Fabio Calvi
La partecipazione attiva ai combattimenti non costituisce requisito per l’obiezione di coscienza
La sentenza pronunciata dalla Corte di Giustizia Europea sulla causa C-472/13 in data 26 febbraio 2015 statuisce in merito alle questioni pregiudiziali sottoposte dal Bayerisches Verwaltungsgericht Munchen (Germania) con riferimento alla controversia sorta tra il Sig. André Lawrence Shepherd (attore) e la Repubblica Federale di Germania (convenuto). Il Sig. Shepherd, cittadino statunitense entrato nel settembre 2003 nelle forze armate USA come manutentore di elicotteri da combattimento, veniva trasferito nel 2004 in Germania e di li in missione in Iraq. Tornato con la propria unità in Germania nel 2005 con forti dubbi circa la legittimità internazionale della guerra in conseguenza dei crimini di guerra ad opera americana cui a suo dire aveva assistito, l’attore decideva di disertare in data 11 aprile 2007. L’anno successivo, timoroso delle conseguenze giuridiche e sociali ove avesse fatto ritorno nel proprio Paese, l’attore presentava domanda di asilo in Germania. Tale richiesta veniva però respinta dal Bundesamt fur Migration und Fluchtlinge poiché la fattispecie non sarebbe rientrata come asserito dal Sig. Shepherd nell’ambito di applicazione dell’art. 9, par. 2, lett. “e”, letto in combinato disposto con l’art. 12, Dir. 83/2004. Tale assunto si basava su 4 motivi: l’applicazione del detto articolo presupporrebbe siano stati commessi atti contrari al diritto internazionale nel conflitto in questione ma le forze armate USA non incoraggiano né tantomeno tollerano tali pratiche; il Sig. Shepherd era un semplice manutentore di elicotteri, dunque non solo non partecipava direttamente ai combattimenti ma non esistono indicazioni che i “suoi” elicotteri abbiano avuto un ruolo nei presunti crimini; a prescindere se l’invasione dell’Iraq abbia costituito o meno una violazione del diritto internazionale umanitario, l’attore non sarebbe comunque considerato autore dei presunti crimini contro la pace non trattandosi di un militare di alto rango con autorità decisionale; un’eventuale azione legale degli USA contro il Sig. Shepherd per diserzione sarebbe solo espressione dell’interesse legittimo dello Stato. L’attore impugnava quindi la decisione dinnanzi alla Bayerisches Verwaltungsgericht Munchen, asserendo il Giudice aver erroneamente applicato principi di diritto penale internazionale ad una richiesta di asilo, concentrandosi sulla nozione di “atti di persecuzione” ex art. 9 piuttosto che su quella di “motivi di persecuzione” ex art. 10 Dir. 83/2004. Con riferimento a questi ultimi infatti, il Sig. Shepherd fondava la sua richiesta sull’art. 10, par. 1, lett. “d”, dunque sulla propria appartenenza ad un particolare gruppo sociale, nello specifico gli obiettori di coscienza. Il Verwaltungsgericht sospendeva il giudizio e sottoponeva alla Corte le 8 questioni pregiudiziali citate in sentenza.
4 Maggio 2015
di Fabio Calvi
Il consenso del migrante irregolare non ne legittima il trattenimento insieme a detenuti comuni
La sentenza pronunciata dalla Corte di Giustizia Europea in data 17 luglio 2014 sulla causa C-474/13 concerne la controversia instaurata da Thi Ly Pham, cittadina vietnamita, contro lo Stadt Schweinfurt, Amt fur Meldewesen und Statistik (Ufficio per le notifiche di residenza e statistica della città di Schweinfurt) ed ha come punto focale l’interpretazione dell’art. 16, paragrafo 1, della Direttiva 115/2008 del Parlamento Europeo e del Consiglio, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati Membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare. Il suddetto articolo in particolare, presupponendo la mancata concessione da parte dello Stato Membro “ospitante” di un termine per la partenza volontaria di cui all’art. 7 della medesima Direttiva oltreché la sussistenza delle condizioni di cui all’art. 15, paragrafo 1, recita: “Il trattenimento avviene di norma in appositi centri di permanenza temporanea. Qualora uno Stato Membro non possa ospitare il cittadino di un paese terzo interessato in un apposito centro di permanenza temporanea e debba sistemarlo in un istituto penitenziario, i cittadini di paesi terzi trattenuti sono tenuti separati dai detenuti ordinari”. Thi Ly Pham, migrante irregolare in Germania e trattenuta ai fini dell’allontanamento ai sensi del Capo IV della Direttiva 115/2008, veniva collocata in un carcere ordinario ove acconsentiva con dichiarazione scritta ed in deroga all’ultima parte del suddetto articolo a trascorrere il periodo di trattenimento insieme a detenuti comuni al fine di stare in contatto con propri connazionali carcerati. Nel corso del procedimento instaurato dal ricorso depositato dalla Pham, ove questa lamentava, a dispetto dell’assenso prestato, la violazione del suddetto art. 16, paragrafo 1, il Bundesgerichtshof (Corte Federale di Giustizia Tedesca) interrogava la Corte di Lussemburgo circa la valenza del consenso della ricorrente alla sistemazione con detenuti ordinari e dunque circa la corretta interpretazione dell’articolo. La presente nota intende esplicare le ragioni normative e fattuali che hanno condotto la Corte a ritenere infondate le ragioni addotte dal convenuto nonché dai Governi tedesco ed olandese ed a negare che l’assenso della ricorrente valesse a legittimarne la sistemazione con detenuti comuni.
2 Marzo 2015
di Fabio Calvi