Lara Trucco
Il voto austriaco…in Europa
Le elezioni presidenziali austriache conclusesi lo scorso 22 maggio hanno sancito la vittoria di Alexander Van der Bellen del partito “dei Verdi” (Die Grüne), con uno scarto di soli 31.026 voti rispetto a Norbert Hofer del “Partito della Libertà” (Fpoe).
La Costituzione austriaca prevede infatti che il Presidente Federale venga eletto “dal popolo della Federazione sulla base di un voto segreto, personale, diretto ed uguale”[1] ed in applicazione di una formula elettorale a doppio turno (all’art. 60). Più precisamente, nell’ambito di quello che viene comunemente considerato uno dei primi modelli di razionalizzazione della forma di governo parlamentare (si veda, in particolare, il Cap. III della Carta, sul “Potere Esecutivo Federale”), risulta eletto (e dura in carica sei anni) “colui che riporta più della metà dei voti validi”, mentre laddove non si riesca ad ottenere “questa maggioranza”, “deve avere luogo un secondo turno elettorale” ed in questo caso “si può validamente votare solo per uno dei due candidati che nel primo turno elettorale abbiano ottenuto il maggior numero di voti”, per cui, come avvenuto nell’occasione (v. la tabella qui di seguito riportata), vince l’elezione chi, tra i due pretendenti finali, prende più voti (art. 60, §2).
1 Giugno 2016
di Lara Trucco
Sovraffollamento e politica carceraria europea. Alcune prime notazioni.
Le prigioni non dovrebbero essere come le porte dell’inferno
altrimenti prenderebbero forma le parole di Dante:
‘lasciate ogni speranza, voi ch’entrate’…
(Corte EDU, Öcalan c. Turchia (n. 2), 18 marzo 2014)
Sommario: 1. Premessa. – 2. La base legale, in materia carceraria, del Consiglio d’Europa. – 3. Corte EDU e condanne dell’Italia. – 4. Sovraffollamento e politica carceraria tra Consiglio d’Europa e Unione europea. – 5. Quale spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell’UE? – 6. La sfida in atto.
1. Se il fatto che il Consiglio d’Europa si occupi di una materia, quale quella carceraria, fino a non molto tempo fa roccaforte degli Stati pare non destare più alcuna sorpresa (v. infra), meno diffusa è la constatazione del fatto che anche l’Unione europea stia dimostrando una crescente attenzione per un tale settore... per di più con un approccio che, nella definizione della politica carceraria eurounitaria sembrerebbe mettere in secondo piano il conseguimento di obiettivi economico-mercatori, riservando, invece, al principio personalistico-rieducativo della pena ed al valore della dignità della persona detenuta un ruolo centrale.
11 Dicembre 2014
di Lara Trucco
The EU Charter of Fundamental Rights and the Constitutionalization of the European Law*
* This short paper was prepared for the Teaching Seminar concerns the “Programme in European Law for Postgraduates European Court of Justice Moot Court Competition” (2013/14); it’s being published in “Scritti di Diritto privato europeo e internazionale”.
The aim of this short paper is to offer a brief overview of the interrelationships between protection of fundamental rights, in particular, through the application of the Charters of Fundamental Rights and constitutionalization process of the European Area.
It’s possible to identify two parts which will serve as synthetic guidelines of this article:
I. the Historical Part: in which we will see that the protection of rights in the EU area does not have very recent origins; and
II. (more) the present Part: in which we will examine the impact of the EU Charter.
I.1 As regards the first part, we know that the idea of “Europe” – precisely, the “United States of Europe” idea – goes back in time (e.g., Kant, Hugo, Mazzini, Cattaneo…wanting to name just a few of the most famous people) but our analysis begins from the Schuman Declaration (dated 30.05.1950).
In particular, we are going to start from a small but significant part of this Declaration, which states: “World peace cannot be safeguarded without the making of creative efforts proportionate to the dangers which threaten it. The contribution which an organized and living Europe can bring to civilization is indispensable to the maintenance of peaceful relations. In taking upon herself for more than 20 years the role of champion of a united Europe, France has always had as her essential aim the service of peace. A united Europe was not achieved and we had war (…)”.
28 Luglio 2014
di Lara Trucco
Va bene in territorio “straniero”…ma non troppo! Un “flash” sul “non-voto” per le elezioni politiche di un cittadino britannico residente all’estero per più di quindici anni
Il filone giurisprudenziale sul “voto estero” della Corte EDU si arricchisce di un nuovo tassello: così, dopo la decisione resa, il 15 marzo 2012, con riguardo al “voto estero greco” (v. il caso Sitaropoulos e Giakoumopoulos), lo scorso 7 maggio la Corte ha portato la propria attenzione sul “voto estero britannico” (v. il caso Shindler)[1].
All’origine di questa seconda pronuncia vi è stato il ricorso contro il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord da parte di un cittadino britannico residente all’estero – si noti: in Italia (!) –, che si è visto impossibilitato a votare in occasione delle elezioni politiche (del 5 maggio 2010) in quanto la normativa inglese consente di votare solo ai cittadini che non risultino “residenti all’estero” per più di quindici anni (v., in partic. la sez. 1 del “Representation of the People Act 1985”, come succ. modif.).
La Corte, dopo aver richiamato la propria giurisprudenza sull’art. 3 del Prot. 1 (v.la in M. Cartabia, Dieci casi sui diritti in Europa, p. 239 e ss.), tiene a rilevare come sarebbe stato comunque possibile per il ricorrente “conservare” il suffragio se nel lasso di tempo previsto – considerato dalla stessa non «disproportionate» (§ 116) – egli fosse tornato in patria ed avesse esercitato un tale diritto. Inoltre, rileva l’equilibrio tra i diversi contrapposti interessi in gioco perseguito dalla normativa, ovverosia, tra «the genuine interest of the applicant, as a British citizen, to participate in parliamentary elections in his country of origin and the chosen legislative policy of respondent State to confine the parliamentary franchise to those citizens with a close connection with the United Kingdom and who would therefore be most directly affected by its laws» (§ 118). Ancora, la Corte sottolinea che «there is no common approach as to the extent of States’ obligations to enable non-residents to exercise the right to vote […] It therefore cannot be said that the laws and practices of member States have reached the stage where a common approach or consensus in favour of recognising an unlimited right to vote for non-residents can be identified» e, pertanto «Although the matter may need to be kept under review in so far as attitudes in European democratic society evolve, the margin of appreciation enjoyed by the State in this area still remains a wide one» (§115).
E’ stato, quindi, proprio tenendo conto del margine di apprezzamento a disposizione del legislatore nazionale (v. il §118) e della legittimità dello scopo perseguito dal legislatore che la Corte EDU ha reputato che, nel caso di specie, non vi fosse stata alcuna violazione dell’art. 3 del Protocollo 1 alla Convenzione.
Certo, fa riflettere che, ancora, la residenza in uno Stato dell’UE venga considerata “in territorio estero”, rendendo tangibile, ci pare, la lunghezza della strada che ancora c’è da percorrere sul delicato terreno dei diritti politici nel Consiglio d’Europa. Per diverso profilo, ci si domanda se, in questo caso, non si sarebbero potute avere maggiori chances di successo davanti ai giudici di Lussemburgo, invece che a Strasburgo, considerato, se non altro, che, una previsione di siffatto genere può essere reputata di “ostacolo” alla libera circolazione dei cittadini europei (e, ancora più ampiamente, alla realizzazione – dell’erigendo? – spazio politico eurounitario).
[1]V. Corte europea dei diritti dell’uomo, Quarta Sezione, 7 maggio 2013, ric. n. 19840/09, Case of Shindler v. the United Kingdom - non violazione dell’art. 3 del Protocollo 1 della Cedu (diritto a libere elezioni).
3 Giugno 2013
di Lara Trucco
“Segretezza del voto nell’identificabilità del votante” nelle società “in movimento”
- La tematica della “segretezza nell’identificabilità” dell’elettore si è presentata in tempi recenti acquisendo importanza di pari passo all’elargizione del suffragio a fasce sempre più ampie di popolazione. Ad una tale questione s’è ben presto accompagnato il più generale tema dell”‘agevolazione” del suffragio (con riguardo ai “tempi del voto” ed alle condizioni personali degli elettori): di cui sono rintracciabili i primi esempi nella legislazione elettorale della Nuova Zelanda (specie d’inizio XX secolo), annoverata, anche in ragione di ciò, tra gli ordinamenti di avanguardia nell’attuare politiche di “welfare elettorale”. Sempre in un’ottica di tipo comparatistico, poi, è dato constatare come, in molti degli ordinamenti di più consolidata democrazia, anche a costo di mettere sotto stress proprio il profilo della segretezza nella personalità del suffragio, siano state individuate particolari forme di agevolazione del suffragio stesso in ipotesi (di norma tassative) giustificate dalle particolari condizioni di determinate categorie di persone, impossibilitate a recarsi personalmente alle urne. È il caso del voto per procura previsto, per esempio, in territorio francese dall’art. L 71 del cod. él. francese, designandosi, a tal fine, un “mandatario elettorale” (in linea di principio, per una sola volta), che, appunto, li rappresenta il giorno del voto.
Ci sembra, peraltro, che quanto testé rilevato presenti, in realtà, dei profili problematici dalla portata per certi versi ben più radicale, essendo, in questi casi, il legislatore chiamato a bilanciare le esigenze di più agevole partecipazione al voto, con quelle, non meno pressanti, di segretezza (oltre che di personalità) del voto stesso. Il fatto che poi una tale operazione risulti formalmente più facile là dove manchino normative stringenti di rango costituzionale (come, accade, per l’appunto, in riferimento alla “personalità del voto”, nell’ordinamento francese), induce a riflettere (specie se si conviene nel ritenere che queste ultime custodiscano e, per certi versi, riflettano la memoria storica di un dato gruppo sociale, certificando fenomeni patologici già vissuti ed, al contempo, prevenendo una loro possibile ripetizione) su come, al pari di ogni tipo di “agevolazione” (in senso ampia considerata), anche quella concernente l’esercizio del voto, per non dare luogo ad una pratica di abusi, presupponga un adeguato livello di maturazione democratica, da parte del corpo sociale riguardato.
- II. Quanto appena osservato ci porta anche a notare come la predisposizione di “agevolazioni” al voto possa risultare funzionalizzata ad ovviare a situazioni di obiettiva difficoltà per determinate categorie di elettori a raggiungere i luoghi di voto («Chi porterà al pascolo le oche al posto nostro?» pare che sia stato l’interrogativo più diffuso tra i contadini della Vestfalia quando, nel maggio 1848, per la prima volta, furono chiamati alle urne…).
Tra tali categorie, possono citarsi gli ammalati, le donne in avanzato stato di gravidanza, i ciechi, “la gente di mare”. (c.d. Seamen Vote), i militari in missione e, talvolta, persino, gli analfabeti, ai quali può essere consentito di votare non solo, eventualmente, con l’assistenza e il supporto di altro personale ma anche in luoghi diversi da quelli dove sono ubicati i seggi elettorali (c.d. “absentee vote”). Di siffatta problematica, si rintracciano i primi esempi nella legislazione elettorale della Nuova Zelanda, annoverata, anche in ragione di ciò, tra gli ordinamenti di avanguardia nell’attuare politiche di “welfare elettorale”.
Per quanto concerne il nostro ordinamento, di quest’ordine di problemi si son fatti carico, in particolare, l’art. 38 del d.P.R. n. 26 del 1948, con riguardo ai “militari delle Forze armate nonché gli appartenenti a corpi organizzati militarmente per il servizio dello Stato, alle forze di polizia ed al Corpo nazionale dei vigili del fuoco”, e gli artt. 23 e 22 della legge n. 493 del 1956, con riguardo, rispettivamente, ai naviganti fuori residenza per motivi di imbarco e, per diverso profilo, ai degenti in ospedali e case di cura (tali normative si trovano ora nel d.P.R. n. 361 del 1957, agli artt. 49 e ss.); si vedano, inoltre, più di recente il d.l. n. 1 del 2006, conv. nella legge n. 22 del 2006 e la legge n. 46 del 2009, aventi l’obiettivo di agevolare – e financo di render possibile – per gli elettori affetti da gravi infermità di esprimere il proprio suffragio.
III. Se, pertanto, il nostro ordinamento non può dirsi affatto insensibile al principio “di agevolazione del voto”, resta, tuttavia, perdurante l’interrogativo sul grado di appagamento complessivo dell’attuazione data a tale principio, specie in un’ottica di tipo comparatistico, dalla quale emerge come, in molti degli ordinamenti di più consolidata democrazia, anche a costo di mettere sotto stress i principi di personalità” e di segretezza del voto, accanto all’agevolazione del voto in “senso soggettivo”, siano state individuate forme di agevolazione in “senso oggettivo”, in casi tassativi, giustificati, anche qui, dalle particolari condizioni di determinate categorie di persone, impossibilitate a recarsi personalmente alle urne. È il caso del voto per procura previsto, per esempio, in territorio francese (dove, come da noi, non è previsto il voto per corrispondenza né tanto meno l’utilizzo generalizzato del voto elettronico per i residenti sul suolo nazionale), dall’art. L 71 del Code électoral, col consentire appunto agli “électeurs qui établissent que des obligations dûment constatées les placent dans l’impossibilité d’être présents dans leur commune d’inscription le jour du scrutin”, così come, dal 1993, “les électeurs qui ont quitté leur résidence abituelle pour prendre des vacances” a votare per procura, designando, in linea di principio per una sola tornata di voto, un “mandatario elettorale”, che, appunto, li rappresenta il giorno del voto.
Quanto testé rilevato presenta, in realtà, dei profili problematici dalla portata per certi versi ben più radicale. È indubbio, infatti, che, in questi casi, il legislatore deve continuamente bilanciare la necessità (specie negli ordinamenti in cui vigano forme di voto obbligatorio) di una più agevole partecipazione al voto, con l’esigenza di segretezza e personalità del voto stesso, e che tale operazione sia formalmente più facile là dove manchino normative stringenti (di rango costituzionale) in punto di personalità e segretezza del voto (come, per esempio, accade, in punto di “personalità del voto” nell’ordinamento francese). Tuttavia, le norme – segnatamente, le norme di rango costituzionale –, custodiscono e riflettono spesso la memoria storica di un dato gruppo sociale, certificando fenomeni patologici già vissuti ed, al contempo, prevenendo una loro possibile ripetizione. Da questo punto di vista, è indubbio che, in Italia, forme di broglio elettorale a scapito di soggetti particolarmente vulnerabili sia in epoca liberale, sia dopo la stessa Costituzione del ‘47, siano avvenute e non in lieve misura.
- Quanto s’è detto pare sufficiente a dimostrare come, così come ogni tipo di “agevolazione” (in senso ampia considerata), anche quella concernente l’esercizio del voto”, per non dare luogo ad una pratica di abusi, presupponga un adeguato livello di maturazione democratica. In quest’ottica, con specifico riguardo al caso italiano, i casi di broglio emersi soprattutto sul versante del voto estero “per corrispondenza” inducono a ritenere come, almeno per ora, a salvaguardia della libertà di suffragio, non sia opportuno abbassare troppo la guardia. In particolare, i maggiori problemi riguardo al profilo della “segretezza nell’identificabilità” del voto si sono presentati, si ricorderà, in occasione delle elezioni politiche del 2008, nel c.d. “caso Di Girolamo”. Dello «scandalo», emerso in quella vicenda, rileva qui il fatto che la supposta compravendita dei voti (in determinate realtà ordinamentali) sia stata resa possibile anche e soprattutto a causa dalle gravi “lacune” che, a tutt’oggi, presenta l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (che fa da base ai vari tipi di consultazioni elettorali “dall’estero”, tra cui, per l’appunto, quelle per il parlamento nazionale), date le insufficienti garanzie riguardo alla corretta identificazione dei votanti, e, conseguentemente, circa la corrispondenza delle informazioni personali degli stessi coi dati concernenti gli iscritti nelle liste elettorali contenute nella suddetta A.I.R.E. Sempre con riguardo al versante della personalità del voto, mette conto, inoltre, di rilevarsi come – a differenza di quanto avviene, di norma, dove vige (come per l’elezione dei cittadini italiani residenti all’estero) il voto per corrispondenza –, in Italia non sia prevista come necessaria l’apposizione di una qualche firma autografa da parte di chi vota. Ciò che è tanto più grave se si considera che un tale “dato biometrico” è (in mancanza di altri, più affidabili “accorgimenti tecnici”) il solo che consente di appurare l’effettiva identità di chi vota (attraverso il confronto con la “firma campione” depositata, per tempo, dagli stessi votanti, identificati come tali, presso le proprie amministrazioni elettorali).
- Se, dunque, relativamente al “voto estero”, le maggiori problematicità paiono registrarsi in riferimento al principio di personalità del suffragio, va anche rilevato come non paia militare a favore della sua segretezza, il fatto che il ridetto voto avvenga “a distanza” ed in modo “non presidiato”, data l’impossibilità, con le tecnologie messe attualmente in campo, di garantire che il suffragio si realizzi in condizioni ambientali adeguate.
È proprio la presa d’atto di una tale infausta serie di problematicità dell’attuale congegno del voto degli italiani all’estero ad averci portato (in http://www.forumcostituzionale.it/site/images/stories/pdf/documenti_forum/paper/0387_trucco.pdf, del 6 gennaio 2013) ad accogliere con cauto favore la proposta della sua riforma, grazie, particolarmente, all’«adozione», in via esclusiva, e «l’utilizzo», secondo le indicazioni del Parlamento, «della tecnologia informatica», secondo un “doppio binario informatico” “home vote/voto elettronico in loco” (v. l’art. 1 del d.l. n. 67 del 2012, come conv. nella legge n. 118 del 2012)[1]. L’auspicio è che ciò possa avvenire nel quadro di un più ampio ripensamento della rappresentanza e partecipazione delle comunità italiane di residenti all’estero nella vita politica del nostro Paese. Nell’ambito, cioè, di una riforma di più ampio respiro, ricomprendente pure il voto per le elezioni amministrative, degli italiani residenti all’estero (come dei non cittadini residenti). Trattasi, del resto, di quanto indicato, di recente, dalla stessa Corte costituzionale. Per la precisione, nella sent. n. 242 del 2012 la Corte si è augurata «che il legislatore ponga rimedio» agli «inconvenienti» derivanti dalla assenza di una normativa agevolativa del voto dei residenti all’estero con riguardo alle elezioni amministrative, ponendo, con ciò, proprio la questione delle modalità con cui attuare tali necessarie agevolazioni, tenuto conto ora delle opportunità offerte dalle più recenti tecnologie trasmissive, oltre che della possibilità di favorire lo spostamento “fisico” dei votanti (attraverso, in particolare, i “tradizionali” sconti sui “costi di viaggio”, su cui la stessa Consulta ha avuto modo di pronunciarsi favorevolmente, ad es.. nelle sentt. n. 39 del 1973; e n. 79 del 1988). Là dove a favorire la seconda soluzione potrebbe essere la constatazione della difficoltà, allo stato tecnologico attuale, di garantire la sussistenza di condizioni (ambientali e “materiali”) in grado di garantire la “segretezza del voto nell’identificabilità del votante”, e, più in genere, un’espressione del suffragio a tutti gli effetti libera e svolgentesi da pressioni esterne “indebite”. Su di un diverso versante, poi, nella decisione resa il 15 marzo 2012 nel caso Sitaropoulos e Giakoumopoulos, la Corte EDU riunita in Grande Camera ha chiarito (diversamente da quanto affermato dalla Prima sezione[2]) che «none of the legal instruments examined above forms a basis for concluding that, as the law currently stands, States are under an obligation to enable citizens living abroad to exercise the right to vote», dato che dall’analisi in chiave comparata «of the legislation of Council of Europe member States in this sphere» emergerebbe la mancanza di un “acquis” comune in materia «while the great majority of them allow their nationals to vote from abroad, some do not»; tuttavia, «as regards those States which do allow voting from abroad, closer examination reveals that the arrangements for the exercise of expatriates’ voting rights are not uniform, but take a variety of forms» (v. I §§ 74 e 75).
[1] Anche se, ad oggi, non solo del regolamento di attuazione chiamato a fissare le specifiche tecniche del suddetto voto elettronico non v’è traccia (si noti che il termine di sei mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione – vale a dire, il 23 luglio 2012 – risulta ormai ampiamente traguardato…), ma, per di più, non si può nemmeno dire che la questione del voto estero risulti tra le priorità dell’Agenda politica di questo periodo.
[2] Nella decisione dell’8 luglio 2010, infatti, la Prima sezione della Corte EDU aveva ravvisato una violazione dell’art. 3 del Protocollo n.1 da parte della Grecia a causa della mancata messa a punto di una specifica normativa per l’esercizio del diritto di voto al di fuori del territorio nazionale, in attuazione degli artt. 51 § 4 e 108 della Costituzione greca.
14 Maggio 2013
di Lara Trucco
The conditions of participation in elections as part of the fundamental electoral rules
(in the judgment of the European Court of Human Rights in Ekoglasnost v. Bulgaria*)
In the case Ekoglasnost the Court of Human Rights, confirmed its previous case law concerning the Article 3 of Prot. no. 1 to the Convention (on free and fair elections)[1], by reiterating that this Article «does not prescribe only the obligation for States to hold elections to the legislature, but also implies individual rights, including the right to vote and to stand for election» (see paragraph 57 and, here, the reference to the case Mathieu-Mohin and Clerfayt, decided March 2, 1987). Moreover, the Court confirms that the States have a broad margin of appreciation as to the application of the mentioned provision. In this sense, it affirms the compatibility, in principle, with conventional rules, of legislative provision that put certain conditions for the participation of political parties in elections. In particular, in this case, it was introduced three new conditions for the presentation of candidates for the parliamentary elections by political parties (note that these conditions had successfully passed the scrutiny of the National Constitutional Court), that is a deposit of:
- a certificate of the Court of Audit;
- a list of five thousand voters’ signatures; and
- an amount of about ten thousand of Euros.
The Court found the rules clear and foreseeable and considers that the measures introduced for the elections had pursued a legitimate and important purpose for the proper functioning of a democratic system, aiming to restricting participation in the parliamentary elections to the viable political formations that were sufficiently representative in society and that complied with rules on the transparency of political financing (see § 64). This, in accordance with the considerations of the European Commission for Democracy through Law (Venice Commission) and OSCE Office for Democratic Institutions and Human Rights (Osce/Odihr) (see the “Joint opinion” on “The Election Code of Bulgaria”, of June 2011).
Otherwise, it’s about temporal side of the introduction of these rules that the Court takes its complaints, in accordance with the principle of “stability” of the electoral law: in fact, this principle «is particularly important to ensure the respect of rights guaranteed by the Article 3 of Prot. no. 1 to the Convention» considered that «Fundamental electoral rules should not normally be amended too often and especially on the eve of an election, otherwise the State risks undermining respect for and confidence in the existence of the guarantees of a free election» (§ 68). On this basis, according to the Court of Human Rights, should be read the provisions of the Venice Commission not to changing “just before (within one year of) elections” the elements that are most exposed: the electoral system itself, the membership of electoral commissions, constituencies or rules on drawing constituency boundaries (see § II, 2, b) and § § 65 and 66 of the Code of Good Practice in Electoral Matters). Importantly, the Court ruled that in addition to these «three basic types of electoral rules» it must be added also the conditions of participation in elections as «equally part of the same fundamental electoral rules» requiring, therefore, to «enjoy a temporal stability as the other basic elements of the electoral system» (§ 69). In particular, the political parties wishing to participate in the elections must be able to adapt themselves to any rules introduced in the vicinity of electoral competition.
In the present case, the minimum one-year period advocated by the Venice Commission for the introduction of substantial amendments to electoral law had not been observed: the disputed amendments had been enacted two months before the date of the election and one month before the deadline for the presentation of parties’ candidates to the Central Electoral Commission. In conclusion, there has been a violation of Article 3 of Prot. no. 1, due to the introduction of new requirements for participation in the election shortly (having had “only a month” of time to fulfill the requirements) before the date of elections (note, though, the same conditions were found to be met by other similar political parties, in competition[2]). In fact, the Court has considered that this practice is «clearly incompatible with the democratic order» and «undermines citizens’ trust in their country’s institutions» (§ 69).
Therefore, the temporal element has played a decisive role in this case. Nevertheless, it should be noted that other elements were taken into consideration by the Court. In particular, on the side of “knowability” of these requirements, an important role was played by the publicity of parliamentary works. So, just on this basis, one of the new conditions to be candidates (the certification by the Court of Audit) was considered not unlawful. According to the Court of Human Rights’ «the adoption of this measure» in fact «was to be expected» and, consequently, it could have been «take the necessary measures in order to regularize the situation»[3]. Instead, on the same basis, the Court came to a different conclusion with regard to the other two requirements (collection of subscriptions and payment of the deposit)[4]. In effect the Court is of the opinion that a bill providing this kind of restrictive measures should have been tabled, debated, enacted and published well in advance with respect to the application stage[5]. By introducing them at a late stage into domestic law the Bulgarian authorities have failed to strike a fair balance between the legitimate interests of society as a whole and the right of the political party to be represented in the parliamentary elections[6].
For different profile, is very difficult to determine the importance for the final decision of participation with some success by the applicant in all elections, since its founding (in 1990)[7], with the acquisition of a certain relevance in the national political context[8]. In fact, one might think that the electoral confrontation would have been altered, as a consequence of his non-participation, (remember that this argument “realist” was attached during the Italian regional elections by our President of Republic, at “the launch”, of the Legislative decree no. 29 of 5 mars 2010, not converted in law, entitled “Authentic interpretation of the provisions of the electoral process”). Similarly, it seems difficult to opine that in the decision has been made implicit reference to the situation of our country. Otherwise, there are few doubts that this decisum confirms the presumption contained in the mentioned Code of Good Practice of illegality of “last minute” electoral reforms (i.e., during the year preceding the election). Specifically, that this presumption – which we have already had occasion to think in other places and about other issues – to be overturned requires that it be shown that there is neither “intention manipulation” nor “immediate party political interests” (as suggested by the § 65 of the same Code of Good Practice).
* See European Court of Human Rights, case Ekoglasnost v. Bulgaria, Fourth Section, 6.11.2012, appl. no. 30386/05; only available in French (official language) and Italian (with translation by the Italian Ministry of Justice) language versions.
[1] Article 3 – Right to free elections – provides that “The High Contracting Parties undertake to hold free elections at reasonable intervals by secret ballot, under conditions which will ensure the free expression of the opinion of the people in the choice of the legislature”.
[2] To be precise, twenty-two political formations were registered to participate in the parliamentary elections of 25 June 2005. Ten parties and coalitions – including Ekoglasnost – were denied the right to participate on the ground that one or more of the three conditions for the presentation of candidates, as adopted in April 2005, had not been fulfilled. Seven parties and coalitions exceeded the electoral threshold of 4% of votes and obtained seats in the National Assembly. Twelve political formations obtained less than one per cent of votes and four parties among them had less than five thousand votes each.
[3] More precisely, as the Court considers, the obligation for all political parties to submit annual financial reports to the Court of Audit had existed since 2001. However, until April 2005 failure to comply had not made it impossible for the party to participate in the following elections; it would simply have lost the grant from the State. The statutory obligation for any party wishing to present candidates to obtain a certificate from the Court of Audit as to the validity of its annual accounts had come into force on 1 April 2005. However, the draft of the new law on political parties that provided for this measure had been tabled in Parliament in April 2003. The Bulgarian National Assembly had publicly debated it throughout 2004. Consequently, the Court finds that the adoption of the measure had been foreseeable and that the leaders of Ekoglasnost could have anticipated its introduction well before April 2005 and have taken the necessary measures to ensure that the party’s situation was validated by the Court of Audit.
[4] In this respect, in fact, the Court observed that the bill providing for the electoral deposit and the five thousand signatures of support had been tabled in Parliament only on 1 February 2005 and that the public debates on these measures had taken place between 23 March and 7 April 2005. Following those debates, the two new conditions had been considerably amended: the amount of the deposit had been halved and the five thousand signatures had been extended to any voters, not only members of the party. The leaders of Ekoglasnost had thus not been aware of the two new conditions until the date of their final enactment by Parliament, namely on 7 April 2005. As the date of the elections had been fixed for 25 June 2005 and the rule obliged parties to present their candidates no later than 46 days before the date of the elections, Ekoglasnost had had barely one month to obtain the five thousand signatures and pay the requisite election deposit.
[5] To be precise, in the present case, in 2002 and 2003, or even in the first half of 2004.
[6] To be precise, in the present case, in the Parliamentary elections of June 2005.
[7] The applicant, named, Ekoglasnost, is a Bulgarian political party based in Sofia. On 9 May 2005 Ekoglasnost requested the Central Electoral Commission (the CEC) to register it as a participant in the coming parliamentary elections. On 12 May 2005 the CEC refused to register Ekoglasnost because the three documents had still not been filed. The party challenged that decision before the Supreme Administrative Court, which rejected the appeal. Relying on Article 3 of Prot. No. 1, Ekoglasnost complained that the introduction, shortly before Election Day, of three new conditions for parties to be able to enter candidates in the 25 June 2005 general election prevented it from taking part in the election. The application was lodged with the European Court of Human Rights on 12 August 2005.
[8] The party presented candidates in all parliamentary elections from 1990 to 2001: its results in three of those elections gave it a number of seats in the National Assembly.
7 Febbraio 2013
di Lara Trucco