Il Consiglio di Stato e il “metarinvio” pregiudiziale (a margine di Cons. St. n. 4584 del 2012)

Il rinvio pregiudiziale alla Corte dell’Unione non cessa di porsi al centro del dibattito tra gli studiosi, che anzi negli ultimi tempi si è fatto vieppiù acceso ed approfondito[1] e che, con ogni probabilità, riceverà ulteriore linfa proprio dalla pronunzia qui succintamente annotata. Una pronunzia che, invero, solleva un mucchio di questioni di considerevole rilievo, a più piani e sotto più aspetti: da quello teorico-generale all’altro istituzionale (avuta attenzione all’equilibrio che per sistema si ha tra giudici ed operatori restanti, con particolare riguardo a quelli preposti alla direzione politica), all’altro ancora delle relazioni interordinamentali (con specifico riferimento ai rapporti intercorrenti tra giudici e parti per un verso, giudici nazionali e giudice dell’Unione per un altro verso).

Cose egregie sono al riguardo già state dette da una sensibile dottrina, che ha prontamente fatto oggetto la decisione in parola di una puntuale analisi[2], sulle quali ora non indugerò, limitandomi a talune osservazioni di ordine generale circoscritte unicamente ad un paio di punti.

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Il rinvio pregiudiziale alla Corte dell’Unione: risorsa o problema? (Nota minima su una questione controversa)

Sommario: 1. I due corni del dilemma e la loro possibile riduzione ad unità. – 2. Il percorso parabolico del rinvio e i riflessi negativi che potrebbero aversene per la funzionalità dei giudizi, con specifico riguardo ad eventuali conflitti tra le Corti europee, laddove chiamate a pronunziarsi sulle medesime questioni, ed ai  modi più adeguati per porvi rimedio (in particolare, l’ipotesi di far luogo alla previsione di un “rinvio pregiudiziale” dalla Corte EDU alla Corte di giustizia). – 3. Il “modello” Cilfit, le sue “graduate” applicazioni (rispettivamente, presso i giudici nazionali e presso la Corte EDU), il bisogno che sia ulteriormente specificato ed integrato e reso ancora più saldo attraverso una plurima, complessa e convergente manovra posta in essere a tutti i livelli istituzionali e presso ogni sede in cui si somministra giustizia. – 4. L’esigenza che le novità al piano dei meccanismi istituzionali, specie con la introduzione del rinvio dall’una all’altra Corte europea, siano accompagnate da corposi ed incisivi interventi al piano giurisprudenziale fedeli al canone della costante, effettiva cooperazione tra tutti i giudici, europei e non. – 5. Una breve notazione finale, nell’auspicio che il rinvio sia risorsa anziché problema o, quanto meno, più l’una che l’altra cosa.

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Rapporti tra CEDU e diritto interno: Bundesverfassungsgericht e Corte costituzionale allo specchio

“Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?”, chiedeva ansiosa e speranzosa la matrigna di Biancaneve, nella nota favola popolare resa famosa dalla versione dei fratelli Grimm. E lo specchio puntualmente, e senza esitazione alcuna, emetteva il suo impietoso verdetto per l’interrogante.

Fuor di metafora, se mettessimo davanti allo specchio magico il Tribunale costituzionale tedesco e la Corte italiana, sarebbe assai problematico stabilire chi si fa più bello davanti agli occhi della CEDU e della sua vestale, la Corte di Strasburgo, alla cui giurisprudenza la Convenzione deve la sua crescente fortuna.

Questa riflessione mi viene sollecitata dalle più recenti pronunzie della nostra Corte (e, in particolare, dalle sentt. nn. 80 e 113 del 2011) e dall’ultima pronunzia del Bundesverfassungsgericht, del 4 maggio 2011, in causa 2365/09 (presentata in www.diritticomparati.it da A. Di Martino, Ancora sulla efficacia della CEDU nel diritto interno: il BverfG e la “detenzione di sicurezza”).

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