Elezioni in Mozambico: cronaca di una crisi annunciata

Per i partiti di governo dell’Africa meridionale – eredi degli ex movimenti di liberazione – il 2024 verrà probabilmente ricordato come l’annus horribilis, durante il quale, in maniera inedita, hanno perso consensi (Namibia), la maggioranza assoluta (Sudafrica), o sono addirittura passati all’opposizione (Botswana), in elezioni che hanno scosso lo status quo post-indipendenza. Le elezioni presidenziali, parlamentari e provinciali mozambicane del 9 ottobre hanno confermato questa tendenza, aprendo una crisi politica e sociale senza precedenti nella storia degli ultimi trent’anni del paese. Una crisi che può essere da monito anche per l’Angola, dove è forte lo scontento verso il partito di governo MPLA, il quale ha perso per la prima volta la maggioranza dei due terzi nel 2022 e potrebbe vedere i suoi consensi ulteriormente ridotti alle elezioni del 2027. Nelle proteste che si sono susseguite dal 21 ottobre in tutto il Mozambico e che sono sfociate in scontri con le forze di sicurezza hanno perso la vita 303 persone (al 15 gennaio, Plataforma Eleitoral Decide), le stime di crescita del PIL sono state riviste dal 4,1% al 3,2% per il 2025 (Oxford Economics) e si assiste ad una totale perdita di credibilità del processo elettorale e, con esso, di legittimità delle istituzioni. Si tratta della contestazione più intensa nei confronti del partito di governo Frelimo dalla fine della guerra civile, una delle più lunghe d’Africa (1977-1992), che Frelimo combatté e vinse contro il partito di opposizione Renamo, entrambi ex movimenti di liberazione dalla dominazione coloniale portoghese, terminata nel 1975. Frelimo ha vinto le prime elezioni multipartitiche del 1994 e da allora le sei successive tornate elettorali, inclusa l’ultima, tra accuse di brogli.
Le elezioni del 2024 hanno introdotto un elemento di forte discontinuità nel contesto politico, rimasto sostanzialmente immutato negli ultimi trent’anni, ossia la riconfigurazione dell’opposizione e la fine del sistema bipartitico finora dominato da Frelimo e Renamo, apostrofata da taluni come la partitocrazia “Frenamo”, ad indicare la connivenza dell’opposizione con la maggioranza in cambio di una spartizione delle cariche istituzionali. A scardinare questo equilibrio è stato il candidato indipendente alle elezioni presidenziali, Venâncio Mondlane, un carismatico pastore pentecostale ed ex commentatore televisivo, già membro di Renamo, del quale era il candidato sindaco per la città di Maputo alle elezioni municipali dell’11 ottobre 2023 e che ha lasciato nel 2024 dopo aver perso le primarie per la nomina a candidato presidente.
L’attenzione era alta soprattutto sull’esito delle elezioni presidenziali, in un paese con una forma di governo fortemente presidenziale. Il Consiglio costituzionale, con sent. 24/CC/2024 del 22 dicembre, non ritenendo ammissibili i ricorsi presentati, ha svolto una verifica d’ufficio dei risultati provvisori proclamati dalla Commissione elettorale e proclamato i risultati definitivi. In base a questi ultimi, è stato eletto Presidente il candidato di Frelimo, Daniel Chapo (con il 65,17% dei voti), seguito da Mondlane (24,19%), Ossufu Momade, leader di Renamo (6,62%) e Lutero Simango, capo del partito minore di opposizione Movimento Democrático de Moçambique (MDM) (4,02%). Mondlane era inizialmente sostenuto dalla coalizione Coligação Aliança Democrática (CAD), alla quale però è stata preclusa la possibilità di presentare candidature alle elezioni legislative e governatoriali dopo che il Consiglio costituzionale, con sent. 10/CC/2024 del 31 luglio, ha rilevato la sua mancata registrazione per fini elettorali. La candidatura di Mondlane è stata quindi sostenuta dal partito Povo Otimista para o Desenvolvimento de Moçambique (Podemos), una formazione politica giovane (costituita in vista delle elezioni del 2019), che con queste elezioni entra per la prima volta in Parlamento e diventa il primo partito di opposizione con 43 seggi su 250 (contro i 28 seggi di Renamo), mentre Frelimo mantiene la sua maggioranza dei due terzi con 171 seggi.
Prima ancora della proclamazione dei risultati provvisori da parte della Commissione elettorale il 24 ottobre, Mondlane ha denunciato brogli e indetto proteste, che continuano – ad oltre tre mesi dal voto – e sono anche accompagnate da disordini, blocchi stradali, saccheggi e atti vandalici. La risposta istituzionale è stata debole, quand’anche assente: il Presidente della Repubblica Filipe Nyusi ha parlato per la prima volta della crisi in un discorso televisivo a metà novembre, invitando i partiti al dialogo. Il partito Frelimo è apparso diviso al suo interno, con i suoi membri che hanno rilasciato dichiarazioni spontanee e talvolta contraddittorie. Il governo e le forze di sicurezza sono stati accusati dalle opposizioni e dalla società civile di abuso della forza, suscitando le preoccupazioni dell’Unione africana e della comunità internazionale (Unione europea, singoli paesi europei, Stati Uniti, Canada), specie dopo l’assassinio politico di due esponenti del partito Podemos in circostanze ancora non chiarite. Infine, le istituzioni sono state oggetto di attacchi diretti, in particolare la Presidente del Consiglio costituzionale, alla quale si è direttamente rivolto Mondlane in una diretta sui canali social: “quello che succederà da lunedì [il giorno della proclamazione dei risultati definitivi] se non si rispetterà la verità elettorale dipenderà dalle parole della Presidente del Consiglio Costituzionale. Le sue sono parole che possono dare o togliere la vita”.
Scaturite dalle irregolarità elettorali, le proteste hanno rivelato la presenza di profonde rivendicazioni socioeconomiche e politiche. Le prime sembrano essere il motore delle manifestazioni, laddove il 68% della popolazione vive sotto la soglia di povertà ed è stata colpita dall’aumento dell’inflazione legata a shock esterni (tra cui la pandemia, la stretta monetaria internazionale ed i conflitti internazionali). A questo si aggiunge la difficoltà del governo di fornire servizi pubblici essenziali e di pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici, a causa degli alti livelli di indebitamento e dei perduranti effetti della crisi economico-finanziaria, a sua volta originata dallo scandalo sul debito occulto del 2016 relativo a prestiti da 2 miliardi di dollari, per cui erano state concesse garanzie sovrane e presumibilmente ottenuti con la corruzione. L’élite politica (che Mondlane chiama il “colonizzatore nero”) è accusata di corruzione e di utilizzare a proprio esclusivo vantaggio le risorse nazionali e per questo ritenuta responsabile del peggioramento delle condizioni di vita. A protestare sono soprattutto i giovani e i ceti meno abbienti dei centri urbani, tra i quali ha trovato ampio riscontro la retorica populista di Mondlane. Ma l’insoddisfazione sembra essere trasversale nel paese, anche tra l’elettorato di Frelimo, che auspica un rinnovamento del partito e non si accontenta dell’elezione di un nuovo Presidente della Repubblica, Daniel Chapo, espressione di una nuova generazione (è il primo Presidente nato dopo l’indipendenza), successivamente al completamento dei due mandati previsti dalla Costituzione del Presidente Nyusi.
La crisi di legittimità delle élite si traspone sul piano istituzionale e ad essere accusate di fare un utilizzo indebito della ricchezza nazionale sono le istituzioni. Questo avviene in un sistema caratterizzato da una commistione tra Stato e partito e in cui il mandato popolare deriva da elezioni caratterizzate da brogli, puntualmente accertati da missioni di osservatori elettorali, sebbene non ritenuti di entità tale da ribaltare il risultato. Indicativa della sfiducia nelle elezioni è la bassa affluenza alle urne: il 42,16% nel 2024, rispetto al 51,84% del 2019. Il processo elettorale ha ulteriormente perso di credibilità con le elezioni municipali dell’11 ottobre 2023, dopo che il Consiglio costituzionale, sulla base di ricorsi presentati dalle opposizioni, ha rivisto i risultati annunciati dalla Commissione elettorale, decretando la vittoria delle opposizioni in 4 municipalità assegnate in precedenza a Frelimo e chiedendo che fossero ripetute le elezioni in altre 4 municipalità, su un totale di 65. L’imparzialità della Commissione elettorale è fortemente messa in discussione, anche in virtù della sua composizione, che – come frutto di un compromesso storico tra Frelimo e Renamo alla fine della guerra civile – riflette la rappresentanza dei partiti in Parlamento.
La sfiducia nel processo elettorale è tra i fattori scatenanti della crisi post-elettorale ma è stata probabilmente anche acuita da quest’ultima, portando ad una perdita di credibilità quasi totale. La vittoria all’indomani del voto è stata rivendicata sia da Frelimo che da Mondlane (il quale ha promosso un conteggio separato dei voti) che aveva annunciato la sua intenzione di insediarsi come Presidente il 15 gennaio, in una cerimonia parallela a quella ufficiale. I risultati pubblicati dalla Commissione elettorale sono stati ancora una volta pesantemente rivisti dal Consiglio costituzionale che ha ridotto la percentuale di voti ottenuta dal candidato presidente Chapo del 5,5% e tolto 24 seggi a Frelimo rispetto a quanto annunciato dalla Commissione. I brogli sono stati palesi e documentati dagli osservatori elettorali, in particolare dall’Unione europea, che in maniera più netta che in passato ha rilevato la presenza di “irregolarità durante il conteggio e alterazioni ingiustificate dei risultati elettorali”, invitando la Commissione a pubblicare i risultati disaggregati per seggio elettorale. Il Parlamento portoghese – l’ex paese colonizzatore, con il quale il Mozambico mantiene forti legami – ha approvato il 10 gennaio due risoluzioni con le quali chiede al governo di non riconoscere il governo mozambicano e di ricontare i voti.
Il 15 gennaio, in occasione del suo insediamento, il Presidente Chapo si è impegnato ad avviare un processo di riforma istituzionale che includa la lotta alla corruzione, il taglio dei costi legati all’amministrazione pubblica e il rafforzamento del sistema giudiziario, inclusa la trasformazione del Consiglio costituzionale in Corte costituzionale. Se quanto annunciato si tradurrà in modifiche sostanziali e seguendo un processo di riforma inclusivo, la crisi mozambicana – che al momento in cui si scrive sembra volgere verso una fase di graduale allentamento delle tensioni, con apparenti tentativi di dialogo politico in corso – potrà quantomeno essere servita per dare impulso ai tentativi di rinnovamento dell’assetto istituzionale.
Per quanto finora osservato, questa crisi sembra evidenziare – ove necessario (!) – i limiti delle elezioni formali, non soltanto sintomi di transizioni costituzionali incompiute, ma addirittura potenziali ostacoli per il consolidamento democratico. Le elezioni suscitano aspettative di cambiamento che vengono puntualmente disattese in contesti in cui la competizione elettorale è limitata o assente, generando frustrazione che rischia di alimentare instabilità. Le elezioni di facciata possono essere strumentalizzate per legittimare l’esercizio del potere da parte dei partiti di governo. Il rischio è che questi ultimi concentrino gli sforzi, anche economici – si pensi ai costi legati all’organizzazione delle elezioni, soprattutto in caso di pratiche clientelari, che pesano ulteriormente sulla capacità di spesa dei governi nei paesi in via di sviluppo – sull’assicurarsi la vittoria elettorale e che questo sia ritenuto sufficiente per dimostrare l’esistenza di presupposti democratici, requisito fondamentale per accedere all’assistenza fornita dai paesi occidentali, da cui ad esempio il Mozambico è fortemente dipendente. L’attenzione invece potrebbe essere posta sulla realizzazione di un sistema di buona governance in grado di garantire l’accesso alle risorse politiche, sociali, economiche e ambientali con il fine – cui aspira una democrazia – di promuovere lo sviluppo e ridurre le disuguaglianze. In quanto a governance – cui è dedicata la Carta dell’Unione Africana sulla democrazia, le elezioni e la governance – il Mozambico si colloca nella parte medio bassa della classifica dei paesi africani (28 su 54) in base all’indice Mo Ibrahim. La percepita esclusione dai benefici derivanti dallo sfruttamento della ricchezza nazionale è stata al centro delle recenti proteste e tra le cause dell’instabilità che affligge la provincia nord di Cabo Delgado dal 2015. Cambiare questa percezione sarà tra le sfide del neoeletto Presidente Chapo, così come assicurare una gestione trasparente ed equa delle abbondanti risorse nazionali. La posta in gioco è la riduzione della povertà, in risposta alle aspettative di cambiamento della popolazione, specie dei giovani, in un paese in cui l’età media è di diciassette anni.


Suicidio assistito: la sentenza Carter v. Canada alla prova della trans-judicial communication

Commentando su questo blog la sentenza della Corte suprema del Canada, Carter v. Canada (Attorney General) [2015] SCC 5, con la quale è stata dichiarata l’incostituzionalità del divieto generalizzato di suicidio assistito, si era già parlato dell’influenza che la decisione avrebbe potuto esercitare sulla giurisprudenza straniera in materia di morte medicalmente assistita: si tratta di una materia particolarmente permeabile alla trans-judicial communication e ciò è ancor più evidente negli ordinamenti di common law, da sempre maggiormente aperti alla circolazione delle giurisprudenze. Infatti, le prime “risposte” a Carter sono giunte dal Sudafrica e dalla Nuova Zelanda, attraverso due sentenze, rispettivamente dalla High Court del Sudafrica (divisione provinciale di Gauteng) e dalla High Court della Nuova Zelanda: Stransham-Ford v. Minister of Justice And Correctional Services and Others [2015] ZAGPPHC 230 e Lecretia Seales v. Attorney General [2015] NZHC 1239. Nelle pronunce si fa ampio riferimento al precedente canadese, che si è scelto di seguire soltanto nel caso sudafricano. Il giudice sudafricano ha infatti consentito al ricorrente di sottoporsi alla pratica del suicidio assistito, poiché ritenuta conforme alla Costituzione, mentre secondo l’Alta Corte neozelandese il divieto generalizzato non viola i diritti contenuti nel Bill of Rights.

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Carter v. Canada. La Corte suprema canadese ritorna sulla questione del suicidio assistito e dichiara l’incostituzionalità del divieto generalizzato

Il 6 febbraio del 2015, pronunciandosi all’unanimità, la Corte suprema del Canada, con la sentenza Carter v. Canada ha dichiarato l’incostituzionalità del divieto generalizzato di suicidio assistito, previsto dagli articoli 14 e 241, lett. b del codice penale. Si tratta di una sentenza dalla portata storica: essa dispone l’overruling di una precedente decisione del 1993, nella quale analoga questione era stata rigettata, e si inserisce all’interno di un acceso dibattito pubblico, sia a livello canadese, come testimoniano le numerose proposte di legge e la nascita di diverse associazioni impegnate nella sensibilizzazione sul tema, che a livello comparato. Dibattito quest’ultimo sul quale, come cercherò di dire in conclusione, anche la sentenza Carter potrà incidere.

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