Elisa Chieregato
La Corte Suprema e gli ultimi episodi della culture war su aborto e contraccezione: un commento a Little Sisters of the Poor v. Pennsylvania (2020)
Il tema dei diritti riproduttivi rimane un terreno privilegiato nello scontro politico-ideologico tra liberal-progressisti e conservatori negli Stati Uniti. Nel 2016, in occasione della sua campagna elettorale, Trump ha espressamente dichiarato che avrebbe nominato un giudice che potesse ribaltare la celebre sentenza Roe v. Wade, che riconosce e garantisce a livello federale il diritto all’interruzione di gravidanza. Durante la sua presidenza, Trump ha infatti avuto modo di nominare due Justices, i giudici Gorsuch e Kavanaugh, entrambi dichiaratamente antiabortisti. Per questo, era molto attesa la sentenza nel caso June Medical Services L. L. C. Et Al. v. Russo, Interim Secretary, Louisiana Department Of Health And Hospitals, 591 U. S. __ (2020), che rappresentava la prima decisione in materia di aborto resa dalla Corte Suprema nella sua rinnovata formazione a maggioranza conservatrice.
Con la sentenza resa il 29 giugno 2020 (ampiamente commentata in questa sede da Pelucchini), la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità di una legge del Louisiana che, in nome della tutela della salute delle donne, avrebbe di fatto condotto alla chiusura di tutte le cliniche abortive dello stato. Ancorché la disciplina in esame fosse sostanzialmente identica ad una legge del Texas già ritenuta incostituzionale dalla Corte Suprema nel caso Whole Women’s Health v. Hellerstedt (si veda qui per una più ampia analisi), l’esito della controversia non era affatto scontato, anzi era decisamente fondata la possibilità di un ribaltamento di Roe v. Wade. Il rischio è stato tuttavia scongiurato grazie allo swing vote del giudice Roberts, che si è eccezionalmente unito ai/alle giudici di orientamento progressista per «mero rispetto del precedente giuridico».
Così, con una decisione di estrema rilevanza simbolica, la Corte ha ribadito la sua giurisprudenza costituzionale in tema di aborto, bloccando, anche se solo temporaneamente, l’offensiva repubblicana volta a limitare l’accesso ai servizi abortivi.
A questa riaffermazione della posizione progressista è seguita, invece, la decisa vittoria dell’amministrazione Trump in materia di accesso gratuito ai contraccettivi. Infatti, nell’ambito della culture war statunitense, ha oramai assunto una certa rilevanza la controversia giudiziaria relativa all’obbligo di includere i servizi contraccettivi tra i servizi minimi garantiti dalle assicurazioni sanitarie aziendali, il cd. Contraceptive Mandate. Su questo tema si è pronunciata nuovamente la Corte Suprema, nel caso Little Sisters of the Poor Saints Peter and Paul Home v. Pennsylvania et al., 591 U. S. __ (2020), reso lo scorso 8 luglio. In questa decisione, la terza sul tema in appena sei anni, la Corte ha confermato un regolamento dell’amministrazione Trump che permette a tutti i datori di lavoro di opporsi, per motivi religiosi, alla copertura assicurativa dei servizi contraccettivi, di fatto smantellando un (altro) capitolo della riforma sanitaria promulgata dall’amministrazione Obama.
Il Contraceptive Mandate, introdotto nel 2010 nell’ambito della riforma sanitaria allo scopo di promuovere la salute pubblica e contrastare la discriminazione di genere nell’accesso ai servizi sanitari, aveva fin da subito dato origine a un ampio contenzioso, poiché l’obbligo di fornire la copertura assicurativa dei contraccettivi era ritenuta lesiva della libertà religiosa di alcuni datori di lavoro. Per questo, l’amministrazione Obama ha previsto la possibilità per le chiese di chiedere un’esenzione dall’obbligo di coprire i servizi contraccettivi. Ha inoltre disposto una religious accommodation per le associazioni non-profit, che possono esercitare la loro obiezione di coscienza delegando, con un modulo di autocertificazione, l’impresa assicurativa a fornire la copertura assicurativa dei contraccettivi alle proprie dipendenti. Si noti quindi la differenza tra l’esenzione, assicurata alla prima categoria, e la accommodation, prevista per la seconda categoria, che permetteva comunque alle dipendenti di ottenere la copertura contraccettiva.
Nonostante questo, il Contraceptive Mandate ha dato origine a due ampi filoni giudiziari, entrambi giunti dinanzi alla Corte Suprema.
Da un lato, il mandato è stato impugnato da alcune imprese commerciali che richiedevano di poter esercitare la loro obiezione di coscienza nei confronti di una condotta, la fornitura di copertura assicurativa per i servizi contraccettivi, che ritenevano in contrasto con le loro convinzioni religiose. La Corte Suprema, nella celebre sentenza Burwell v. Hobby Lobby Stores, Inc. del 2014 (commentata più ampiamente qui), ha riconosciuto che il Contraceptive Mandate violava le norme federali in materia di libertà religiosa (il Religious Freedom Restoration Act, o RFRA), nella parte in cui non prevedeva un mezzo meno restrittivo per promuovere l’interesse alla salute delle dipendenti. Così, la Corte suggeriva di estendere la religious accommodation prevista per le associazioni non-profit anche alle imprese commerciali a conduzione familiare, come la ricorrente.
Dall’altro lato, il mandato era stato impugnato anche dalle associazioni non-profit, che avevano contestato la legittimità costituzionale della procedura di autocertificazione richiesta per accedere all’accommodation, ritenuta anch’essa, ad avviso dei ricorrenti, lesiva della loro libertà religiosa. Nel caso Zubik v. Burwell, la Corte aveva tuttavia rimandato la questione alle corti inferiori, incaricandole di trovare un bilanciamento tra la libertà religiosa delle associazioni e il diritto delle lavoratrici a ricevere una copertura sanitaria completa e paritaria.
Sulla scia di quest’ultimo caso, nel 2017 l’amministrazione Trump aveva emanato due controversi regolamenti (interim final rules) che estendevano a tutte le imprese, anche quelle non a conduzione familiare, la possibilità di essere esentati, per motivi religiosi, dalla creazione, mantenimento, fornitura, offerta o organizzazione della copertura assicurativa di alcuni o tutti i servizi contraccettivi. Con questa esenzione generale si smantellava di fatto la procedura di auto-certificazione, togliendo la copertura contraccettiva alle dipendenti dei datori di lavoro con obiezioni religiose. Si stima infatti che, con l’entrata in vigore di questi regolamenti, tra le 70 mila e 126 mila donne avrebbero immediatamente perso la possibilità di accedere gratuitamente ai farmaci contraccettivi.
In seguito al ricorso dello stato del Pennsylvania e dello stato del New Jersey, che avevano impugnato il regolamento per vizio di incompetenza, l’esenzione generale era stata prontamente bloccata. Sul punto è stata quindi chiamata a pronunciarsi la Corte Suprema, che in Little Sisters of the Poor ha rigettato la decisione della corte inferiore, riconoscendo la piena legittimità dell’esenzione generale dal Contraceptive Mandate introdotta dall’amministrazione Trump.
La decisione riguarda questioni di discrezionalità amministrativa più che di diritto costituzionale e, come suggeriscono le opinioni concorrenti sia del giudice Alito sia della giudice Kagan, non è esclusa la possibilità che i regolamenti possano essere nuovamente oggetto di un giudizio amministrativo da parte delle corti inferiori. Tuttavia, in questa pronuncia il giudice Thomas, scrivendo per la maggioranza, ha colto l’occasione per riaffermare la preminenza della libertà religiosa. Facendo riferimento più volte alla decisione della Corte in Hobby Lobby, la Corte ha infatti ribadito che «il potenziale per un conflitto tra il contraceptive mandate e l’RFRA è oramai consolidato» e che «sia stato chiarito abbondantemente che, ai sensi del RFRA, si debba accettare l’obiezione di coscienza delle entità religiose», senza tuttavia citare il tentativo di bilanciamento tra interessi contrapposti proposto nella stessa sentenza. Così, come afferma aspramente la giudice Ginsburg nella sua opinione dissenziente, «nel suo zelo di assicurare i diritti religiosi all’ennesimo grado» la Corte dimentica di operare un bilanciamento con i «countervailing rights and interests» di chi vede i propri diritti limitati alla luce dell’osservanza religiosa altrui.
Per questo, la decisione in Little Sisters of the Poor rappresenta un’energica affermazione dello status privilegiato della libertà religiosa su ogni altro diritto fondamentale, coerentemente alla linea politica del presidente Trump (si vedano gli ordini esecutivi del 2017 e dello scorso giugno), al punto che si parla di una rivoluzione nella giurisprudenza costituzionale in materia di libertà religiosa. Si noti inoltre che la sentenza arriva nello stesso giorno in cui si è riconosciuto, in Our Lady of Guadalupe School v. Morrissey-Berru, che il diritto antidiscriminatorio non si applica ai rapporti di lavoro intercorsi con le scuole religiose, di fatto estendendo agli e alle insegnanti l’eccezione ministeriale, prevista fino a quel momento unicamente per sacerdoti e religiose.
Le sentenze di questo Term appaiono indicative dei fragili compromessi raggiunti all’interno della Corte, che hanno visto l’affermazione di posizioni liberali in materia di aborto e diritti delle minoranze (si veda l’epocale sentenza Bostock v. Clayton County), e la vittoria dirompente della visione conservatrice in materia di libertà religiosa. Tuttavia, assieme alla decisiva sentenza in materia di aborto in June Medical Services, Little Sisters of the Poor ribadisce ancora una volta la crescente rilevanza (e strumentalità) dei diritti riproduttivi nello scontro politico-ideologico americano, che non appare destinato a placarsi.
10 Settembre 2020