La Consulta sulla Robin Hood Tax. Un caso di mutazione genetica dei vincoli di bilancio nazionali e sovranazionali?

SOMMARIO: 1. La Robin Hood Tax; 2. La decisione della Corte; 3. La delimitazione degli effetti della pronuncia nel tempo; 3.1. Eterogenesi dei fini del principio del pareggio di bilancio; 3.2. La contraddittorietà della motivazione; 4. Conclusioni

1. Lo scorso 9 febbraio la Corte Costituzionale, con una pronuncia molto attesa, ha finalmente sciolto il nodo relativo alla legittimità costituzionale della c.d. Robin Hood Tax. La questione, giunta all’attenzione della Consulta a seguito dell’ordinanza di rimessione della Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia del 26 marzo 2011, riguardava la compatibilità con gli artt. 3, 23, 41, 53, 77 Cost. della nota e discussa “addizionale” (più propriamente: maggiorazione dell’aliquota IRES, di 5,5 punti) introdotta nel 2008 a carico delle imprese petrolifere, dell’energia e del gas che avessero conseguito nel periodo d’imposta precedente un volume di ricavi superiore a 25 milioni di euro. La misura, adottata con dichiarata finalità redistributiva, come si ricorderà aveva prestato immediatamente il fianco a critiche, non solo riferite alla sua – all’epoca - dubbia legittimità costituzionale ma anche relative alla sua controversa efficacia redistributiva (peraltro, qualcuno ricorderà che il gettito derivante da tale “addizionale”, seppur parzialmente, era destinato alla copertura finanziaria necessaria per l’introduzione della nota e discussa social card per gli anziani meno abbienti). La disposizione, infatti, si esponeva all’argomento in base al quale il maggior prelievo sarebbe stato agevolmente trasferito dalle imprese colpite sui consumatori, in barba al divieto di traslazione economica previsto dal legislatore. Il rispetto di tale divieto, infatti, era estremamente difficile da controllare da parte dell’Autorità preposta (proprio in sentenza, tra l’altro, si dà conto del fatto che la stessa Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, in occasione della Relazione al Parlamento n. 18/2013/I/Rht, ha rilevato come detto divieto non  “[potesse] essere puntualmente sanzionato a causa della obiettiva difficoltà di isolare, in un’economia di libero mercato, la parte di prezzo praticato dovuta a traslazioni dell’imposta”).

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