Le corti europee tra dialogo e negoziato. Riflessioni a partire da due recenti documenti della Corte di giustizia dell’Unione europea su OMT e adesione alla CEDU.

La questione democratica occupa ormai, giustamente, una parte sempre più importante del dibattito sulle istituzioni europee. Sarebbe tuttavia un errore imperdonabile quello di ridurre una questione così complessa ad uno schema ad una sola variabile, come se si potesse raggiungere un ipotetico livello ottimale di democraticità delle istituzioni europee unicamente in funzione della porzione di sovranità mantenuta dagli Stati nazionali (o, di converso, trasferita al livello sovranazionale). Si tratta, invece, di una questione che può essere affrontata solo tenendo presente il suo carattere multidimensionale, che deriva non solo dalla complessità delle cause che la determinano, ma anche dalla varietà della natura stessa di tali cause. Può essere, dunque, utile, soffermarsi su alcuni aspetti specifici che in qualche modo sono rivelatori dell’esistenza di patologie del sistema di rappresentanza istituzionale degli interessi, per tentare di ricostruire una delle tante facce di tale questione democratica. In questo senso, l’analisi del ruolo del potere giudiziario è talvolta in grado di fornire indizi utili per individuare alcuni possibili vizi di funzionamento di un sistema politico in generale.

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A Fundamental Law of the European Union: l’idea di una “Costituzione” Europea si riaffaccia nella proposta di riforma dei Trattati del Gruppo Spinelli

A Fundamental Law of the European Union è il titolo del lavoro pubblicato ad inizio ottobre dalla Verlag Bertelsmann Stiftung, e firmato dagli europarlamentari del Gruppo Spinelli. Si tratta, nello specifico, di una dettagliata proposta di riforma degli attuali Trattati costitutivi dell’Unione Europea, con l’obiettivo di mettere a disposizione delle istituzioni nazionali e comunitarie un possibile testo completo per una nuova Legge Fondamentale. Alla stesura di tale proposta ha partecipato, sotto la coordinazione del liberaldemocratico britannico Andrew Duff (UK, ALDE), un gruppo di lavoro composto da parlamentari europei di varia provenienza politica e geografica, tra i quali Elmar Brok (DE, EPP), Daniel Cohen-Bendit (FR, Greens/EFA), Isabelle Durant (BE, Greens/EFA), Sylvie Goulard (FR, ALDE), Roberto Gualtieri (IT, S&D), Jo Leinen (DE, S&D) e Guy Verhofstadt (BE, ALDE).

Il nome stesso del progetto serve ad avvertire i destinatari dell’iniziativa che l’asticella è stata posta piuttosto in alto: senza prescindere da un’attenta analisi della realtà, gli estensori del progetto non rinunciano, infatti, a rendere esplicite le proprie ambizioni federaliste. È impossibile, infatti, non cogliere dietro il riferimento ad una “Legge Fondamentale”, il riaffacciarsi del tema di una “Costituzione” Europea, che viene evocata senza essere nominata strizzando l’occhio ai costituenti di Bonn.

Anche i più appariscenti caratteri formali ricordano gli obiettivi del precedente tentativo “costituente”. Si tratta di un testo unitario, che supera sia il dualismo tra il Trattato sull’Unione Europea e il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea che la separazione tra Unione e Euratom, che incorpora la Carta dei diritti, che opera una decisa riduzione dei protocolli e delle dichiarazioni annessi agli attuali Trattati. Rispuntano persino l’inno e la bandiera, quasi a voler recuperare uno ad uno i simboli ammainati dopo i referendum del 2005.

Nella premessa al progetto, si afferma che l’obiettivo è quello di costruire “una struttura maggiormente federale”, il che non significa “un super-Stato centralizzato, ma piuttosto un’unione costituzionale nella quale livelli differenti di governo democratico sono coordinati”. Gli estensori del progetto sembrano muoversi con grande saggezza in questo senso, rifiutando le nozioni puramente dogmatiche di “sovranità” e “Stato federale”, e invece valorizzando e completando gli elementi di tali nozioni che sono già presenti nell’ordinamento dell’Unione Europea. Il materiale stesso sulla base del quale il progetto è plasmato è costituito in gran parte dalle disposizioni dei Trattati attualmente in vigore, valorizzando in tal modo il recupero dei lavori della Convenzione già avvenuto in sede di negoziazione del Trattato di Lisbona.

In generale, si può dire che l’obiettivo primario è quello di riorganizzare l’intera architettura dell’Unione in forma coerente intorno al metodo comunitario. In un certo senso, infatti, l’evoluzione dell’integrazione europea a partire dal Trattato di Maastricht ha visto corrispondere all’ampliamento e approfondimento delle competenze dell’Unione l’affievolimento del metodo comunitario, dalla fondazione dell’Unione negli anni ’90, con l’aggiunta di “pilastri” intergovernativi, all’allargamento geografico degli anni 2000, con il proliferare degli opt-outs e l’istituzionalizzazione del “metodo aperto di coordinamento”, fino alla difficoltà di un’efficiente gestione della crisi a livello europeo degli ultimi anni, con l’imporsi di un “nuovo metodo dell’Unione”. Il progetto del Gruppo Spinelli si propone di correggere tale rotta, riportando ad un disegno unitario la mappa ormai sempre più frastagliata delle forme di cooperazione che orbitano intorno alle istituzioni europee.

I procedimenti decisionali vengono, perciò, razionalizzati, riducendo in numero e in genere le eccezioni all’uso della procedura legislativa ordinaria, che coinvolge il Parlamento e il Consiglio come i due rami di uno stesso organismo legislativo. La procedura legislativa ordinaria viene estesa non solo ad ambiti in cui tuttora l’esercizio della potestà legislativa è prerogativa del Consiglio, ma anche ad ambiti contigui a quelli di competenza dell’Unione che oggi restano di esclusivo dominio degli Stati membri (si veda, per esempio, la competenza in materia di determinazione dei flussi con riguardo alla migrazione economica). Dall’altro lato, nei casi in cui non è prevista l’applicazione della procedura legislativa ordinaria, l’adozione delle misure legislative non viene sottoposta alla sola deliberazione del Consiglio, ma ad una deliberazione di entrambi i rami del legislativo vincolata a maggioranze rinforzate.

La stessa divisione dei poteri tra le istituzioni viene accentuata, con la riduzione dei poteri di indirizzo politico del Consiglio e del Consiglio Europeo, e l’investitura della Commissione come Governo dell’Unione. La proposta prevede l’abolizione della figura del Presidente del Consiglio Europeo, mentre la presidenza semestrale del Consiglio viene sostituita dall’elezione di un presidente per ogni formazione del Consiglio, con il compito di coordinare l’attività legislativa per un periodo di due anni e mezzo. Parallelamente, la forma di governo viene “parlamentarizzata”, con la rivalutazione in senso “fiduciario” degli attuali poteri del Parlamento nei confronti della Commissione stessa.

Nello stesso solco si inserisce la riduzione di passerelle, eccezioni, clausole di salvaguardia, diritti di veto e opt-outs. Si tratta di un intervento quanto mai opportuno, in quanto le regole attuali hanno ormai condotto ad una situazione di instabilità ed incertezza nei procedimenti di adozione delle decisioni, nonché ad una vera a propria frammentazione geografica dell’applicazione del diritto dell’Unione. Il progetto prevede, quindi, accanto alla drastica riduzione delle possibilità di scegliere ambiti e modalità di integrazione à la carte, una bipartizione tra Stati membri incamminati in un percorso di tipo federale, e Stati associati, che negoziano individualmente le loro forme di accordo con l’Unione.

Meritano, inoltre, un’attenzione speciale due novità riguardanti il ruolo delle istituzioni nella definizione delle proprie attribuzioni. Si tratta, in primo luogo, della revisione della clausola di flessibilità (oggi prevista dall’articolo 352 TFUE), che permette all’Unione di estendere la propria competenza ad ambiti non espressamente indicati nel Trattato. Tale clausola può essere oggi azionata solo sulla base di una delibera all’unanimità del Consiglio, compensando con la previsione di un diritto di veto in capo ai rappresentanti di ogni Stato membro il rischio dell’aggiramento da parte delle istituzioni europee del principio di attribuzione. Nel progetto del Gruppo Spinelli il requisito dell’unanimità cade, in favore della previsione di una maggioranza qualificata in Parlamento e in Consiglio. In secondo luogo, la stessa procedura di revisione dei Trattati viene modificata: per essere approvate, le modifiche richiedono il voto favorevole dei tre quarti degli Stati Membri, e perché entrino in vigore basta la ratifica dei quattro quinti di essi, o la maggioranza semplice dei cittadini sulla base di un referendum pan-europeo. Si tratta in questo caso di una modifica suscettibile di aprire numerosi interrogativi, con riguardo da un lato agli effetti giuridici di una revisione che non seguisse i procedimento indicato, e dall’altro alla natura delle obbligazioni degli Stati membri che non avessero ratificato gli emendamenti. Non è possibile discutere in questa sede delle questioni che la proposta del Gruppo Spinelli lascia dietro di sé in questo campo. È il caso, tuttavia, di sottolineare che è probabilmente su questo punto che si potrebbe riaprire la disputa sulla natura dell’Unione e sulla titolarità della “competenza delle competenze”. In questo senso, non è forse il caso di forzare la mano in questa direzione (almeno per quanto riguarda il secondo aspetto), potendosi proseguire lungo la strada dell’attribuzione all’Unione di caratteri federali senza tentare di scardinare già nella prossima Convenzione il suo fondamento nei principi del diritto internazionale.

Sul versante dei diritti fondamentali, il progetto si limita all’incorporazione della Carta nel corpo del nuovo Trattato, mentre viene mantenuto il riferimento ai diritti fondamentali risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri come principi generali del diritto dell’Unione. Anche la questione dell’adesione alla CEDU resta immutata in termini normativi rispetto al contesto attuale. Viene invece abrogata la clausola per cui le disposizioni della Carta non estendono le competenze attribuite all’Unione, ossessivamente ripetuta nel Trattato vigente senza che tuttavia vi sia accordo sulla sua effettiva portata giuridica. Si tratta, in definitiva, di modifiche cosmetiche, che lasciano essenzialmente sulle spalle delle Corti il proseguimento del percorso di definizione del valore e della portata dei diritti fondamentali riconosciuti nell’ordinamento dell’Unione.

Per quanto riguarda, infine, le politiche dell’Unione, le modifiche più rilevanti sono ovviamente quelle riguardanti il governo dell’Unione economica e monetaria. L’esperienza della crisi ha condotto gli estensori del progetto ad ampliare significativamente i poteri di intervento dell’Unione in campo economico, trasformando in particolare l’eurozona in una vera e propria unione fiscale, dotata di risorse proprie da utilizzare per interventi di politica economica di tipo anti-ciclico. Una speciale attenzione è dedicata, inoltre, alle materie degli ex secondo e terzo pilastro, rispetto alle quali l’estensione del metodo comunitario viene presentata come requisito necessario al fine di garantire la coerenza ed efficienza degli interventi al livello sovranazionale.

Seppure il progetto del Gruppo Spinelli è il risultato del lavoro di una commissione bi-partisan, rappresenta certamente una visione di parte delle prospettive dell’integrazione europea. Una visione la cui consistenza politica sarà in parte misurata alle prossime elezioni per il rinnovo del parlamento europeo, e ancora di più lo sarà quando si aprirà il dibattito sull’eventuale rinegoziazione dei Trattati. Molti indicatori lasciano presagire che i tempi non siano felici per i federalisti europei, ma il coraggioso progetto di una Legge Fondamentale è certamente un buon segno, nel senso che anche in un momento difficile al ripiegamento si preferisce il rilancio.

 

Riferimento bibliografico: The Spinelli Group, Bertelmann Stiftung, A fundamental law of the European Union, Gütersloh, Verlag Bertelmann Stiftung, 2013, 309 pp.