Luca Dell’Atti
Book Review: G. Caravale, A family of nations. Asimmetrie territoriali nel Regno Unito tra devolution e brexit (Jovene editore, 2017)
A due decadi dall’entrata in vigore dei primi Acts della devolution, essa rappresenta un sicuro tratto distintivo dell’assetto costituzionale del Regno Unito, sì da imporsi alla considerazione dalla letteratura che se ne occupa.
Non a caso, l’opera di Giulia Caravale muove le premesse introduttive dal ventennio di riforme che, a partire dal 1997, hanno interessato la British Constitution, inquadrando lo studio della devolution in tale prospettiva riformistica e riproponendosi di studiarla nell’esatta ottica di processo (e non di evento), in costante sviluppo e connotato da assestamenti successivi. Si tratta della prospettiva più adeguata per lo studio del tema, dotata dell’accuratezza necessaria ad affrontare lo studio di un ordinamento in cui notevole impatto hanno, sul funzionamento concreto del sistema costituzionale, la realtà politico-sociale, le conventions e le decisioni delle corti.
La struttura dell’opera segue l’asimmetria della devolution, effettuando una comparazione interna fra i diversi processi devolutivi che interessano ciascuna area devoluta. L’analisi differenziata per Scozia, Galles e Irlanda del Nord consegna al lettore una prospettiva sul tema classica quanto inevitabile, l’unica in grado di tener conto della duplice diversità che connota il devolution system. La diversità di contesti socio-economici, esigenze politiche, sistemi partitici da un lato, cui segue, dall’altro, la diversità nell’articolazione dei rapporti tra centro e singola area devoluta e di sviluppi evolutivi caratterizzanti ciascun processo devolutivo.
I primi tre capitoli sono interamente dedicati alla devolution scozzese, mediante l’approfondimento di antecedenti storici, implementazione della devolution, premesse e conseguenze del referendum sull’indipendenza del 2014, comparazione con l’affine caso canadese del Québec. L’ampio spazio dedicato dall’Autrice alla devolution scozzese è motivato, tra l’altro, dal rilievo del passaggio nevralgico rappresentato dal referendum indipendentista che, sventata l’opzione secessionista, ha accelerato il processo devolutivo conducendo la Scozia alle condizioni di maggiore autonomia previste dallo Scotland Act 2016. Nel quarto capitolo si compendiano i tratti peculiari delle devolution gallese e nordirlandese: l’andamento evolutivo della prima, che ha portato, sul modello scozzese, all’affermazione della permanenza delle istituzioni devolute ad opera del Wales Act 2017; l’operare altalenante della seconda, in ragione delle risalenti criticità che attraversano l’area. Il quinto capitolo è invece dedicato all’Inghilterra: sprovvista di istituzioni devolute e soggetta al governo diretto di quelle centrali, essa costituisce la manifestazione estrema dell’asimmetria che connota la devolution nel suo complesso, tale da fare della English question un passaggio di inevitabile completamento per qualunque studio che, come quello in commento, intenda affrontare compiutamente i temi dell’articolazione territoriale del potere d’Oltremanica.
Conclusa l’analisi ratione loci delle devolution, l’Autrice affronta il profilo particolarmente qualificante relativo ai meccanismi di risoluzione dei conflitti fra amministrazioni devolute e fra esse ed il governo centrale. Tale profilo, tipico di ogni sistema di governo multilivello, si complica ancor più nel Regno Unito, in cui alla multiformità istituzionale della devolution si somma quella giuridica e giudiziaria. Il tema è affrontato mediante lo studio delle più rilevanti decisioni in materia di devolution issues, pronunciate dal Judicial Committee del Privy Council, e, a seguito del Constitutional Reform Act 2005,dalla Supreme Court.
Nell’ultimo capitolo l’Autrice apre un focus sulla Brexit, approfondendo le questioni legate al coinvolgimento delle amministrazioni devolute nel processo di uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, avviando con ciò l’opera alle conclusioni. In esse viene sviluppata l’intuizione stando alla quale è proprio la Brexit a rappresentare il profilo di maggiore criticità che fronteggia oggi il devolution system. Dalle conclusioni, attraverso l’analisi dei profili giuridici e politici più delicati legati all’exit, emerge il grado di complessità del tema. Mentre il governo guidato da Theresa May tenta il coinvolgimento degli esecutivi devoluti nelle procedure di negoziazione dell’exit, mediante l’istituzione di uno speciale format “European Negotiations” del Joint Ministerial Committee, la Corte Suprema ne esclude le assemblee devolute. Pronunciando sull’ormai celebre caso Miller, essa ha infatti ribadito la potestà esclusiva del Parlamento di Westminster in materia di potere estero e la natura autenticamente politica della legislative consent motion che quindi, quantunque legificata dallo Scotland Act 2016 e dal Wales Act 2017, non è giustiziabile.
La Brexit si candida dunque a rappresentare uno snodo senza precedenti nel processo evolutivo della devolution. Proprio nella sentenza Miller la Corte Suprema ha confinato gli effetti della devolution ad un piano schiettamente politico-costituzionale, più che giuridico, riconoscendo ad un tempo che la potestà legislativa dei parlamenti devoluti potrebbe risultare potenziata dal venir meno dei vincoli ad essa imposti dall’appartenenza del Regno all’Unione. Gli scenari conseguenti alla Brexit in materia di devolution restano insomma tutti aperti. Essa potrebbe dare slancio ad un processo di riarticolazione delle competenze devolute, occasione per riorganizzare in modo più salutare l’operare delle relazioni intergovernative ed interparlamentari. D’altro canto, stante la particolare forza divisiva della questione, emersa con nitore dai risultati referendari che hanno visto primeggiare il Leave in Inghilterra e Galles ed il Remain in Scozia ed Irlanda del Nord, la Brexit rischia, all’estremo opposto, di mettere a repentaglio l’unità del Regno.
6 Luglio 2017