Fulvio Cortese
Conoscere se stessi.
Recensione a E. Chiti, Il diritto di una comunità comunicativa. Un’indagine sul diritto amministrativo della Chiesa, Milano, Giuffrè Francis Lefebvre, 2019
La recente monografia di Edoardo Chiti merita di essere segnalata, innanzitutto, per il tema che affronta e per il relativo svolgimento, ed anche perché vi si assume una prospettiva strettamente amministrativistica e comparativa. Proprio a quest’ultimo riguardo, però, va sottolineata la circostanza che il metodo seguito e l’andamento complessivo dell’argomentazione, presentati deliberatamente e ripetutamente come molto innovativi, tendono a dire molto – più che sulla particolare materia di approfondimento – sulle teorie o concezioni dell’ordinamento giuridico e del diritto amministrativo, e sul grado o livello di assimilazione che alcune di esse hanno, dal punto di vista storico come sul piano sistematico.
1.L’oggetto del volume è il diritto amministrativo canonico. L’Autore avverte subito (v. parte introduttiva e parte prima) che non intende riferirsi a una partizione disciplinare troppo ristretta, concernente come tale «l’insieme delle disposizioni volte a regolare l’esercizio della funzione esecutiva» (p. 9), bensì a quel complesso di regole e di principi, che definiscono e orientano l’attività dell’organizzazione ecclesiastica nella sua interezza come «attuazione di una missione» (p. 44), secondo il disegno fondamentale introdotto dal Concilio Vaticano II. Per l’A., infatti, in esito al Concilio tutte le attività della Chiesa cattolica sarebbero riconducibili ad «un centro funzionale unitario, incentrato sulla conservazione e sulla trasmissione della memoria, allo stesso tempo storica e di fede, della vicenda di Cristo e del suo annuncio di rivelazione» (p. 21): sicché – al di là di ciò che caratterizza il tradizionale spazio, nel diritto canonico, del classico ambito della iurisdictio – tutte le attività ecclesiastiche sarebbero oggi caratterizzate come «attività essenzialmente amministrative» (p. 43), riunite teleologicamente nella cornice di un unico «progetto regolatorio» (p. 51).
Per Chiti, in particolare, l’architettura ideale di questo progetto di natura intrinsecamente amministrativa è contrassegnato da alcuni elementi distintivi: la conformazione in senso rigorosamente interpersonale di tutte le relazioni amministrative che possono venire potenzialmente in essere (tra i titolari degli uffici ecclesiastici, i fedeli e anche i non credenti); il fatto che i fedeli non sono semplici destinatari dell’annuncio portato dai ministri ordinati, ma vi partecipano attivamente e ne sono corresponsabili; il riconoscimento di uno spazio e di un ruolo espressi e determinati per una forza dichiaratamente soprannaturale (lo Spirito Santo), concepita come parte costitutiva della necessaria comunione che lega la divinità stessa e i fedeli nei loro reciproci rapporti; la preferenza per strumenti giuridici non coercitivi, salvo il recupero di momenti di autorità vera e propria soltanto laddove sia indispensabile per garantire l’ortodossia della fede e l’unità della comunità.
La convergenza e la sinergia di questi caratteri fa sì che il diritto amministrativo canonico possa qualificarsi – «in un senso essenzialmente sociologico», non coincidente con le suggestioni pur ricavabili dalle note teorie di Karl-Otto Apel e di Jürgen Habermas – quale «diritto di una comunità comunicativa» (pp. 59 ss.), che persegue un «progetto preciso»: esso «[s]tabilisce le condizioni necessarie perché l’azione dell’organizzazione ecclesiastica sostenga la strutturazione del corpo ecclesiale, tanto nelle sue relazioni interne quanto nei suoi rapporti con i non credenti, come una comunità che possiamo definire comunicativa in quanto capace di operare attraverso la partecipazione sistematica dei suoi soggetti a una pluralità di processi comunicativi che applicano strategie condivise, presuppongono la cooperazione dei partecipanti e sono volti a produrre interpretazioni accettate da questi ultimi». In quanto tale, questo progetto – che risponde anche ad una specifica accezione del principio di sussidiarietà nell’ordinamento canonico, quale «principio che esige che i rapporti tra l’organizzazione ecclesiastica e la comunità dei fedeli siano improntati alla reciproca armonia, in modo che alla realizzazione della missione della Chiesa possa contribuire utilmente ciascuna delle diverse componenti del corpo ecclesiale» (p. 70) – ha una fortissima «vocazione normativa» e si profila dunque quale «progetto incompiuto» (p. 71), nel quale il perfezionamento dei suoi caratteri, come ora brevemente descritti, è destinato a manifestarsi in una graduale e progressiva, e trasversale, azione di riforma.
Nella sua indagine, tuttavia, l’A. non si limita a una ricostruzione di stampo esclusivamente teorico. Da un lato, cerca di dimostrarne la tenuta diffusa e le proiezioni applicative nel contesto dell’analisi delle discipline di alcune e singole, ed eterogenee, attività amministrative (v. parte seconda), quali la riconciliazione (p. 85), l’eucaristia (p. 97), la gestione dei beni della diocesi e della parrocchia (p. 109), l’evangelizzazione dei non cristiani (p. 125). Dall’altro lato, tenta anche di chiarire (v. parte terza) quanto e perché un diritto amministrativo canonico in tal modo riletto possa riuscire parzialmente originale rispetto alle esperienze dei diritti amministrativi statali e ultrastatali.
In proposito, per Chiti, il diritto amministrativo della Chiesa per un verso sarebbe assai originale (perché di formazione relativamente recente, e perché «frutto di una ridefinizione in senso amministrativo delle attività delle istituzioni ecclesiastiche, realizzata dalla nuova teologia conciliare»: p. 159), per altro verso il suo studio consentirebbe di comprendere meglio (pp. 174 ss.) che, a ben vedere, tutti i diritti amministrativi degli ordinamenti occidentali non potrebbero essere concepiti come orientati a tratti distintivi omogenei e sempre invariabili, ma risponderebbero alla compenetrazione di più paradigmi differenti; l’unico tratto comune dovrebbe ravvisarsi nell’assunzione di una «funzione specifica, quella di dotare le amministrazioni degli strumenti necessari per l’attuazione delle decisioni delle istituzioni politiche e di strutturarne e controllarne l’esercizio» (p. 178). Pur a fronte di queste precisazioni, però, lo statuto del diritto amministrativo canonico dimostrerebbe tutta la sua singolarità: perché enfatizzerebbe al massimo l’esistenza di quella funzione specifica, in ipotesi connotata da una missione univoca, capace di conformare di sé tutto l’ordinamento; e perché le sue connotazioni essenziali in termini di interpersonalità dei rapporti e di corresponsabilità farebbero emergere una particolare teoria del diritto, in termini, cioè, di «diritto orizzontale» (p. 188), di sistema normativo che di regola «fa sorgere obblighi giuridici vincolanti che non sono tuttavia sostenuti da alcuna sanzione e che si innestano sulle relazioni sociali, piuttosto che sostituirle» (p. 189).
In conclusione, l’A., sulle orme delle tesi già espresse da Max Weber, Carl Schmitt e Werner Stark, spiega i motivi profondi dell’originalità del diritto amministrativo della Chiesa sulla base della peculiare «configurazione politica» della Chiesa stessa (pp. 198 ss.), come risultato di un intreccio tra legittimazione razionale, tradizione e carisma. In esso, diversamente dagli altri ordinamenti contemporanei a regime amministrativo, la componente legale-razionale non ha un ruolo preponderante e l’affermazione di un «disegno di salvezza» è costantemente alimentata da una forza destinata a rimanere sempre trascendente: elemento, quest’ultimo, capace di condizionare la natura dell’obbligo giuridico nel senso di una sua strutturazione per definizione composita, e di rinnovare continuativamente la dimensione funzionale dell’ordinamento e la tensione al cambiamento che gli è naturalmente congeniale.
2.Come si può facilmente acquisire, il saggio di Edoardo Chiti è un tipico esempio di “libro a tesi”, che vuole suscitare una discussione, e che, più precisamente, si prefigge esplicitamente un duplice scopo: proporre agli studiosi del diritto canonico un punto di vista capace di rafforzare alcune letture che sono state ipotizzate anche in quella disciplina; valorizzare conoscenze e osservazioni maturate nell’ambito di un proprio, personale tragitto scientifico, per riflettere sugli elementi di continuità e di discontinuità che la frequentazione del diritto amministrativo comparato permette di isolare in merito alle teorie dell’ordinamento giuridico.
Circa il primo obiettivo – e lasciando ai canonisti valutazioni senz’altro più consapevoli e pertinenti – si può annotare che l’idea di trattare “dall’esterno” dinamiche istituzionali oggetto di una disciplina tanto antica quanto spesso autoreferenziale integra una prospettiva positiva a prescindere: introduce, cioè, uno sguardo laterale, ed anche un canale di comunicazione che può facilitare il discorso sull’applicabilità di taluni schemi concettuali anche al di fuori del loro terreno di originaria coltura.
Chiti, in fondo, propone al canonista, ma anche al giurista tout court, uno sguardo autenticamente neutrale, che come tale, avendo molto a che fare con le lenti di alcune delle più affermate scienze sociali, può risultare piuttosto eterodosso a chi percorra i più consolidati sentieri della teoria e della dogmatica giuridiche di stampo formalista. Tuttavia, occorre anche ammettere che l’A. stesso è cosciente di questo “conflitto”, tanto che proprio la parte finale del volume – in cui si insiste sulla natura composita dell’ordinamento politico presupposto al diritto amministrativo della Chiesa – “ripesca” quasi in toto il peso del fattore storico-tradizionale: quell’aspetto, in sostanza, che anche nel quadro degli studi di Law&Religion la migliore dottrina comparatistica di settore (si pensi ai lavori di Silvio Ferrari) ha evidenziato da tempo come un irrinunciabile punto di attenzione.
Molto più interessante, a parere di chi scrive, è il secondo obiettivo di questo saggio. Perché la lettura dei ragionamenti in cui Chiti cerca di sviluppare la peculiare concezione funzionale dell’ordinamento canonico e, di conseguenza, la sua coerente ricostruzione in termini di processo di attuazione orizzontale e incompiuta rivela in maniera molto efficace e sintetica quali siano i riferimenti metodologici e ideali dell’Autore, così come maturati da tempo soprattutto nello studio del diritto dell’Unione europea.
Chiti, in altri termini, nel presentare una specifica teoria dell’ordinamento canonico presenta anche le proprie convinzioni sull’ordinamento giuridico e, più in generale, sugli sviluppi della giuridicità nella tradizione occidentale; e, dunque – in un meccanismo di “andata e ritorno” potenzialmente assai fruttuoso – sulla possibilità di applicare ciò che si può argomentare sull’ordinamento politico della Chiesa e sul rispettivo diritto amministrativo anche all’ordinamento repubblicano e al diritto amministrativo che in esso opera. Anzi, si potrebbe quasi affermare che il libro di Chiti è, forse, più affascinante su questo secondo versante. D’altra parte, non è forse vero che anche la Costituzione della Repubblica italiana si propone, sin dai suoi principi fondamentali, di proiettare nel futuro il significato “ri-fondante” (di “salvezza”) della nuova forma di Stato? E non è forse vero che, in una certa lettura dell’ordinamento repubblicano (a sua volta corrispondente ad una certa, e corrispondente, lettura della norma giuridica in sé e per sé considerata: l’allusione è, evidentemente, all’opera di Feliciano Benvenuti e, ancor più, di Giorgio Berti), la Repubblica stessa non è altro che un’organizzazione vocata a realizzare – attuare – una specifica “missione”, e a farlo in modo innanzitutto partecipato e condiviso? In definitiva, la lezione che Chiti ci offre è semplice e importante: conoscere se stessi è sempre il primo passo da fare per proporre interpretazioni nuove e per gettare ponti concreti verso elaborazioni tanto apparentemente distanti quanto praticamente vicine.
5 Marzo 2020