secondo il quale le cause di ineleggibilità devono essere interpretate restrittivamente e nella materia elettorale le disposizioni vanno lette da risultare il più possibile favorevoli all’effettività dei diritti umani e fondamentali.
Il Tribunal Supremo, però, ha affermato di essere incompetente sulla questione, chiedendo un giudizio “urgente” al Juzgados de lo Contencioso-Administrativo de Madrid, l’organo previsto a dirimere queste controversie dall’art. 49 della LOREG. Il giorno dopo anche i giudici del contenzioso amministrativo hanno confermato la lettura del Tribunal Supremo, sottolineando come il reato di sedizione non compare tra le cause di ineleggibilità (“El hecho de encontrarse en rebeldía no impide que puedan ser candidatos, ya que el alto tribunal ha determinado que esta situación de rebeldía no es causa de inelegibilidad”).
Contro questa decisone sono stati presentati tre recursos de amparo (2928,2928,2930/2019) al Tribunal constitucional da parte del Partido Popular. La Corte ha ritenuto i ricorsi inammissibili per assenza di violazione dei diritti fondamentali (“La Sala ha examinado el recurso presentado y ha acordado no admitirlo a trámite, con arreglo a lo previsto en el art. 50.1.a) LOTC, dada la inexistencia de violación de un derecho fundamental tutelable en amparo, que, de acuerdo con el art. 44.1 LOTC, es condición para que este Tribunal pueda ejercer dicha tutela”).
Il Presidente della Generalitat catalana, Quim Torra, ha manifestato soddisfazione per la risoluzione della questione e per la candidabilità di Puigdemont, Toni Comín e Clara Ponsatí: “Ha vuelto a ganar. Los tribunales le han vuelto a dar la razón”.
Queste elezioni europee saranno un momento importante per la Spagna e avvengono solamente ad un mese da quelle per le Cortes Generales e potranno indicare spostamenti nell’elettorato spagnolo, che ancora attende la formazione di un governo, iter “congelato” proprio fino al 26 maggio (oltre al Parlamento europeo si rinnoveranno i parlamenti regionali di 12 delle 17 comunità autonome spagnole e migliaia di sindaci). Anche se la politica nazionale spagnola segue regole molto diverse da quelle delle sue molte e variegate comunità locali, il risultato di quelle elezioni potrebbe influire sui rapporti di forza con cui il PSOE e Podemos si presenteranno alle trattative per il governo. E la questione catalana, anche se sottotraccia, rischia di far deflagrare la situazione politica spagnola. Oriol Junqueras, leader di ERC (una forza indipendentista catalana), eletto deputato nelle scorse elezioni pur trovandosi in carcere per i fatti legati al già citato referendum catalano, ha letto il suo giuramento come deputato definendosi “prigioniero politico” (in tutta Barcellona e in Catalogna sono esposti molti striscioni che chiedono “Llibertat presos polítics catalans!”).  Oltre a Junqueras (che si candida anche per il Parlamento europeo e ha già annunciato che rinuncerà al seggio nel Congreso de los Diputados in caso di elezione), sono stati eletti, pur trovandosi in carcere, i deputati Josep Rull, Jordi Sànchez, Jordi Turull e il senatore Raül Romeva. I cinque hanno prestato giuramento come tutti gli altri parlamentari e poi sono stati condotti nuovamente in carcere. La scorsa settimana, il Tribunal Supremo aveva respinto una loro richiesta di essere liberati definitivamente (si trovano in custodia cautelare in carcere), ma aveva concesso loro di partecipare alla seduta inaugurale della legislatura, senza specificare niente sulle successive sedute. Inoltre, queste elezioni europee peseranno i rapporti di forza tra i vari partiti indipendentisti catalani. Come è stato affermato, infatti, Puigdemont e Junqueras “si contendono il dominio assoluto dell’indipendentismo della Catalogna e non vanno d’accordo quasi su niente”.  Nelle elezioni politiche di un mese fa, ERC ha ottenuto 15 seggi, un risultato che ha sugellato anche il ribaltamento degli equilibri di forza all’interno del fronte catalano con il partito di Junqueras che si è affermato come prima forza indipendentista superando il partito di Puigdemont (7 seggi).
Si vedrà, infine, se l’expresidente della Generalitat riuscirà ad essere eletto e Puigdemont potrebbe costringere l’UE a una nuova incognita: come gestire un eurodeputato “in esilio” (o latitante, che di sì voglia).


Dopo l'ennesima sconfitta giudiziaria, la Catalogna elegge (forse) il Presidente

La Catalogna è ancora commissariata nonostante siano trascorsi 6 mesi dalle elezioni. Dopo aver tentato di rieleggere Puigdemont come Presidente della Generalitat, le forze indipendentiste hanno proposto Jordi Sanchez. Sanchez, però, era in carcere da novembre e il giudice non gli ha concesso l’autorizzazione per recarsi al Parlament per ricevere l’incarico, facendo naufragare anche questo tentativo. Il Presidente del Parlamento Torrent, allora, ha convocato una seduta per nominare Jordi Turull, che era stato incarcerato per un mese a novembre, ma in quel momento si trovava in libertà. Anche questo tentativo si è rivelato inutile, perché è stato nuovamente arrestato pochi giorni prima dell’investidura.
È tornato allora centrale il tema dell’investitura a distanza, possibilità già respinta dal Tribunal Constitucional lo scorso 27 gennaio (asunto n. 492/2018).
Lo Statuto della Catalogna e legge catalana sulla Presidenza stabiliscono che il Presidente della Generalitat debba essere eletto entro due mesi dalla celebrazione della prima votazione d’investitura (tenutasi, nel caso di specie, il 22 marzo), decretando, in caso contrario, lo scioglimento del Parlament e la convocazione di nuove elezioni. Una tempistica, questa, che ha condizionato le strategie del blocco indipendentista.
Per evitare lo scioglimento ex lege del Parlamento, quindi, il 4 maggio il Parlament  catalano ha approvato di misura una modifica di legge che permetterebbe al candidato di essere eletto Presidente anche a distanza (Butlletí officia del Parlament de Catalunia, 4 maggio 2018). La norma è stata approvata con 70 voti a favore e 65 contrari. La disposizione novellata è il nuovo art. 4, comma 3, della legge 13/2008 sulla Presidenza della Generalitat e del Governo. La novella, infatti, recita che «En cas d’absència, malaltia o impediment del candidat o candidata en la data de la sessió d’investidura, el Ple pot autoritzar, per majoria absoluta, que el debat d’investidura se celebri sense la presència o sense la intervenció del candidat o candidata, que en aquest cas pot presentar el programa i sol·licitar la confiança de la cambra per escrit o per qualsevol altre mitjà previst pel Reglament». È stato modificato anche l’art.  35 che permette la gestione a distanza degli affari della Generalitat.
Il Governo ha presentato immediatamente un ricorso al Tribunal Constitucional (autorizzato dal Consejo de Ministros il 9 maggio), visto sembrerebbe trattarsi nei fatti di una revisione dello Statuto (bisognerebbe seguire, in questo caso, l’art. 223 dello Statuto, che prevede un’approvazione a maggioranza dei 2/3 dei membri del Parlamento, un referendum confermativo e un ratifica da parte delle Cortes Generales). Il Consejo de Estado (all’unanimità) ha espresso parere positivo sul ricorso (expediente n. 429/2018 del 7 maggio). Il 9 maggio il Tribunal Constitucional ha ritenuto ammissibili le doglianze di Madrid e ha sospeso in via cautelare la riforma. A questo punto le forze indipendentiste hanno proposto Quim Torra, catalano "duro e puro", che potrà portare avanti dello scontro con Madrid sull'indipendentismo. Sabato 12 maggio si è tenuta la prima seduta di investitura, senza che fosse raggiunta la maggioranza assoluta dei voti, mentre lunedì 14 maggio basterà la maggioranza semplice. Se il fronte indipendentista resterà unito, la Catalogna avrà finalmente il proprio Presidente.

Secondo Marcel Mateu, professore di Diritto Costituzionale presso l’Universitat di Oberta de Catalunya (UOC), la situazione è complessa, visto che «desde el punto de vista jurídico todo es incierto». La dottrina spagnola, infatti, non ha mai approfondito la tematica della presenza fisica del candidato. L’art. 67 dello Statuto afferma che per l’investitura è necessario solamente essere membri del Parlamento. Il medesimo articolo prevede che il Presidente della Generaliat, per essere eletto, debba tenere un discorso con i punti programmatici del futuro Governo e che debba ottenere nella prima votazione la maggioranza assoluta dei voti. Se tale quorum non fosse raggiunto si terrebbe un nuovo discorso entro due giorni, da approvarsi con la maggioranza semplice. Se anche questo quorum mancasse, il Presidente del Parlamento dovrebbe designare un nuovo candidato (consultando le forze politiche) che dovrebbe ricominciare l’iter. Come detto, se entro due mesi dalla prima votazione non ci fosse un’elezione, il Parlamento sarebbe sciolto ex lege  (Barceló e J. Vintró, 2008, pp. 340-342; Alberti, Aja, Font, Padrós e Tornos, 2002, pp. 246-247).
Su tale articolo, inoltre, manca addirittura giurisprudenza rilevante (Pulido Quecedo, 2010, pp. 239-240). Il Tribunal Costitucional, con la già citata sentenza dello scorso 27 gennaio, si è espresso per la prima volta sul punto. Infatti la Corte ha sottolineato l’inutilizzabilità di procedure telematiche o di delega, vista la necessità di una “presenza fisica” al dibattito d’investitura. Nel caso di Puigdemont, però, la presenza fisica del candidato necessita di un’autorizzazione del Tribunal Supremo, perché limitato nella libertà personale. La Corte, infine, ha annunciato che ogni atto contrario a queste direttive è «nullo e senza valore» (punto 5), e che gli autori di eventuali comportamenti che mirino a far celebrare un’investitura non consona ai dettami della Corte, andranno incontro a responsabilità, anche penali (punto 7).
Il decreto di nomina, infine, deve essere firmato dal Re e la dottrina si è chiesta se questo sia un atto dovuto o meno. La maggioranza degli studiosi propende per la prima opzione, visto che il Sovrano potrebbe rifiutarsi di firmare il decreto solo in presenza di vizi gravi ed evidenti (i casi di scuola sono l’assenza del quorum richiesto o la nomina di una persona diversa rispetto a quella votata, cfr. Cometarios sobre el Estatuto de Autonomia de Cataluña, 1990, pp. 339- 341). In questo caso Filippo VI si potrebbe rifiutare di firmare il decreto di un’eventuale nomina a distanza, visto che questo contrasterebbe apertamente con le  sentenze del Tribunal Constitucional dello scorso gennaio del  9 maggio.
La questione catalana appare ancora lontana dall’essere risolta e questo nuovo scontro giudiziario con Madrid rischia di rendere ancora più teso il rapporto tra indipendentisti e centralisti. La modifica legislativa, infatti, è sembrata l’extrema ratio per evitare lo scioglimento del Parlament, tentando ancora una volta la nomina di Puigdemont. Le forze indipendentiste hanno cercato un “piano D” (così chiamato dalla stampa catalana, visto che si tratterebbe del quarto candidato proposto) per una nomina di un Presidente della Generalitat entro il 22 maggio, giorno in cui ci sarebbe la certezza di nuove elezioni. Quim Torra avrà (se investito) il duro compito di gestire una società catalana molto divisa sul clevage indipendenza/centralismo.